
Finalmente qualcuno insegna la storia di Spagna raccontando guerre e “limpieza de sangre” senza i soliti complessi

Forse risulterà sorprendente in Italia, quando ancora sono fresche le commemorazioni del 2011. In Spagna, la Spagna è una grandissima sconosciuta, e l’amore per la Spagna, così comune all’estero, è merce rara, se non è che dicendo “Spagna” ci riferiamo alla “Roja”, la squadra di calcio. Lo sottolinea drammaticamente lo storico spagnolo Fernando García de Cortázar, che ha appena pubblicato un libro di storia per ragazzi, Momentos emocionantes de la historia de España, “Momenti emozionanti della storia di Spagna” (editore Espasa). È per lui un modo di partecipare all’arena politica, perché gli spagnoli più giovani non conoscono la storia di Spagna: «Ci hanno tolto il sentimento e l’emozione di Spagna, come se non ne avessimo il diritto», ha dichiarato in un’intervista al giornale ABC. E il suo libro coinvolge, anche grazie alle illustrazioni di Julius, raccontando anche le pagine buie di guerre e “limpieza de sangre”.
Le guerre civili ottocentesche, e sopratutto i quattro anni della Guerra Civil e la dittatura di Franco sono alle origini di quella delusione di sé che ha portato a vedere l’intera storia di Spagna come un cumulo di insuccessi, di crimini e di arretratezza. Il sentimento di non essere all’altezza delle virtù civili – e scientifiche, ed economiche – dell’Europa, che all’inizio del Novecento era ancora un impulso a migliorare il paese, a “rigenerarlo”, si è trasformato in smarrimento, e ci si è convinti che ignorare la storia sia il miglior modo per diventare europei. Ma si può avere una visione complessiva dell’Europa che non si faccia carico della sua storia, e che non includa la Spagna e la sua storia? Certamente sì, se prevale, come ha detto a Strasburgo il presidente Napolitano, «una versione riduttiva, economicistica, con pesanti connotati tecnici» dell’Europa.
García de Cortázar attacca frontalmente i nazionalismi e il loro lavorio sulla scuola: «I libri di testo hanno fatto un grande sforzo per creare baschi, catalani, madrileni, galleghi e asturiani, ma non si sono preoccupati di creare cittadini spagnoli. Per questo mi complimento con la Regione di Madrid che ha aggiunto ore di lezione di storia di Spagna». La sinistra è colpevole di aver dato prestigio ai nazionalismi “aggressivi” («per me sono la caverna», dice); ma egli soprattutto se la prende con l’approccio economicistico e tecnico – quello dominante in Europa – adottato anche dal partito popolare nell’era di Aznar: «Noi che abbiamo bevuto alle fonti gramsciane sappiamo che è quello il dramma della destra in Spagna. Una destra puramente contabile si inorgoglisce oggi dei suoi successi economici, ed è bene, e gliene siamo grati, ma non cerca l’egemonia culturale».
Aznar si è vantato dei trionfi economici ma non ha fatto alcuno sforzo per ricostruire una cultura di stampo liberale dopo la traversata del franchismo. Non a caso Cortázar elogia la regione madrilena, retta lungamente dalla popolare Esperanza Aguirre, la cui posizione critica anche se non antieuropeista non è riuscita a imporsi nel partito. Aguirre è stata alla fine sconfitta anche nella sua difesa, da ministro dell’Istruzione, delle materie umanistiche. La scuola in Spagna si adegua al compito che le è stato assegnato nella strategia di Lisbona del 2000: formare personale impiegabile, con buona pace del pensiero critico e dell’autonomia di giudizio. Ma quel senso di appartenenza a una comunità nazionale oggi continua a essere un motore di iniziative e di creatività ovunque nel mondo, dal Sudafrica al Giappone, e anche nella Germania. La Spagna è intrappolata nell’Europa contabile, quella che ha evitato i riferimenti al passato nella Costituzione europea, e che tenta di togliere mordente allo studio della storia a scuola rilegandola a “competenza di cittadinanza”.
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il presidente napolitano è il primo che si scaglia contro le nazioni europee e le loro rivendicazioni di rispetto per le loro specificità, insieme a tanti italiani sbronzi della follia europa unita uguale un solo popolo, un solo governo.