
«Fatti, non parole. Questo è il #jobsact»

Pubblichiamo la rubrica di Pier Giacomo Ghirardini contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti).
Nel mese di giugno 2016 in Italia gli occupati sono cresciuti, al netto dei fenomeni di stagionalità, di 71 mila unità rispetto a maggio, secondo gli aggiornamenti diffusi dall’Istat lo scorso 29 luglio. A guastare la festa sono i disoccupati che continuano a crescere, in valore assoluto (di 27 mila unità) e in termini relativi (il tasso di disoccupazione è passato dall’11,5 all’11,6 per cento).
Repubblica ha prontamente risolto il problema titolando “cresce la platea” di coloro che si mettono alla ricerca di un impiego – che suona senz’altro meglio di “crescono i disoccupati”.
E se si allungano le code alle mense della Caritas la notizia non è però che “cresce la platea” di coloro che scoprono di avere appetito: i poveri in più nel 2015 sono mezzo milione, come abbiamo scritto nello scorso numero.
Ma la chicca orwelliana è di Renzi – poteva forse deluderci? – che ha incontenibilmente twittato: «Fatti, non parole. Da febbraio 2014 a oggi, ISTAT certifica più 599MILA posti di lavoro. Sono storie, vite, persone. Questo è il #jobsact».
Ora, se il calendario non è un’opinione, i provvedimenti legislativi del Jobs Act fanno data dal 10 dicembre 2014 – e non dal 22 febbraio, quando Renzi subentrò al sereno Enrico – e l’assai generosa decontribuzione che ha consentito la crescita delle assunzioni è partita dal 1° gennaio 2015.
Per cui, anche attribuendo solo al governo il merito della susseguente rimonta del mercato del lavoro, i termini di confronto sono giugno 2016 contro dicembre 2014: in questo lasso di tempo dove ha potuto materialmente esprimersi l’effetto della riforma e l’azione del governo, stando ai dati destagionalizzati Istat, gli occupati sono cresciuti di 390 mila unità, ossia 209 mila in meno di quelli rivendicati dal cinguettio di Renzi, e questo incremento sintetizza 299 mila dipendenti permanenti in più (inquadrati in grandissima parte coi nuovi contratti a tutele crescenti), 99 mila dipendenti a termine in più e 7 mila indipendenti in meno (più discrepanze statistiche). Ciò, nel medesimo lasso di tempo, ha comportato solo una marginale diminuzione dei disoccupati (152 mila in meno) che, nel 2016, si ostinano a rimanere incollati sulla soglia dei 3 milioni di unità.
Voi direte che sono il solito precisino – che suona senz’altro meglio di “cagacazzo” – ma ad oggi, nella migliore delle ipotesi, questo è il #jobsact. E sul futuro ci resta solo da incrociare le dita, visto che la decontribuzione per le assunzioni nel 2016 è stata abbattuta al 40 per cento e, nel mese di giugno, hanno smesso di crescere gli occupati a tempo indeterminato. Per non parlar del resto.
Foto Ansa
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4 commenti
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Un po’ di Renzi – fuffa ci sta, no? Se poi l’Istat certifica diversamente, “tanto peggio per i fatti”.
vedremo alla scadenza delle agevolazioni contributive cosa accadrà. intanto nella mia piccola impresa di servizi è un continuo vai e vieni di persone dai 45 ai 50 anni che hanno perso il lavoro e che quasi nessuno vuole + a lavorare. Non c’è spazio per padri di famiglia che, alla soglia dei 50, perdeno l’impiego. Tanti bei giovanotti a fare Garanzia Giovani (specchietto per le allodole) e i primi che hanno finito il periodo non sono stati assunti delle aziende ospitanti (e come potrebbero se la produzione è prossima allo zero?) Quindi tornano da noi a chiedere se possono fare un altro periodo presso altra azienda.
Renzi, Renzi!
Sono le imprese, non i governi, a creare lavoro.
E non diciamo niente sugli “occupati in più” che, come tutti sanno, sono:
a) ex occupati “in nero”, venuti “alla luce” grazie alle decontribuzioni, che probabilmente torneranno “in nero” appena la manna di queste ultime andrà a scadenza;
b) neo assunti che, finita la pacchia di cui sopra, potranno essere rimessi a riposo, grazie alle nuove regole del fantastico #jobsact (si scrive così, in inglese, perché fa più figo, ma si può pronunciare “presaperilcxxo”).