
Seguire l’Evangelium Vitae per far rinascere una società moribonda

Era il 25 marzo del 1995, giorno della festa dell’Annunciazione a Maria, quando l’enciclica Evangelium Vitae fu pubblicata come una supplica papale e della Chiesa «a Dio per non arrendersi di fronte all’aggressione di un programma internazionale per la riduzione della popolazione cominciato nel 1920 con la legalizzazione dell’aborto nella Russia comunista», spiega a tempi.it don Maurizio Stefanini, guida dell'”Associazione difendere la vita con Maria”, promossa dal Vaticano, che vent’anni fa accolse l’invito del pontefice a impegnarsi per la vita. «Il santo Giovanni Paolo II decise che l’enciclica Humanae Vitae del suo predecessore, il beato Paolo VI, doveva diventare operativa. E ci chiese di combattere pregando e agendo, mentre gli Stati, per la prima volta nella storia, trasformavano in diritti in delitti come l’aborto, precedentemente solo tollerati dalle società pagane».
Il 25 marzo prossimo sarete a Roma da papa Francesco in occasione dell’anniversario dell’enciclica.
Sarà un grande appuntamento indetto dalla Santa Sede, preceduto da una veglia di preghiera che comincerà alle 17 nella basilica papale di Santa Maria Maggiore. Ci saranno anche delle testimonianze seguite dalla celebrazione eucaristica e dal rosario. Tutto in difesa della vita umana, in particolare di quella nascente su cui anche l’enciclica pone l’accento. Con la nostra associazione saremo in piazza in oltre mille e cinquecento persone.
Perché pensa che l’enciclica ponga l’accento proprio sulla vita nascente?
L’enciclica va al cuore del problema causato da un individualismo e un ateismo pratici per cui la sessualità cominciò ad essere vissuta al di fuori della vocazione e dalla chiamata di Dio alla generazione. Di qui la contraccezione e l’aborto sponsorizzati come diritti per la prima volta dalla Russia. Ciò che era considerato una piaga divenne legge. Ratzinger disse che la democrazia illuminata aveva reso la rupe Tarpea un valore, indicandone le ricadute per tutta la società.
Ossia?
Dopo aver dato a una madre il diritto di uccidere il suo bambino è cominciata l’ecatombe. Come disse il cardinal Bagnasco alla Cei nel 2010: in Europa viene soppresso un bambino in grembo ogni 11 secondi. Un quarto dell’umanità è vittima di questo genocidio. E quel che è peggio è che lo abbiamo pure rimosso. Il che, dal punto di vista psicologico, è deleterio. Il lutto negato e non elaborato ricade sulla madre, ma poi anche sul padre e sull’intera famiglia angosciati dal ricordo di quel figlio rifiutato che forse ora gli permetterebbe di essere felici. Abbiamo coscienze appesantite e tormentate. La nostra società, inseguendo la chimera dell’autodeterminazione, è solo diventata più triste e mortifera.
Eppure si diceva che la riduzione delle nascite ci avrebbe resi più prosperi.
Un bufala smentita dai fatti. Basta guardare il tasso di natalità della povera e un tempo fervida Italia o alla crisi economica dovuta alla mancanza di forza lavoro reale. Come si fa a pensare di andare avanti così? Siamo una società che manca dei suoi figli, quindi della forza vitale di cui si è privata con le sue stesse mani.
E voi cosa cercate di fare?
Quello che chiede l’enciclica: pregando, educandoci, accompagnando le famiglie e le donne in difficoltà, ma sopratutto onorando le spoglie dei bambini morti. Cominciammo subito dopo la pubblicazione dell’Evangelium Vitae, seppellendo i cadaveri degli abortiti perché, seppur fosse ritenuta una pratica necessaria dalla Chiesa, mancava ancora la prassi. Dal punto di vista civile lo Stato, attraverso un decreto del presidente della Repubblica, il numero 285 emanato nel 1990, aveva autorizzato i genitori a chiedere all’ospedale i corpi dei loro bambini, anche se purtroppo solo entro 24 ore dal parto. Ma siccome pochi lo sanno abbiamo collaudato un percorso informativo firmando convenzioni con gli ospedali e con le Asl locali per i permessi di trasporto e con i servizi cimiteriali dei Comuni, in modo da ottenere spazi per la sepoltura. Con molte fatiche e molta buona volontà, ora siamo presenti in 60 diocesi italiane e abbiamo celebrato il funerale e seppellito circa 70 mila bambini.
Come può accadere che un genitore che abortisce accetti di seppellire il figlio?
I genitori in fondo sanno che quello è un bambino e quando incontrano chi gli dà un minimo di rispetto preferiscono concederglielo, piuttosto che seguire la prassi ospedaliera per cui è trattato come un rifiuto organico qualunque da buttare in pattumiera insieme agli altri. Quelli che accettano di seppellire il bambino poi vanno al cimitero e si possono più facilmente rendere conto di che cosa è successo e chiedere perdono liberandosi dall’angoscia. Ricordo una nonna che portò su una tomba una rosa e un bigliettino con scritto: «Perdonami. La tua nonna». Una madre che abortisce è disperata e spesso sola e confusa: la sepoltura è il minimo per recuperarla, perché come dice Giovanni Paolo alle donne: «Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità (…) il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione». La sepoltura urta contro il pensiero dominante e la sensibilità civile che esso ha sviluppato, ma è il primo passo per il recupero.
Il Papa scrisse che era «urgente una grande preghiera per la vita che attraversi il mondo intero», coinvolgendo con «iniziative straordinarie» tutte le comunità, le associazioni, i gruppi e le famiglie, in supplica a Dio.
Questa enciclica non è stata ancora attuata del tutto. Noi, oltre a seppellire i bambini, da vent’anni promuoviamo la cultura della vita educando i giovani. Sosteniamo poi le donne offrendo loro aiuti economici e, sopratutto, un’amicizia su cui poter contare. Senza dimenticare i padri, che possono soffrire pene indicibili. Ho stampate nel cuore le lacrime di un uomo che si venne a confessare urlandomi: «Ma io non avevo capito…». Come stare davanti a tutto questo senza preghiera? Sarebbe infattibile. La supplica è l’anima della Chiesa, è un’azione efficace che cambia la storia. Alla fine dell’enciclica c’è una preghiera a Maria a cui si ispira la nostra associazione perché, come spiega il santo Giovanni Paolo II nella parte conclusiva che richiama l’Apocalisse, solo lei può sconfiggere il drago che vuole divorare il bambino.
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