
Fidencie nelle mani dello Stato
Indignatevi pure, scandalizzatevi, esecrate l’ottusità delle italiche istituzioni, ma non cambierà una virgola: il padre non è certo, la madre neppure, ma le autorità italiane hanno deciso che Fidencie, bimbetta ruandese di cui persino l’età è controversa (3 anni o 3 anni e mezzo?), lascerà la famiglia affidataria italiana che l’ha ospitata per un anno e mezzo, varcherà la frontiera elvetica e si “ricongiungerà” con l’uomo che afferma di essere suo padre. Così hanno stabilito il Tribunale per i minorenni di Brescia, il Giudice tutelare di Cremona, l’ASL di Cremona, il Comitato per i minori stranieri presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’Ufficio federale svizzero per i rifugiati, la Croce Rossa svizzera. Non importa che i documenti prodotti dal presunto padre siano con tutta probabilità falsi e le sue dichiarazioni siano state smentite da molte persone, non importa che la presunta madre non si sia mai fatta viva coi tutori e gli affidatari della bambina e si sia interessata del suo destino solo un mese fa, non importa che la persona che ha accompagnato Fidencie in Italia abbia fornito due-tre versioni diverse dei fatti. Non importa. Gli esperti hanno deciso. Senza mai vedere in faccia la bambina, senza uno straccio di accertamento sui fatti, senza muovere un muscolo di fronte alla cascata di informazioni e notizie che mettono in dubbio (è il minimo che si può dire) la buona fede del presunto padre raccolte e prodotte dalle persone che effettivamente in questi mesi si sono prese cura di Fidencie: i coniugi Marco e Paola Simi, il tutore Emilio Serventi, la presidentessa della San Vincenzo di Cingia de’ Botti Paola Copercini. Credete che stiamo esagerando pur di parlare male della Pubblica amministrazione italiana e di alcuni svizzeri altezzosi? Sentite la storia.
Due clandestine alla Malpensa e una strana storia Il 28 ottobre 1998 in provenienza da Nairobi, Kenya, sbarcano alla Malpensa con un passaporto falso la signorina Mukanoheli Leonille e una bimba di 1-2 anni di età, presentata come “nipote” della prima e di nome Izabayo “Fidesse”. Il Centro Italiano Rifugiati chiede ospitalità per le due alla società San Vincenzo di un piccolo paese in provincia di Cremona (Cingia de’ Botti). Per alcuni mesi “zia” e bambina vivono in un piccola canonica con una suora, poi fra febbraio e aprile Fidencie viene inserita nella famiglia dei coniugi Simi di Cremona e finalmente data loro in affidamento temporaneo con l’approvazione dell’ASL, della San Vincenzo e quindi del Giudice tutelare: la famiglia Simi, genitori e tre figli, ha già fatto in precedenza esperienze di accoglienza a minori. Nel primo interrogatorio di polizia la giovane Leonille racconta che la bambina è figlia di sua sorella ed è nata nel luglio 1997, pochi mesi dopo che le loro famiglie erano rientrate in Ruanda dallo Zaire (poi Congo), dove si erano rifugiate dopo la presa del potere da parte dei tutsi nel ’94. Trasferitesi nuovamente oltrefrontiera nella città congolese di Goma, sarebbero state sorprese dalla nuova guerra dell’agosto ’98 e costrette a separarsi: Leonille con la piccola “Fidesse” (così la chiama lei) fugge verso il Kenya, la presunta sorella Annonciata con gli altri tre figli verso l’interno del Congo-Zaire. Temendo poi di essere rimpatriata dal Kenya in Ruanda, Leonille cerca di ricongiungersi al padre della piccola, Juvenal Nshimiyimana, che nel frattempo era riparato in Svizzera e lì aveva chiesto asilo. Trova conoscenti che l’aiutano a espatriare, ma il viaggio finisce a Malpensa.
