Europa a tutto gas (e carbone): affonda il Green Deal

Di Amedeo Lascaris
11 Settembre 2022
Rigassificatori, centrali a carbone, condutture: i paesi Ue spenderanno almeno 50 miliardi questo inverno per far fronte alla crisi del gas con nuove e inquinanti infrastrutture. Che non verranno dismesse prima di anni
Rigassificatore

Rigassificatore

L’Europa «primo continente decarbornizzato del mondo» resta un mantra ripetuto nelle conferenze stampa, negli articoli e nei meeting internazionali dai leader della Commissione europea e anche dai politici nostrani. A parole, la lotta ai cambiamenti climatici prosegue. Tuttavia, mentre vengono confermati a parole gli inarrivabili obiettivi del Green Deal, i governi fanno i conti con la dura realtà: senza gas e combustibili fossili non ci si scalda e l’economia non si muove, anzi, arretra.

L’Ue spenderà 50 miliardi per soluzioni poco green

Il sostegno all’Ucraina nella guerra scatenata dalla Russia sta costando molto caro a un continente che fino al febbraio scorso dipendeva dal suo “nemico” per il 40 per cento del suo fabbisogno di gas e per oltre il 50 delle forniture di carbone. La soluzione, per quanto infiocchettata con proclami a non abbandonare gli obiettivi climatici e a tenere la barra dritta sulla decarbonizzazione, è quella di dirottare investimenti e programmi destinati alla cosiddetta rivoluzione verde verso nuovi contratti per accaparrarsi costosissime quote di gas in Nord Africa, Medio Oriente e Azerbaigian, carbone per riaprire le vecchie centrali dismesse e rigassificatori.

In base ai dati analizzati dal gruppo di esperti Ember Climate per il Financial Times si stima che i governi europei spenderanno almeno 50 miliardi di euro questo inverno per infrastrutture nuove e ampliate per gas e combustibili fossili, a fronte di circa 280 miliardi di euro già stanziati tra settembre 2021 e luglio 2022 per proteggere i consumatori dall’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia, prevedendo tagli alle tariffe del carburante, il pagamento del gas spedito e la distribuzione di sussidi e bonus alle famiglie vulnerabili. Del resto stanno giungendo appelli da tutto il mondo industriale, soprattutto da realtà come la siderurgia, fortemente energivora, ma che rappresenta la spina dorsale del sistema industriale europeo.

«Rischiamo la morte dell’industria»

«L’Unione Europea deve assumere misure immediate e senza precedenti per far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia, che rischiano di causare la morte dell’industria siderurgica europea e la deindustrializzazione permanente del continente», ha affermato il 7 settembre l’associazione dei grandi produttori europei di metalli non ferrosi Eurometaux, in una lettera aperta inviata alla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, alla presidente del parlamento europeo Roberta Metsola e al presidente del Consiglio europeo Charles Michel, a pochi giorni dal vertice straordinario di Praga per discutere misure tese a contenere l’aumento dei prezzi di gas ed energia elettrica.

Eurometaux ricorda che la crisi energetica ha già causato l’arresto del 50 per cento della capacità produttiva di alluminio e zinco dell’Europa, nonché tagli di vasta entità all’output di semilavorati in silicio e ferroleghe, rame e nichel, fondamentali per consentire la transizione ecologica ed energetica proclamata in questi anni dalle istituzioni europee.

La guerra del gas

La tarda reazione di Bruxelles alla guerra del gas scatenata da Vladimir Putin e cavalcata dagli speculatori si è tradotta in una serie di proposte poco dettagliate espresse il 7 settembre dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen che vanno dal colpire gli extraprofitti dei produttori di energia, comprese le rinnovabili, passando per il famigerato tetto massimo al prezzo del gas russo, alla riduzione dei consumi, su base volontaria, di almeno il 15 per cento. In parallelo i paesi Ue hanno aumentato l’impiego dei combustibili fossili, compreso il carbone per evitare il collasso delle loro economie.

