Europa, ti contraddici

Di Rodolfo Casadei
05 Dicembre 2002
Il grande storico Nolte usa la matita blu con Bruxelles: integrare la Turchia, escludere le radici cristiane e credersi forti come gli Usa sono imperdonabili errori

Ernst Nolte è lo storico tedesco noto soprattutto per aver evidenziato le affinità e le complessità del rapporto fra il nazismo e il bolscevismo e l’influenza dello sterminio di classe attuato da Lenin e Stalin sullo sterminio degli ebrei compiuto da Hitler. Per questa ragione le sue opere, soprattutto Nazionalsocialismo e bolscevismo. La guerra civile europea 1917-1945 (1986), hanno sollevato forti controversie ed egli è stato etichettato da sinistra come uno “storico revisionista” nell’accezione peggiorativa del termine e fatto oggetto di turpi false accuse, come quella di voler relativizzare l’Olocausto. Negli interventi successivi Nolte ha dettagliato le sue analisi storiografiche fino all’ultimo suo libro pubblicato in Italia: Controversie. Nazionalismo, bolscevismo, questione ebraica nella storia del Novecento (1999). Nell’intervista che ci ha rilasciato in esclusiva esprime giudizi sulle attuali dinamiche europee.
Nel suo recente viaggio in Europa per il summit dell’Unione Europea, il presidente Bush ha ricevuto accoglienze popolari entusiastiche nei paesi dell’Est europeo che attendono di entrare a far parte della Nato e dell’Unione Europea (Ue), mentre perdura una certa freddezza nei suoi confronti in molti paesi dell’Europa occidentale, che da tanto tempo fanno parte sia della Ue che della Nato. Perché queste diversità fra Est ed Ovest europei, proprio nel momento in cui le due aree stanno per integrarsi negli stessi corpi politici e militari?
Già negli ultimi decenni della dominazione comunista noti intellettuali dei paesi dell’Europa orientale avevano sviluppato un concetto molto positivo di Europa che aveva evidentemente un significato più ampio dei termini abitualmente usati nell’Est, “capitalismo” e “imperialismo”. Essere riconosciuti membri di una comunità europea è un sincero desiderio di carattere spirituale. Ma senza dubbio grande sezioni della popolazione hanno desideri più semplici e “materialistici”. Vogliono ricevere i benefici di grandi contributi ed altri vantaggi da parte della Ue. La situazione dei paesi “contribuenti netti” è, naturalmente, molto diversa. Ma fortunatamente queste considerazioni “materialistiche” non sono le uniche esistenti nell’Europa occidentale.
Mi pare di capire che secondo lei le differenze riguardano le diverse attese rispetto alla Ue piuttosto che un diverso sguardo nei confronti degli Usa. Passiamo alla Germania. Il neo-neutralismo di Schroeder, che esclude qualunque partecipazione della Germania ad azioni militari contro l’Irak, rappresenta una tattica di breve periodo o è un orientamento strategico?
Non considero la posizione del cancelliere Schroeder come “neo-neutralismo”: la Costituzione tedesca proibisce esplicitamente la preparazione di guerre di aggressione. Ovviamente questa è anche l’opinione prevalente nella maggioranza dei tedeschi. Può darsi che questo principio sia diventato obsoleto nell’era del “Nuovo Ordine Mondiale” e della “Civiltà mondiale”, ma in ogni caso per Schroeder sarebbe stato molto difficile rendere la cosa accettabile alla “base” del suo partito e ai Verdi. Questa posizione corretta e molto popolare lo ha aiutato parecchio a vincere le elezioni, ma lo ha messo in una posizione molto difficile nel momento in cui ha respinto senza necessità anche la partecipazione ad un’azione sotto l’egida dell’Onu. Sotto questo aspetto egli ha scelto, primo statista tedesco dal 1945, una “speciale via tedesca” che, fino ad oggi, appariva molto più congeniale alla Destra nazionalista che alla Sinistra internazionalista.
Alcuni commentatori hanno scritto che con la sua scelta neutralista – mi scusi se utilizzo un giudizio che lei non condivide – Schroeder ha rinunciato alla leadership tedesca della politica internazionale della Ue, che si era configurata a partire dall’intervento internazionale in Kosovo caldeggiato dal duo Schroeder-Fischer, e l’ha rimessa nelle mani della Francia.
Non c’è dubbio che Schroeder ha molto indebolito la posizione internazionale della Germania a vantaggio principalmente della Francia.
Con l’allargamento della Ue ad Est si formerà in pochi anni la più grande entità politica della storia europea dai tempi dell’Impero Romano d’Occidente, che tuttavia sarà il prodotto di un processo pacifico e sarà dotata di un bilancio militare modesto. In che misura questo strano fenomeno dipende dalla storia europea del XX secolo?
Il progetto dell’unità europea esisteva già nel XVIII secolo, vedi per esempio l’abbé di Saint-Pierre. A quel tempo l’idea era chiaramente utopica. Nel XX secolo ci fu un nuovo impeto grazie alla collaborazione fra Briand e Stresemann. Ma i movimenti ideologici ed i regimi che essi hanno espresso – quello comunista sovietico e quello fascista – impedirono la realizzazione di questi piani “liberali”, perché avevano già i loro progetti. Gli anni dopo il 1945 furono il nuovo decisivo inizio. Ma gli stati europei erano e sono realtà molto più forti e molto più profondamente radicate dei cosiddetti “stati” degli Usa. Nel prevedibile futuro l’unità dell’Europa non potrà mai essere così forte ed efficiente come l’unità degli Stati Uniti. Si tratta di una debolezza politica che nasce dalla ricchezza culturale. è un desiderio benintenzionato ma probabilmente non realizzabile quello di combinare forza e ricchezza culturale.
In questi giorni si è dibattuto sull’integrabilità o meno della Turchia alla Ue. Secondo Valery Giscard D’Estaing la Turchia non può entrare nella Ue perché nessuno può pensare che l’Europa abbia confini con l’Irak e la Siria. Ma il ruolo dell’Impero Ottomano nella storia europea non può essere negato. L’integrazione della Turchia, prodotto della dissoluzione dell’Impero Ottomano, nella Ue ha senso storicamente?
Ci sono due aspetti della “questione turca” che spesso sono molto trascurati. Il primo: è suicida per paesi con un basso tasso di fertilità unirsi ad un grande paese con un tasso molto alto; il secondo: è spiritualmente contraddittorio cercare di integrare un paese che in ogni caso è molto meno “europeo” di un altro paese che, per generale opinione, non deve essere integrato, e cioè la Russia.
Un altro oggetto di aspro dibattito è l’inserimento di un riferimento alle “comuni radici cristiane dell’Europa” nella futura Carta costituzionale della Ue. Avrebbe storicamente senso per la Ue qualificare la propria identità in questa maniera?
L’Europa di oggi è post-cristiana, ma non deve essere anticristiana. Perciò sono legittimi i dubbi circa quella che viene detta l’“invocazione di Dio” nel preambolo della futura Costituzione, ma un rigetto delle “comuni radici culturali e largamente cristiane” significherebbe l’abbandono di se stessa da parte dell’Europa e la sua riduzione ad un concetto puramente geografico.

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