«L’Europa del Manifesto di Ventotene non è la mia». Nemmeno la nostra

Di Emanuele Boffi
21 Marzo 2025
Sottoscriviamo le parole di Giorgia Meloni e riprendiamo cosa disse il sottosegretario Mantovano al festival di Tempi. La sinistra può genuflettersi davanti a chi vuole, noi non lo faremo davanti a chi predica la «dittatura del partito rivoluzionario»
Una donna mostra
Una donna mostra "Il manifesto di Ventotene" alla manifestazione ''Una piazza per l'Europa'' a Piazza del Popolo, Roma, 15 marzo 2025 (foto Ansa)

Carissimi amici di Tempi, mi ha fatto molto piacere che la presidente Meloni, a fronte della distribuzione della “bibbia di Ventotene” da parte dei sinistri, ne abbia preso le distanze. L’Europa che vogliamo è quella sognata da De Gasperi, Schuman e Adenauer, personalista e sussidiaria, non quella massificata e centralista di Ventotene. Comunque, data la mia ignoranza in merito, mi farebbe piacere qualche vostro articolo in merito su Europa dei padri, Europa di Ventotene ed Europa di Maastricht e trattati successivi. Grazie!

Guido Patrone Torino

Caro Guido, sottoscriviamo le parole di Meloni e confermiamo quello che abbiamo scritto solo pochi giorni fa a proposito della manifestazione organizzata a Roma da Repubblica: «Le aspirazioni di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi potranno essere il riferimento ideale di Achille Occhetto e Michele Serra, non il nostro».

Della questione aveva già iniziato a occuparci qualche anno fa e precisamente da quando, intervenendo al nostro festival a Caorle, il sottosegretario Alfredo Mantovano aveva parlato di un partito anti-italiano che aveva nel Manifesto di Ventotene il suo testo di riferimento. In quell’intervento – che, come ha notato l‘Espresso, ha anticipato quanto detto alla Camera da Meloni – il sottosegretario individuava nelle parole di Spinelli e Rossi l’idea secondo cui il popolo italiano è “sbagliato” e necessita di un intervento dall’alto, da parte di élite illuminate, per essere corretto e indirizzato. E come si può, per il suo stesso bene, aiutare il popolo bifolco e plebeo a fare le scelte giuste? Semplice, basta non farlo votare. Come scrivono Rossi e Spinelli: «Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia».

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L’intervento di Mantovano non passò inosservato: fu criticato dal Fatto, dal Domani e da Ferruccio de Bortoli sul Corriere, fu ripreso in un intervento in aula dal senatore Renzi, ispirò il pellegrinaggio sull’isola della segretaria del Pd Elly Schlein. Da anni ormai, come ha scritto ieri sul Giornale Vittorio Macioce, la sinistra ha fatto del Manifesto il suo totem (e noi non capiamo se lo abbia fatto per troppa furbizia o troppa stupidità).

Oggi ci dicono che quello era un “sogno” e che va “contestualizzato” (però quando si tratta delle crociate, quelle no, quelle non vanno contestualizzate). Ci dicono che Spinelli e Rossi sono i padri fondatori dell’Europa e gli ignoranti siamo noi che pensavamo fossero altri. Ma anche ammettendo che Tempi, in compagnia di Mantovano e Meloni, sia in malafede, si spera che gli elettori di sinistra si fidino almeno del giudizio di uno storico come Ernesto Galli della Loggia di cui ieri il Foglio ha pubblicato l’estratto di un saggio uscito nel 2014 e in cui si legge:

«Sì, il lettore ha capito bene: quello che il Manifesto propone è una rivoluzione dall’alto di tipo giacobino-leninista che non stia a curarsi troppo di che cosa pensa il popolo. “Polso fermo”, largo impiego di soluzioni socialiste in economia, e se necessario una certa dose di dittatura: questa è la strada tracciata in vista dello stato federale europeo».

Ognuno ha i riferimenti ideali che vuole. Come ha detto Meloni, «l’Europa del Manifesto di Ventotene non è la mia». Nemmeno la nostra.

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