I progetti avviati a suon di miliardi dai paesi europei per far fronte ad una crisi annunciata, ma molto mal gestita, mostrano come sarà dunque difficile fare marcia indietro e ritornare nel breve termine alle politiche di contrasto alle emissioni inquinanti e ai cambiamenti climatici, nonostante sia i funzionari Ue che i leader dei governi europei affermino che tutto è temporaneo. Infatti, il breve periodo spesso non viene contemplato per impianti con tempistiche di avviamento e dismissioni di infrastrutture costose, soprattutto se realizzate in emergenza, e risulta difficile, salvo meccanismi di rimborso onerosi, chiedere agli operatori di dismettere dopo poco tempo infrastrutture senza un adeguato ritorno economico.

Rigassificatori e centrali a carbone

Nel brevissimo periodo a livello europeo sono sette i terminali galleggianti per il trattamento del gas naturale liquefatto da fonti non russe che dovrebbero entrare in funzione tra ottobre e il prossimo marzo in Germania, Paesi Bassi, Estonia e Finlandia a un costo totale minimo di 3,7 miliardi di euro. Almeno altri 19 sono previsti in tutta l’Ue per un totale di 10 miliardi di euro, escluse le spese per infrastrutture aggiuntive necessarie come condutture e pontili per poterle collegare a terra. Grazie a queste infrastrutture sarà possibile convogliare importazioni di gas per un valore stimato di circa 30 miliardi di euro, sempre secondo dati elaborati da Ember.

Per evitare il collasso economico e la chiusura delle industrie, diversi paesi, tra cui Germania e Paesi Bassi, hanno consentito la ripresa delle operazioni presso le centrali a carbone che fino a qualche mese fa erano chiuse o utilizzate come centrali di backup per il sostegno a impianti rinnovabili. A metà agosto, prima dell’interruzione dei flussi di gas dal Nord Stream 1, il colosso tedesco dell’energia Rwe ha annunciato che stava «attivamente supportando il governo di Berlino e i paesi europei nella gestione della crisi energetica».

«Stiamo anche ripristinando ulteriore capacità di carbone per gestire questa situazione», aveva dichiarato Michael Muller, direttore finanziario del gruppo alla Cnbc, precisando che il piano avrebbe previsto il ripristino della rete di tre centrali elettriche a lignite dall’inizio di ottobre. Secondo dati dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), il consumo di carbone nell’Unione Europea aumenterà del 7 per cento nel 2022, dopo il balzo record del 14 per cento registrato nel 2021 

Tutti corteggiano il gas dell’Algeria

Molto è stato fatto inoltre per gli approvvigionamenti di gas.  Il 5 settembre la von der del Leyen ha annunciato che la dipendenza dell’Europa dal gas russo è scesa dal 40 per cento al 9 per cento grazie ai nuovi accordi stretti in questi mesi con altri partner. Tali accordi difficilmente verranno stracciati nel giro di un anno o due. Tra maggio e luglio, Bruxelles ha infatti annunciato contratti e intese sul Gnl con Stati Uniti, Qatar, Azerbaigian, Egitto e Israele per aumentare le forniture.

Nello specifico l’accordo dell’Unione europea sulle importazioni di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti punta a ottenere 15 miliardi di metri cubi di gas nel 2022, con un aumento di almeno 50 miliardi di metri cubi all’anno entro il 2030, a fronte di 155 miliardi di metri cubi di gas russo fluiti in Europa nel 2021. Inoltre, dopo le visite di Mario Draghi ed Emmanuel Macron, anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha compiuto una visita a sorpresa in Algeria il 5 settembre, nel tentativo di ottenere ulteriori quote di gas dal corteggiatissimo partner africano.

Le manovre dei leader europei vanno nella direzione di ridurre la dipendenza dal gas russo, ma devono anche fare i conti con una serie di limiti strutturali che potranno essere superati solo con investimenti adeguati nel settore degli idrocarburi per garantire gli approvvigionamenti necessari a mantenere l’indipedenza dal gas russo nel medio termine e non solo nel breve.

Un esempio è l’Algeria, il paese in questo momento più importante per quanto riguarda le forniture all’Ue sul fianco meridionale, che però ha forti limiti di esportazione con tre gasdotti che la collegano all’Europa, di cui solo due dei quali attivi: il gasdotto sottomarino TransMed verso l’Italia (capacità massima di 32 miliardi di metri cubi all’anno); il gasdotto sottomarino MedGaz che collega l’Algeria alla Spagna (capacità attuale di 8 miliardi di metri cubi ampliabile a 10 miliardi); il Maghreb Europe Gas Pipeline (Gme) è chiuso dal novembre 2021 per le tensioni tra Algeria e Marocco relative alla questione del Sahara occidentale.

