
Figli (quasi) perfetti
Ripubblichiamo l’articolo uscito sul numero 3/2010 di Tempi.
Solo oggi Louise Joy Brown può capire quanto è stata fortunata. Non a tutti i suoi omologhi è andata così bene. Lei, venuta al mondo con le gote rosse e paffute e i boccoli dorati a incorniciarle, era proprio quel che si dice un frugoletto angelico. La sua nascita, trentadue anni fa in Gran Bretagna, suscitò le speranze delle coppie infertili del Regno Unito e non solo, dando credito alle aspettative di chi credeva che fuoriuscire da un laboratorio sarebbe stata una maggior garanzia di salute. La graziosa Louise era infatti la prima bimba concepita in provetta tramite la fecondazione in vitro (Ivf). Era il 1978 e da allora le tecniche di riproduzione assistita (Art) si sono moltiplicate. Oggi bimbi venuti alla luce grazie ai progressi della scienza medica rappresentano l’1 per cento circa della popolazione dei paesi sviluppati, sono un milione in tutto il mondo.
Ma i bambini nati con la fecondazione artificiale non sono poi così immuni da patologie e malattie genetiche. Tutt’altro. Solo negli ultimi dieci anni, infatti, si sono potute realizzare le prime statistiche che presentano delle casistiche scientificamente rilevanti circa i risultati delle Art, con dati che fanno a pugni con i titoli da prima pagina che dopo la nascita della piccola annunciavano l’avvento di una nuova umanità di “super baby”, come Louise fu ribattezzata dal quotidiano inglese Evening News. Già cinque anni fa i dati rivelavano che per i bimbi nati tramite fecondazione assistita la possibilità di contrarre malattie o incorrere in difetti genetici era del 30 per cento superiore rispetto ai nati naturalmente. Oggi i nuovi dati disponibili segnalano una situazione ancora più allarmante. Come se non bastassero i “pasticci” di parti plurigemellari causati da trattamenti di stimolazione ormonale incontrollati, gli stessi a cui si è sottoposta la donna di Benevento che domenica 10 gennaio, dopo cinque anni di trattamenti Art, ha partorito sei bambini a dieci settimane dal termine e i medici non escludono problemi futuri per i piccoli. Nel novembre 2008 la rivista scientifica Clinical Obstetrics and Gynaecology ha pubblicato le ricerche mondiali più importanti condotte sulla popolazione con analisi di paragone fra gruppi. Ne è emerso che il tasso di rischio di malattia per i concepiti in provetta è ora salito, in appena un lustro, al 40 per cento. Non solo, esiste un’altra pubblicazione del 2008 della London University che smonta non pochi miti circa il bimbo “perfettamente assistito”, per esempio la vulgata secondo cui i problemi sono legati esclusivamente alle circostanze delle gravidanze gemellari che si verificano per l’obbligo di impianto di più embrioni stabilito dalle leggi di alcuni stati (come l’Italia). L’altro mito, che si sbriciola di fronte ai dati scientifici più recenti, è quello che attribuisce la causa di eventuali malattie dei figli al problema di infertilità o all’età avanzata dei genitori e allo stato insano dei loro gameti. Si tratta di affermazioni vere, ma parziali secondo i ricercatori dell’università di Londra, che hanno dimostrato che «la fertilità in sé è certo un fattore di rischio, ma le procedure legate ai trattamenti artificiali possono esse stesse rappresentare un rischio. Includendo la stimolazione artificiale del l’ovulazione con la possibilità di alterare l’ambiente in cui l’embrione sano dovrà crescere e il prelievo dello sperma soggetto a condizioni che potrebbero alterarne le funzioni naturali solo in seguito». Dello stesso av- viso sono i ricercatori giapponesi Shiota e Yamada, che nel febbraio scorso hanno preso in considerazione solo i parti non gemellari, presentando i risultati di una ricerca svedese da cui risulta che il 5,4 per cento dei bambini nati tramite Ivf ha maggiori malformazioni e problemi al sistema nervoso centrale (anancefalia, idrocefalia, spina bifida). Mentre in Australia sul 9 per cento dei nati in provetta si sono riscontrati difetti congeniti. Comunque, ricordano i ricercatori giapponesi, già nel 2003 uno studio tedesco aveva riportato una media minore del quoziente intellettivo dei concepiti con Ivf tra i 5 e gli 8 anni rispetto ai coetanei. In Scandinavia una ricerca sulla paralisi cerebrale ha dimostrato un rischio maggiore di contrarla pari al 60 per cento per gli stessi bambini.
Secondo Ericson, l’importante ricercatore che ha studiato il registro nazionale delle nascite svedese, anche il pericolo dell’epiles sia per i nati in provetta aumenta del 50 per cento tra gli 1 e gli 11 anni. Da ultime vengono le statistiche inglesi che i ricercatori giapponesi mettono insieme a dati francesi e americani, non senza notare che «forse sarebbe anche meglio informare futuri mamme e papà che pensino di sottoporsi alle tecniche Art». Esistono, infatti, ampie possibilità per il nascituro di contrarre due gravi sindromi, quella di Beckwith-Wiedemann e quella di Angelman, entrambe causate da un errore di imprinting dei geni al momento della fecondazione e connesse a ritardi psicomotori e ad altri gravi sintomi annessi, non riconducibile né al Dna né all’infertilità dei genitori. Nel mondo il concepimento di un figlio con queste patologie è da considerarsi di norma un evento rarissimo. Risulta perciò ancor più inquietante che in Gran Bretagna tra 149 concepiti in provetta ben 6 risultino affetti dalla prima patologia, quando per le nascite naturali il rapporto è di 1 su 13.700. Mentre il rischio relativo di contrarre la sindrome di Angelman aumenta per le gravidanze da laboratorio di 100 vol te rispetto alla popolazione totale. Una terza sindrome, che sembra correlata alla tecnica Ivf, è quella di Prader Willi, questa volta correlata a problematiche d’alimentazione nella prima infanzia, obesità prima dei 6 anni di età, ritardo psicomotorio e ritardo mentale e a disturbi dell’apprendimento in bambini in età maggiore. In quest’ultimo caso la scoperta di un legame con le tecniche Art è stata un accidente. I medici indagando la storia clinica di 169 pazienti Prader Willi sotto osservazione hanno visto che ben 9 erano nati tramite fecondazione assistita. Accanto alle ricerche più recenti restano infine quelle legate agli aborti spontanei dei concepiti singoli, che passa, a parità di anni della donna e di problemi di sterilità, dal 20 al 34 per cento a seconda dell’intensità della stimolazione ovarica dovuta ai trattamenti. Se trent’anni fa la piccola Louise fece sperare la vittoria su una natura matrigna, oggi quella stessa natura sembra ripresentarsi non proprio sconfitta e soprattutto fuori controllo. Diversi paesi sviluppati non hanno ancora registri che certifichino la modalità con cui i bambini vengono al mondo. In Italia ne esiste uno da qualche anno, ma la registrazione è solo facoltativa. Mentre l’archivio ufficiale, istituito l’anno passato, sembra ancora vuoto.
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