Fassino a sorpresa non taglia i servizi e sfora il patto di stabilità

Di Chiara Sirianni
04 Gennaio 2012
Pd, Sel e Pdl infuriati con il sindaco di Torino, che senza avvisarli decide di non destinare i fondi di aumenti e privatizzazioni al risanamento del bilancio e al rispetto del patto di stabilità. Fassino: «Ho pagato le aziende». Magliano (Pdl): «Servivano a tappare il buco»

Disobbedienza civile, per Piero Fassino. Se Giuliano Pisapia ha chiuso l’anno amministrativo rimarcando il rispetto del patto di stabilità tra il Comune di Milano e l’amministrazione centrale, il primo cittadino torinese ha fatto la scelta esattamente contraria: «L’attuale patto di stabilità è stupido. Perché non seleziona ciò che è giusto vincolare da ciò che è giusto derogare, per questo abbiamo deciso di non rispettarne i tetti imposti per il 2011». Il motivo? Per far tornare i conti andavano tagliati 120 milioni di servizi, tra asili nido, scuole, trasporti pubblici e assistenza domiciliare per gli anziani. «Sforare il patto mi ha consentito di pagare alle imprese 450 milioni di euro, 250 in più che se avessi rispettato il patto di spesa. E non mi sembra poco, in periodo di crisi» ha spiegato Fassino. «Abbiamo potuto emettere una forte iniezione di liquidità nel sistema torinese e pagare le aziende che hanno lavorato per la nostra città».


Il prezzo della decisione è anzitutto politico: una giunta divisa, arrabbiata, in cui volano stracci tra il sindaco e la sua maggioranza. «Il sindaco ha comunicato la cosa ai giornali senza nemmeno avvertirci» ha detto sconcertato Vittorio Bertola, consigliere del Movimento Cinque Stelle. Sel ha votato controvoglia privatizzazioni e aumenti delle tariffe, proprio sull’altare dei vincoli di legge, per non sforare il patto e si è vista passare sulla testa un dietrofront. Il capogruppo del Pd ha appreso della decisione del sindaco direttamente in conferenza stampa. Anche il vicepresidente del Consiglio comunale Silvio Magliano conferma a Tempi.it che Fassino ha cambiato rotta all’improvviso: «In questi mesi abbiamo votato una serie di operazioni volte unicamente a fare cassa: il biglietto per il trasporto pubblico è aumentato a 1,5 euro, la tariffa per parcheggiare sulle strisce blu è raddoppiata. Abbiamo dato una brusca accelerata proprio per salvare il bilancio».

Ci sono poi le conseguenze pratiche: riduzione del 3% dei trasferimenti (vale a dire 30 milioni di euro), blocco alle assunzioni e riduzione del 30% delle indennità di assessori e consiglieri. Fassino ha giustificato la decisione spiegando di voler dare un segnale al governo, per aprire un negoziato con i Comuni. Il sindaco ha fatto intendere che la sua scelta non sarebbe poi così incosciente, dato che nel decreto varato nelle scorse settimane dal governo ci sarebbe un accenno a un passo indietro: «Si dice che il prossimo anno si procederà alla revisione del patto di stabilità», ha puntualizzato in conferenza stampa. «È la dimostrazione che così come è formulato oggi non è più uno strumento utile, perché non distingue tra spesa corrente e spese per investimenti». Ora come ora, però, non c’è alcuna certezza. Fassino ha scelto di rischiare: e per consentire alla città di sopravvivere all’anno ha messo in atto una riorganizzazione delle aziende partecipate. Secondo Magliano (Pdl) l’azzardo di Fassino rischia di trascinare la città verso il basso: «La situazione è critica. Torino è già la città più indebitata d’Italia: per fare un esempio su tutti, dobbiamo ad Iren energia una cifra molto importante. Scegliendo di agire da solo ha creato un problema di gestione, oltre che politico. C’è molta preoccupazione per le risorse che non arriveranno. Fassino sta fingendo una lungimiranza che non ha. Oltretutto in un anno difficile, in cui tasse come l’Imu complicheranno ulteriormente le cose. Che senso ha lamentarsi delle scarse risorse, e poi sforare il bilancio? È puro autolesionismo». 


E le privatizzazioni, porteranno alle casse un po’di respiro? «A novembre il consiglio ha approvato la delibera relativa alla riorganizzazione della Fct Holding S.r.l (finanziaria città di Torino, a totale controllo pubblico), con 26 voti a favore e 12 contrari. La riorganizzazione prevede che alla holding finanziaria del Comune verrà conferito il 60% delle partecipazioni della città. Il restante 40% sarà acquisito dalla Holding stessa, sulla base di un credito bancario» riassume Magliano. Nel momento in cui la società possederà il 100% delle quote, procederà a mettere sul mercato il 40%, estinguendo il debito contratto per l’acquisizione. Ma non basta: «L’amministrazione si aspettava un valore più alto, ma se va bene porteremo a casa 200 milioni. L’idea di partenza era di considerare 50 milioni parte della vendita, e quindi di inserirli nel patto di stabilità per tappare il buco, e non sforare. Poi c’è stata quella conferenza stampa a sorpresa». Le indiscrezioni parlano di una difficoltà nel trovare una banca che concedesse al Comune un “prestito ponte”, vale a dire un anticipo sulla svendita ai privati di Amiat, Gtt e Trm. «Potrebbe essere un elemento, anche se di confermato non c’è nulla. Certo è che non si può dire ai cittadini: non siamo riusciti a trovare una banca. Sarebbe imbarazzante».

Si poteva fare di più? «Di sicuro risparmiando sugli sprechi. Il direttore generale del Comune di Torino, Cesare Vaciago, guadagna più del presidente degli Stati Uniti. E il portavoce di Fassino guadagna più di quello di Obama. Torino, poi, ha un grosso problema: c’è una dirigenza amministrativa che si considera intoccabile e lascia alla politica l’onere di prendere le decisioni. Stanno venendo al pettine tutti i disagi creati dal modo di gestire le casse comunali del primo Chiamparino, che scelse di agganciare tutti i nostri investimenti ai prodotti finanziari. In questa fase delicata, ora che gli interessi variano rispetto al mercato, non siamo in grado di calcolare quanto perdiamo».

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