Le mosse dell’Italia

L’Italia ha seguito e forse guidato le mosse dell’Ue almeno sul gas, muovendosi prima e meglio di altri partner europei. Il governo di Mario Draghi ha firmato già ad aprile gli accordi per importare ulteriori 9 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Algeria, a fronte dei 22,6 miliardi importati nel 2021 e ottenendo nuove concessioni per l’Eni per la ricerca di nuovi giacimenti e l’efficientamento di quelli già esistenti. Alle intese con l’Algeria fatte in primavera si sono aggiunti accordi con Angola, Repubblica del Congo, Mozambico, Egitto, Qatar e Azerbaigian. L’aumento delle forniture dai partner stranieri risente però sia della capacità di produzione dei singoli Stati che della insufficienza di infrastrutture per il trasporto tramite gasdotto o Gnl, la risorsa più penalizzata.

L’iter autorizzativo per i due rigassificatori acquistati da Snam per aumentare l’autonomia energetica dell’Italia dalla Russia – situati rispettivamente a Ravenna e Piombino – si completerà solo entro ottobre con le due navi che dovrebbero arrivare nei primi mesi del 2023. Anche l’Italia è stata quindi costretta a seguire l’esempio dei “virtuosi” tedeschi e olandesi, e ha aumentato il consumo di carbone, rimasta l’unica risorsa pronta all’uso per consentire di alimentare la rete elettrica nel brevissimo termine.

Il ministero della Transizione ecologica ha presentato un piano per evitare il consumo di 5,3 miliardi di metri cubi di gas nel prossimo inverno che sarà possibile sostanzialmente mandando a tutta potenza le centrali a carbone e olio combustibile. Il governo sta lavorando per aumentare la produzione di energia tra il 20 e il 25 per cento dalle sei centrali a carbone e una a olio combustibile esistenti in Italia. Gli impianti sono: Fusina, Brindisi, Torre valdaliga e Portovesme (gestite dall’Enel); Fiumesanto (gestita da Ep Produzione); Monfalcone e San Filippo Del Mela, gestita da A2a, con l’ultima alimentata a olio combustibile.

Il Green Deal risentirà della crisi del gas

A fronte di questo scenario appaiono ancora più paradossali le discussioni avvenute a giugno nell’aula dell’Europarlamento relative al pacchetto di riforme Fit for 55 per ridurre le emissioni di almeno il 55 per cento entro il 2030 e al “RePowerEu”, che prevedevano 210 miliardi di euro da finanziamenti pubblici e privati per ridurre la dipendenza dal gas russo entro il 2027 di cui però solo 12 miliardi destinati alle infrastrutture di gas e petrolio, senza nemmeno menzionare il carbone. Secondo, l’analisi di Ember, la spesa per questo inverno sarà almeno quattro volte superiore e aumenterà ancora di più se si aggiungono ulteriori sussidi dei vari governi per sostenere famiglie e imprese.

La lotta ai cambiamenti climatici sembra, almeno per il momento, essere passata nella seconda pagina delle agende dei leader dell’Ue rispetto al rischio di non poter garantire ai propri cittadini luce, gas e, in caso di un crollo del sistema industriale, anche beni di prima necessità. Un esempio è stata l’assenza dei leader europei al vertice Africa Adaption Summit organizzato a Rotterdam a cui hanno partecipato ben tre presidenti africani: il senegalese Macky Sall, il ghanese Nana Akufo-Addo e il congolese Felix Tshisekedi. Unico leader europeo presente il premier olandese Mark Rutte. «Non posso fare a meno di notare, con una certa amarezza, l’assenza di leader del mondo industriale. Pensavo che se siamo riusciti noi a fare lo sforzo di lasciare l’Africa per venire a Rotterdam, sarebbe stato molto più facile per gli europei e quelli di altri paesi essere qui presenti», ha dichiarato piccato il senegalese Sall, raccogliendo il sostegno degli altri leader africani presenti.

Foto Ansa

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