Il 20 dicembre ’98 la Croce Rossa svizzera si rivolge alla San Vincenzo chiedendo informazioni sulle due ruandesi e notificando che Juvenal Nshimiyimana, suo assistito e richiedente asilo in Svizzera, chiede che la figlia Fidencie (questo sarebbe il vero nome della bambina) lo raggiunga in Svizzera. Tre mesi dopo il “padre” si fa vivo direttamente con una lettera alla signora Copercini e con una copia dell’atto di nascita della bambina, che gli sarebbe stato rilasciato dal municipio di Mabanza in Ruanda nel febbraio del ’97 e che riporta il 12 settembre 1996 come data di nascita di Fidencie. Nella lettera alla Copercini Juvenal afferma di “non conoscere” Leonille e l’accusa di “avergli fatto del male”. Le contraddizioni con la versione dei fatti fornita da Leonille sono evidenti: messa alle strette, la ragazza afferma di non essere parente della madre di Fidencie, ma di avere portato la bambina dal Kenya in Italia con documenti falsi per consegnarla a un misterioso referente che doveva attenderla alla Malpensa e provvedere al trasferimento in Svizzera. Insiste però sulla data di nascita della bambina, che sarebbe avvenuta in Kenya e non in Ruanda. D’altra parte la data sulla copia dell’attestato di nascita inviata da Juvenal appare sospetta: nel settembre ’96 erano pochissimi i profughi hutu ad aver fatto rientro in patria dall’allora Zaire, il grosso sarebbe arrivato fra novembre e la prima metà dell’anno successivo.
Una madre impassibile e tante rivelazioni dal Ruanda Emilio Serventi, tutore della bambina, fa presenti questi fatti alle autorità, ma non succede niente, e scatta la procedura per il ricongiungimento internazionale. Il 24 novembre, basandosi sulla richiesta e sulla documentazione proveniente dalla Svizzera, il giudice tutelare chiede al Tribunale dei minori di Brescia il nulla osta per l’espatrio della bambina, che viene concesso il giorno 26. Nel frattempo risulta essere giunta in Europa con tre figli, e precisamente in un campo profughi in Olanda, la presunta madre di Fidencie. La quale, benché da tempo informata della situazione della “figlia”, non si farà mai viva con nessuno, né per telefono né per lettera, nei mesi a venire e fino ad oggi. Solo in data 4 aprile scriverà una lettera per avallare la richiesta del “marito”. Ma la procedura, dicevamo, va avanti: in base ad accordi fra il legale rappresentante della Croce Rossa svizzera e i servizi sociali dell’ASL di Cremona la partenza di Fidencie per la Svizzera è fissata per il 24 febbraio di quest’anno. Il giorno 21 il giudice tutelare convoca il tutore della bambina, che è accompagnato da un avvocato della Caritas, la famiglia affidataria e i servizi sociali. Ascoltate le varie obiezioni sospende la partenza programmata e fissa la nuova data del 17 marzo, previa acquisizione del nulla osta del Comitato minori stranieri, nuovo organo centrale costituito presso la Presidenza del Consiglio. Il Comitato risponde con una comunicazione dai toni comici, dove si legge che, essendo stato da poco costituito, “è impossibilitato a deliberare in tempo utile rispetto al caso”, e dunque sono le altre amministrazioni che devono sgrugnarsela.
Dalla Svizzera in tanto piovono asprezze: l’avvocato della Croce Rossa accusa la famiglia italiana affidataria di voler trattenere la bambina in Italia e, cosa falsa, di aver fatto domanda di adozione. Monsieur Juvenal scrive lettere accorate, trasmette autobiografie inappuntabili e accusa la famiglia italiana di “egoismo”. A questo punto, ormai assodato l’immobilismo delle istituzioni, i protagonisti del caso decidono di approfondire da sé le indagini: contattano il comune di Mabanza attraverso la San Vincenzo ruandese, inviano un emissario in Olanda dalla “madre” di Fidencie, chiedono notizie ad altri profughi ruandesi hutu in Europa. Il quadro che ne esce è sconcertante. Il sindaco di Mabanza dichiara che il certificato di nascita prodotto da Juvenal è falso: falso il documento (il numero del referto è inesistente, il formato non è quello standard, i caratteri non sono quelli in uso, il nome della stamperia è sbagliato), false le firme del sindaco e del segretario comunale, falsa la data del documento, perché a quel tempo Juvenal non era rientrato in Ruanda: nessuna Izibayo Fidencie risulta registrata presso l’anagrafe di Mabanza. Risulta invece che Juvenal Nshimiyimana sia celibe secondo l’anagrafe ruandese, che è stato due anni in prigione fra l’89 e il 91 per aver rubato fondi dell’associazione degli Scout del Ruanda, che è accusato di aver partecipato al genocidio antitutsi del 1994 e che presso il campo profughi hutu di Bukavu si faceva passare per medico. Non è invece vero che sia laureato in storia come dichiara (ha soltanto un diploma da maestro) e che sia stato l’assistente del vecchio sindaco di Mabanza (che, d’altra parte, è stato arrestato in Sudafrica con mandato del tribunale internazionale per i crimini di genocidio in Ruanda).
