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Fare impresa? «È una vocazione». Per sé e per il mondo

Di Redazione
24 Gennaio 2014

«La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita…». Parte da queste parole dell’Evangelii Gaudium di papa Francesco la lezione del filosofo e scrittore statunitense Michael Novak tenuta martedì 14 gennaio alla School of Business della Catholic University of America, Washington, ripresa oggi dal Corriere della Sera. Il suo discorso è una difesa arguta del “fare impresa”, strumento ritenuto strategico «nel cammino verso una maggior equità sociale», in un momento storico in cui esiste ancora un miliardo di persone che vivono sotto le soglie della povertà.

COME RICONOSCERE LA PROPRIA VOCAZIONE? «Il problema oggi è saper riconoscere la propria vocazione e imboccare quella strada. Ma come fa un giovane ad avvertire la sua chiamata? (…) Ascoltate il vostro cuore e rispondete a tre domande: quali sono le vostre capacità con i loro limiti e il loro potenziale? Che cosa vi piace fare? Che cosa vorreste fare per tutta la vita?». Quanto all’impatto sociale del costruire aziende, sta anche nel bisogno che tanti poveri hanno, gente che vive «sotto i livelli minimi di reddito, e cioè due dollari al giorno, 700 dollari all’anno. Quasi tutti sono disoccupati o sottoccupati. La loro unica speranza di sconfiggere la povertà sta nel lanciare 200 milioni di piccole imprese. Senza posti di lavoro disponibili, come faranno i poveri a incrementare le loro entrate? (…) In alcune regioni del mondo, sono le piccole imprese a creare posti di lavoro. In Italia, più dell’ottanta per cento della popolazione attiva lavora in piccole imprese. Negli Stati Uniti si tocca il 50 per cento, ma il 65 della nuova occupazione viene fornita dalle piccole imprese».

L’IMPRESA È PARTE DELL’ORGANISMO SOCIALE. Per fare ciò serve che lo Stato si muova liberando la strada per questo genere di aziende, in particolare abbassando i costi di fondazione e facilitando l’accesso al credito, creando enti che pensino alla formazione e agevolando in ogni modo la valorizzazione della creatività, della capacità imprenditoriale e delle abilità specifiche. «Lo sviluppo economico è alimentato, nelle parole di Giovanni Paolo II, dal know-how, dalla tecnologia e dalle capacità (Centesimus Annus, 32). E proprio in questo campo le nazioni occidentali possono offrire aiuto alle nazioni bisognose, portando assistenza allo sviluppo economico nelle fasce più povere della popolazione». Così, quando l’impresa si muove verso le zone più bisognose del mondo, il suo scopo è quello di creare ricchezza anche lì, e non solo per sé. «L’impresa non può esistere nel nulla, bensì fa parte di un organismo sociale costantemente collegato ad altri partner. Le imprese sono necessariamente sociali: hanno bisogno di investitori, lavoratori, clienti, fornitori e mercati. Sotto questo aspetto i mercati sono un’istituzione sociale fondamentale, ancor più universale della politica».

«UNA SAGGIA POLITICA AIUTA CHI FA IMPRESA». Non solo: esportare modelli di impresa permette non soltanto di diffondere nuova ricchezza, ma di radicare anche una cultura d’impresa. «Per avviare la crescita economica, è necessario invogliare centinaia di migliaia di uomini e donne, incoraggiandoli a guardare intorno per intercettare le esigenze economiche dei loro Paesi. Di quali piccole fabbriche, aziende, botteghe e servizi ci sarà bisogno per migliorare le condizioni di vita dei concittadini? Di qui parte lo stimolo verso la creazione di nuove imprese». E così cresceranno, di pari passo, anche gli stimoli ad avere un’istruzione migliore, e pian piano quindi ad uscire dalle condizioni di indigenza. «Diversi milioni di giovani sono ansiosi di fondare imprese, ma hanno scoperto che le condizioni economiche per affacciarsi nel mondo dell’impresa sono troppo sfavorevoli, eppure non esiste altro mezzo per aiutare i poveri a uscire dalla miseria, se non le opportunità che offre l’impresa. Una saggia politica non perderebbe tempo a dare massima attenzione e priorità a questo compito». Insomma, fare impresa non è istinto egoistico, ma «dovrebbe servire ad incoraggiare milioni di altre persone a lanciare 300 milioni di nuove piccole imprese, di cui hanno disperatamente bisogno quell’ultimo miliardo di esseri umani se vorranno sottrarsi a un destino di privazioni e miseria».

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