Tentar (un giudizio) non nuoce

Fare politica e cultura nella città degli uomini

Raffaele Cattaneo
Raffaele Cattaneo, sottosegretario con delega alle Relazioni internazionali ed europee di Regione Lombardia (foto Ansa)

«La politica, in quanto forma più compiuta di cultura, non può che trattenere come preoccupazione fondamentale l’uomo». Don Luigi Giussani, al Convegno della Dc Lombarda ad Assago nel 1987, iniziò il suo intervento proprio così, citando il discorso all’Unesco di Giovanni Paolo II di sette anni prima.

Oggi su Tempi viene inaugurata questa rubrica settimanale “Tentar (un giudizio) non nuoce”, che vuole offrire uno sguardo e un giudizio politico su quando accade in Lombardia, sul territorio nazionale e in Europa. Lo strumento di analisi, un tempo si sarebbe chiamata la “cassetta per gli attrezzi”, è rappresentato dalla consapevolezza che, essendo la politica la forma più compiuta di cultura, è diventato indispensabile produrre non opinioni à la page o reazioni superficiali ed emotive capaci solo di sollecitare la “pancia” dei cittadini, ma giudizi che sappiano andare in profondità e che siano figli di una chiara visione dell’uomo e della realtà.

Nella mia esperienza di uomo politico, che da tempo si occupa della cosa pubblica, nella dimensione regionale ma con un’apertura sui temi europei e del mondo, ritengo che questo approccio sia l’unico in grado di proporre una politica capace di affrontare le sfide del tempo e di sfidare quella complessità che Zygmunt Bauman chiamava “società liquida”.

Nelle puntate che seguiranno proverò, dunque, a dare un giudizio, attraverso questo principio, da quell’osservatorio privilegiato rappresentato da quel Palazzo Lombardia che ho visto nascere, ma solcando sempre il terreno della città degli uomini, di quella varia e vasta umanità, spesso spaesata e confusa, che affronta il quotidiano a mani nude tra fatiche e sofferenza, secondo una prospettiva che vuole contenere all’interno e per intero la preoccupazione dell’uomo nella sua totalità.

Ovviamente non pretendo che queste valutazioni siano condivise tout court, ma ritengo che sia necessario, oggi più che mai, il dovere di assumersi il rischio di offrire un giudizio senza il timore che questo possa essere considerato divisivo, foriero di malumori o peggio di rancori strumentali. È giunto il momento di affrontare il futuro ripartendo dalla nostra genesi, dai maestri che ci hanno forgiato, dalle origini del nostro dirci cristiani, proprio come ancora don Giussani (perdonate almeno per questa volta la ridondanza di citazioni) ripeteva in un convegno del 1973 riportato proprio qualche settimana fa da Tempi: «Io stesso non so fino a che punto mi sentirò d’accordo con tanti vostri giudizi, con tante vostre prese di posizione, ma ciò che m’importa è che abbiamo a lavorare, in questo tentativo, sperando nella correzione fraterna degli altri cristiani che come noi sentono l’urgenza di una presenza».

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