Fare esperienza in Cambogia dove tutti «meritano Dio, niente di meno»

Di Emanuele Boffi
12 Novembre 2020
Il libro-diario di padre Alberto Caccaro, missionario del Pime in Cambogia dal 2001, è pieno di pagine d’oro
Padre Alberto Caccaro del Pime in missione in Cambogia

Articolo tratto dal numero di novembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Ogni libro ha almeno una pagina d’oro, cioè una pagina che ne vale la lettura e che si sedimenterà in noi come come esplicativa del testo e significativa per la nostra vita. La pagina d’oro di Al di là del Mekong. Lettere dalla Cambogia è la 49, dove inizia il racconto di Hieng, 47 anni, padre di tre figli e «affetto da una patologia cardiaca importante che gli crea difficoltà respiratorie». Hieng è in fin di vita, abita a Memot, sul confine con il Vietnam, dove «gli ospedali di provincia sono fatiscenti, spesso privi di mezzi, sporchi e abbandonati all’incuria». Padre Alberto Caccaro vive a 90 chilometri da lui, ma quando viene avvisato dai parenti delle sue condizioni si mette in viaggio per andare a trovarlo. O meglio: si mette in viaggio per andare al suo capezzale a recitare un’Ave Maria, una preghiera per Hieng che non è neanche cristiano, ma solo «da alcuni mesi si dice interessato al Vangelo e alla vita della Chiesa». Novanta chilometri per andare a recitare un’Ave Maria al letto di un moribondo, nient’altro. «È bello pensare che al cuore della preghiera cristiana vi siano un’Ave Maria e un Padre Nostro. Sono così alla portata di tutti e di una tale immediatezza che sgorgano spontanei, naturali. Come per tante vecchiette nelle nostre parrocchie che, “aggrappate al loro inginocchiatoio come ad una scala di Giacobbe in miniatura”, scriveva André Frossard, hanno sostenuto il mondo e preservato la fede per secoli».

Copertina del libro 'Al di là del Mekong’ di Alberto Caccaro

Il libro-diario di questo missionario del Pime in Cambogia dal 2001, dove ha fondato diverse scuole, è prezioso perché è pieno di pagine d’oro di questo tipo. Dal racconto di episodi, ora piccoli ora grandi, viene alla luce non tanto una vita, non tanto una teoria di aneddoti e storielle edificanti, ma qualcosa di più interessante e definitivo: viene a galla l’esperienza, cioè una realtà personale e finita, giudicata secondo un metro universale e infinito. Lo coglie perfettamente il filosofo Silvano Petrosino nell’introduzione al volume: «Nel leggere le lettere di padre Alberto non si può non restare colpiti, non dalla “vita”, come frettolosamente sostengono i realisti convinti che i fatti siano più importanti delle parole, ma dall’“esperienza” ch’esse comunicano, e tale esperienza sarebbe certamente rimasta nell’ombra senza certe parole, senza un certo modo di scrivere e raccontare. Ciò che queste pagine offrono a chi ha orecchi per intendere e occhi per guardare è molto di più di un’analisi puntuale di determinate situazioni geografiche o di un’accurata interpretazione di certi fenomeni sociali, rivelando piuttosto l’abitare di un uomo di fede nella carne del mondo. E ciò non mi sembra affatto poco, visto che sono ancora molti coloro che sono fermamente convinti che la fede, qualsiasi fede religiosa, non riesca a frequentare altro che i “retro-mondi” affollati, nella migliore delle ipotesi, da pie illusioni e buoni sentimenti».

Da Flannery a Giussani

Ecco allora che, se l’esperienza è realtà, la realtà è fatta di nomi. E il diario di padre Alberto ne è pieno: Bunna, Simuon e Makará, «tre ragazzi che sono, in qualche modo, miei figli»; mamma Rom, che è rimasta sola coi tre pargoli perché il marito l’ha abbandonata, ma lei non vuole abbandonare loro; Ta Pau e la moglie, che vivono in una palafitta khmer, e vogliono che dalla loro povera ma dignitosa abitazione passi la via Crucis. E poi via via una lunga serie di altri nomi di persone, nomi di cose, nomi di episodi. Ma esperienza, come si diceva, non è solo ciò che accade: esperienza è la realtà giudicata. E qui sta la vera originalità del diario di padre Alberto. Ogni episodio è “letto” attraverso gli occhi di chi sa riconoscervi il segno di qualcosa di più grande del mero succedersi di eventi. E non è quindi un caso che tutto il libro sia costellato di citazioni di Elena Bono, Charles Péguy, Flannery O’Connor, Dante Alighieri, Luigi Giussani, Cesare Pavese, Romano Guardini. Tutti grandi riferimenti che, come il nostro autore e prima di lui, hanno trovato nell’esperienza personale, persino in qualche posto della lontana Cambogia, il nesso con sé, con le stelle, con la storia, con il Destino. Perché ogni uomo deve sapere, scrive padre Alberto, «che solo Dio è degno della loro libertà. Nessun altro. Meritano Dio, niente di meno».

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