
Fabrizio Corona: il furbetto del gossip che rispecchia i vizi italiani (storture giudiziarie incluse)
La prima esperienza in carcere di Fabrizio Corona si può rivivere con 4,90 euro e un po’ di impegno a reperire La mia Prigione (Cairo editorire) uscito dopo la detenzione di Corona prima a Potenza e poi a San Vittore nell’estate 2007 nell’ambito di Vallettopoli. Centocinquanta pagine di riflessioni e spacconate, racconti scioccanti e denunce, fiotti di orgoglio narciso e persino epifanie culturali. «Tutti si masturbano qui pensando alle mie amiche che mi hanno fatto arricchire grazie alle loro storie vere o presunte». E ancora: «Il carcere ti cambia, anche in positivo. Io, per esempio, oltre ad aver modificato il mio look, in galera ho letto il mio primo libro, Gomorra, di Roberto Saviano». Oggi che è tornato in carcere (a Busto Arsizio sconta cinque anni per gli strascichi dell’inchiesta partita da Potenza) Fabrizio Corona è ancora un formidabile catalizzatore delle energie della nazione.
TAMARRO BUONO O SPECULATORE. Se mezza Italia tifa per il giovanotto unico condannato per reati che bisognerebbe addebitare a ogni direttore di giornale di gossip; l’altra mezza non nasconde la soddisfazione per la pena esemplare, ancorché oggettivamente pesante, comminata a uno dei maggiori responsabili del degrado del nostro immaginario sociale. Le sue assortite disavventure giudiziarie (dalla bancarotta alla corruzione) sono ancora in corso e hanno seguito destini diversi negli anni, a seconda che i giudici vedessero l’uno o l’altro Fabrizio. Il tamarro fondamentalmente buono che usa il proprio talento per autodistruggersi o lo spaccone che specula sulla pelle della gente. Tutto comincia, appunto, con Vallettopoli, l’indagine del pm potentino Henry John Woodcock. A quello che impropriamente viene definito il fotografo dei vip («Non ho mai saputo usare una macchina fotografica», dirà), si contestano l’associazione a delinquere (finalizzata, anche, allo sfruttamento della prostituzione) e diversi casi di estorsione. La pratica incriminata è quella per cui spesso l’agenzia di Corona vende ai vip scatti che li riguardano per non farli finire sui giornali. Una cortesia, per la difesa. Un ricatto, per l’accusa.
STORTURE GIUDIZIARIE. L’imputazione di associazione a delinquere non arriva nemmeno al dibattimento, mentre le presunte estorsioni si sparpagliano nelle procure di mezza Italia seguendo il criterio della competenza territoriale. E qui sta il primo elemento di una assurdità giudiziaria che se oggi tocca l’impresentabile Corona, domani potrebbe riguardare chiunque. Lo “spezzettamento” del processo, infatti, costringe l’imputato a difendersi per reati analoghi presso corti diverse, che possono esprimere giudizi totalmente differenti. Ed è quello che succede a Corona, come ha spiegato qualche mese fa a tempi.it il suo (ormai ex) avvocato Giuseppe Lucibello: «Per i giudici di Roma il pagamento di decine di migliaia di euro, da parte di un noto sportivo, per il ritiro di un servizio giornalistico non aveva natura illecita e il procedimento è stato archiviato. I giudici di Milano, competenti per sette casi di estorsione tentata o consumata, tra il primo e il secondo grado, hanno assolto Corona in ben 5 di essi». La condanna, a un anno e cinque mesi, è stata inflitta per due tentativi di estorsione (ai danni di Coco e Adriano) perché le foto sono state ritenute lesive della dignità.
FOTO INCRIMINATE. Completamente diverso il giudizio a Torino, dove la Cassazione ha confermato una condanna a 5 anni per estorsione aggravata ai danni di David Trezeguet. L’ex giocatore della Juve aveva pagato 25 mila euro per ritirare un servizio che lo ritraeva all’uscita di una discoteca e poi la mattina dopo con la medesima ragazza. Le foto erano scattate in luogo pubblico e non giudicate scabrose, tuttavia la Cassazione introduce un principio di tutela solo ed esclusivamente per il giornalista che compra le foto (e che poi è tenuto a pubblicarle). Non solo. Per lo stesso caso, sempre a Torino, il giudice per l’udienza preliminare aveva inizialmente assolto Corona. L’assoluzione fu annullata dalla stessa sezione della Corte di Cassazione che qualche settimana fa ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva aumentato la condanna inflitta dai giudici di primo grado da tre anni e quattro mesi a cinque anni. Ordinarie storture di un sistema giudiziario malandato, non meno gravi perché riguardano un personaggio che ha scelto di muoversi in un universo frivolo, che alternativamente serve o sfrutta il potere e le sue pruderie.
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