Comitato minori stranieri:
la logica non abita qui Tutte queste notizie e altre ancora inducono il giudice tutelare a sospendere nuovamente la partenza di Fidencie per la Svizzera e a inviare nuovamente la pratica al Comitato per i minori stranieri di Roma. Il quale esamina la nuova documentazione ed emette una sentenza destinata a un posto d’onore nella galleria degli orrori giudiziari e del cretinismo burocratico. In essa viene disposto il ricongiungimento fra “padre” e “figlia” perché “la qualità di padre appare evidente dal comportamento complessivo di lui che da tempo si è attivato per ricercare la sua bambina, che si è anche spontaneamente dichiarato disponibile a controlli genetici che confermino la sua paternità, nonché dalle dichiarazioni della madre (lettera 4/4/2000) Annonciata Mukamurenzi… le indicazioni provenienti dalla sezione ruandese della S. Vincenzo de’ Paoli, che sollevano dubbi sulla personalità del padre e sulla veridicità della documentazione non sono controllabili perché in Rwanda persiste la grave frattura fra le due componenti etniche sicché l’una tende a screditare gli appartenenti all’altra”. A sigillo di questi sconclusionati pensieri c’è la firma di un magistrato, il professor Paolo Vercellone. I geniali membri del comitato ritengono inattendibile tutto ciò che proviene dalle autorità ruandesi, inficiate da pregiudizio tribale, tranne il certificato di nascita che queste stesse autorità avrebbero rilasciato! Affermano l’equivalenza fra la generica disponibilità a sottoporsi ad un esame del DNA e il risultato dell’esame stesso. Ritengono normale che una madre di quattro figli affidi la più piccola ad un’estranea in partenza per un paese lontano e che poi non si interessi più della sua sorte, se non con una lettera scritta solo per approvare le iniziative del “marito” dopo essere stata contattata non dalle autorità svizzere o italiane, ma da emissari dei tutori italiani della bambina. Non trovano strano che una persona che ha lasciato il Ruanda fuggendo da una prigione in cui era stato internato con gravi accuse durante un attacco dei ribelli hutu (così racconta lo stesso Juvenal) avesse con sé in cella e sia riuscito quindi a portare via il certificato di nascita di uno dei quattro (presunti) figli. Non ipotizzano nemmeno che un “figlio” a carico può far comodo, come grimaldello umanitario, a un richiedente asilo che finora si è visto respingere la domanda di asilo in Svizzera. Complimenti, complimenti vivissimi per lo scrupolo morale e professionale e per il rigore della logica.
Adesso il destino di Fidencie è appeso ad un ricorso al TAR del Lazio e all’iniziativa del Pubblico Ministero Caimmi di Cremona che ha aperto un’inchiesta sulla presunta falsità del certificato di nascita prodotto da Juvenal Nshimiyimana. Ma poco c’è mancato che le cose precipitassero: nonostante il ricorso e l’inchiesta pendenti, venerdì 12 maggio l’ASL di Cremona ha comunicato alla famiglia Simi di consegnare la bambina alla Questura il lunedì seguente perché fosse portata in Svizzera. C’è voluta una giornata di telefonate roventi per ottenere l’ennesima sospensiva. E per avere l’ennesima conferma del modo in cui funzionano le istituzioni nel nostro paese e del grado di civiltà che esprimono: basso, decisamente basso.
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