Fao, la disfatta della ragione

Di Rodolfo Casadei
20 Giugno 2002
Il politologo Sartori che sbaglia i conti, le fisime della Nobel Levi Montalcini, la campagna della Rai contro gli Ogm: il summit sulla fame induce danni cerebrali

«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa…», scriveva quasi 50 anni fa Allen Ginsberg, profeta maledetto della Beat Generation. Ma quelle parole tornano buone oggi come epigrafe agli innumerevoli sproloqui che si sono ascoltati nei giorni del summit della Fao a Roma. La “droga rabbiosa” è quella dell’ideologia e del pregiudizio, foriera di decadenza mentale e isteria platealmente constatabili. Fra tanti casi selezioniamo i più vistosi.

Il 9 giugno un editoriale di Giovanni Sartori in prima pagina del Corriere della Sera contesta l’aritmetica della Fao. Diouf (il segretario Fao) ci dice che il numero degli affamati nel mondo diminuisce di 6 milioni all’anno, ragiona il politologo fiorentino, ma nel 2030 la popolazione mondiale sarà aumentata di altri 2 miliardi soprattutto nei paesi poveri, perciò avremo 2 miliardi di affamati in più: altro che il “dimezzamento” degli attuali 800 milioni di denutriti attuali! Quel che Sartori non ha capito è che le statistiche e le proiezioni della Fao incorporano già il dato dell’aumento della popolazione: il numero totale degli affamati diminuisce di 6 milioni all’anno “nonostante” la popolazione mondiale aumenti di 70-80 milioni di unità all’anno. Grazie alla lotta contro la fame, la maggior parte dei nuovi nati non entra nello stock mondiale dei denutriti. Una bella smarronata dell’esimio professore, cui il Corsera concede la dignità di editoriale senza battere ciglio (e poi domenica 16 giugno pure lo spazio per una lettera delirante).

Un altro luminare con le idee un po’ confuse è Rita Levi Montalcini. Dichiara nei giorni del summit: «Sono favorevole alle biotecnologie, ma ho molti dubbi sugli Ogm». Prego? Le tecniche dell’ingegneria genetica sono le stesse, che si tratti di produrre rimedi per la salute o prodotti per l’alimentazione; in entrambi i casi un prodotto geneticamente manipolato viene assorbito dall’organismo umano.

Dov’è allora la differenza? Certo, i benefici degli Ogm per ora li avvertono solo i produttori dei semi e gli agricoltori che li utilizzano, mentre tutti gli esseri umani, in quanto potenzialmente malati, ripongono enormi speranze nelle biotecnologie.

Ma, se assumiamo il punto di vista dei più poveri, cosa altro sono la fame e la malnutrizione se non “malattie” che si curano col cibo? Solo chi è sazio può permettersi dei distinguo fra medicine e alimenti.

Le tivù adesso sono tutte di Berlusconi, dicono. Sì? Mercoledì 11 giugno in coda al Tg2 delle 13 viene trasmesso uno speciale sui temi dibattuti dalla Fao. Gli Ogm vengono presentati come “il cibo di Frankenstein”, e il servizio si interroga su come i consumatori possono “difendersi”. Il presidente di Assobiotech viene intervistato solo per fargli dire che sicuramente gli italiani hanno già mangiato Ogm senza accorgersene. Mentre scorrono le immagini una scritta passa e ripassa sullo schermo: «tutto in laboratorio, niente in natura». E questo sarebbe il servizio pubblico, obiettivo ed equilibrato. In chiusura i telespettatori vengono informati che con l’ingegneria genetica può anche essere prodotto un riso arricchito di vitamina A per combattere la cecità o la morte per fame di centinaia di milioni di bambini nel Terzo mondo. Il tutto però viene liquidato come “filantropia interessata” da parte delle multinazionali, che dagli Ogm si aspettano soprattutto grandi profitti. Peccato che il “golden rice”, che fra soli quattro anni potrebbe già essere realtà a livello di consumo, non c’entri nulla con le multinazionali: è stato sviluppato da due ricercatori svizzeri in laboratori pubblici, e in seguito ad accordi internazionali su di esso non verranno applicati brevetti. Ma le menti migliori della nostra generazione non lo sanno.

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