
Fatevelo voi “l’altro Natale”

Cosa direbbe Chesterton leggendo i commenti sul Natale che appaiono sui quotidiani in questi giorni? Arriva Gesù bambino e i giornali lo festeggiano a modo loro, scrivendo – perlopiù – scemenze. Come quelle del “matematico impertinente” Piergiorgio Odifreddi che sul Domani ha ri-ri-ri-scritto per l’ennesima volta lo stesso articolo che ci ri-ri-ri-propina da vent’anni: i cattolici sono degli «ingenui» che s’affidano a «miti», «carnevalate» e «superstizioni», Dio non esiste, quella della Trinità è una «balzana dottrina», chi crede è uno «stolto». Vale la pena perdere tempo a ribattere a uno così? No, non vale la pena. L’ha già demolito una volta Benedetto XVI in maniera definitiva, e tanto basta. E a proposito di “ingenuità con genuflessione incorporata” è sufficiente ricordare come Odifreddi ne sia un maestro, come dimostrato dallo scherzo della Zanzara.
Se festeggi, il nonno schiatta
Più interessante è notare il richiamo ogni giorno più insistente a festeggiare in maniera sobria il Natale. Si tratta proprio di un ammonimento “morale” da parte di chi, a conti fatti, un’autorità morale non dovrebbe averla. Ma ormai è diventata una prassi fra i nostri politici e basti pensare a Conte, Boccia e Mattarella che non si sono limitati a ricordarci quali siano le disposizioni sanitarie vigenti per limitare la circolazione del virus, ma si sono spinti a farci il fervorino sul “vero senso” del Natale che, in questa forma, può essere meglio “interiorizzato” nel suo profondo senso “spirituale” (qualunque cosa questa frase voglia dire). Perché se, oltre a Gesù, fai un po’ di posto nel tuo cuore anche al lockdown, il Natale è più bello (e il nonno non ci lascia le cuoia, come dice lo spot della Fondazione Giovanni Lorenzini).
Se è un simbolo, che vada al diavolo
La campagna di sensibilizzazione al Natale sobrio e responsabile è il must di quest’anno, tira più delle scarpe della Lidl. L’apice l’ha raggiunto lo psicanalista Massimo Recalcati che su Repubblica ha fornito le “Istruzioni per un altro Natale”: «Sarà un altro Natale, diverso dal solito. Non può essere altrimenti. Ma forse sarà anche un Natale più vicino al senso originario di questa festa», esordisce il nostro, ma attenzione a cosa intende per “originario” perché è lì che la farina del diavolo va in crusca.
Per Recalcati ormai da decenni il Natale è stato «desacralizzato» perché ridotto a «rituale consumistico senz’anima», ma il Covid ci offre l’occasione di riscoprirlo. Riscoprire cosa? Gli altri, la fragilità degli altri, il dono che sono gli altri. Se il senso del Natale è «la grazia dell’attenzione agli altri», allora diventa una bestemmia non rispettare le regole dettate dal dpcm. Scrive lo psicanalista: «Insopportabile diventa allora la lamentazione per la festa mancata, per la convivialità soppressa, per il distanziamento sociale imposto dai decreti governativi, per lo sconvolgimento dei nostri rituali». Appunto: occhio a fare i bagordi a Natale, che poi il nonnino ci rimane.
Il Natale desacralizzato dal consumismo è “ri-sacralizzato” dall’intuizione del sacerdote laico, uno che è troppo adulto per credere all’annuncio del Dio fatto bambino, ma non così sprovveduto dal rinunciare al potente messaggio valoriale contenuto nella favola dell'”altro Natale”. Un Natale sobrio, un Natale edificante, un Natale responsabile. Un Natale che non è una nascita, ma un bel simbolo universale. Uno di quei simboli così innocui e unanimemente accettati che una come Flannery O’Connor avrebbe estratto la rivoltella («beh, se è un simbolo, che vada al diavolo»).
Gli emancipati dai dogmi
Torniamo a noi e al grande Chesterton che, per una di quelle capriole temporali che tanto gli sarebbero piaciute, già nel 1925 aveva risposto al Recalcati del 2020. Scriveva GKC su The Illustrated London News (di recente ripubblicato dal Foglio) replicando a uno dei tanti Recalcati ante litteram:
«Noto un paradosso un po’ strano su tutto questo parlare di cambiamento o di riforma di tradizioni come quella del Natale. Si parla di sacrificare la lettera e di mantenere lo spirito; e poi si va a fare esattamente il contrario. Si conservano alcune lettere frammentarie (che non fanno più una parola) e poi si sacrifica completamente lo spirito. Ora la difficoltà in tutto questo parlare della lettera e dello spirito è che l’uomo che segue lo spirito deve essere molto sicuro di capire veramente lo spirito. E nella mia piccola esperienza personale, posso dire che l’uomo generalmente non lo capisce».
Storia vecchia, insomma. Già cento anni fa il mondo era pieno di «persone emancipate dai dogmi» che, «sui giornali e altrove», si proponevano di «vivere secondo lo spirito del cristianesimo». Troppo moderni per credere in un Dio-bambino, troppo colti per credere nel Verbo fatto carne, ma anche troppo furbi per non capire che il messaggio cristiano «de-sacralizzato» da Cristo fosse un formidabile e convincente strumento per imporre a tutti la bontà (la propria “idea” di bontà, per la precisione).
Pace e Giustizia e Amore
Scriveva ancora GKC:
«Cominciano a vivere secondo lo spirito del cristianesimo, e si lanciano con frenesia nella missione di impedire ai poveri di procurarsi la birra, di impedire alle nazioni oppresse di difendersi dai tiranni (perché potrebbe portare alla guerra), di strappare i bambini ritardati ai loro genitori, che ne avranno il cuore spezzato, e rinchiuderli in una specie di manicomio materialista, e così via. E poi sono abbastanza sorpresi quando dico loro che penso abbiano molto meno lo spirito del cristianesimo di quanto ne abbiano la lettera, nelle parole e nella terminologia dei suoi dogmi. In effetti, hanno conservato alcune delle parole e della terminologia, parole come Pace e Giustizia e Amore; ma fanno sì che queste parole rappresentino un’atmosfera del tutto estranea alla cristianità. Conservano la lettera e perdono lo spirito».
Ecco, allora tenetevelo pure il vostro “altro Natale” formato dpcm, noi ci terremo quello originale, quello di duemila anni fa. Quello in cui, nella foresta buia delle nostre buone, nobili e spirituali intenzioni, ad un certo punto, all’improvviso sbuca fuori «Cristo, la tigre» (T.S. Eliot, Gerontion, 1920).
Foto Ansa
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