
Good Bye, Lenin!
Eugeniu Iordăchescu, l’angelo che salvò le chiese dalla furia comunista
Ha salvato 12 chiese antiche, gioielli architettonici che si trovavano nell’area destinata alla costruzione di uno degli orrori del comunismo, il Palazzo del popolo di Bucarest (oggi sede del parlamento). Eugeniu Iordăchescu, nato a Braila nel 1929 e laureatosi in ingegneria civile a Bucarest, è morto il 4 gennaio scorso.
Era il marzo del ‘77 quando un forte terremoto colpì la capitale romena. Il dittatore Ceaușescu ne fu terrorizzato e i suoi consiglieri lanciarono l’idea di costruire una sorta di fortezza camuffata da «centro politico-amministrativo» che fosse in grado di proteggerlo da situazioni a rischio. Dopo mesi di studi il team di ingegneri giunse alla conclusione che per fare spazio al nuovo complesso era necessario demolire 7 chilometri quadrati di edifici e trasferire 30.000 residenti. I lavori per la mega-struttura iniziarono negli anni ’80, e fino all’89 furono demolite migliaia di edifici tra i quali opere architettoniche di valore storico.
IL VASSOIO E I BICCHIERI
All’epoca Iordăchescu era uno dei responsabili dell’ufficio progetti della capitale, e il pensiero che sarebbero stati distrutti numerosi edifici legati alla tradizione del suo popolo lo tormentava. Poi venne il bel giorno: «L’idea mi venne come un dono, una grazia di Dio che mi accompagnò passo passo», ha raccontato qualche anno fa alla tv. Lo capì osservando un ristorante pieno di gente, dove i camerieri si muovevano con agilità portando i vassoi con i bicchieri pieni, senza far cadere una goccia. Ecco la soluzione: tagliare le antiche fondamenta, sollevare l’edificio, infilarci sotto una sorta di «vassoio», imbragare il tutto e portarlo altrove facendolo scorrere piano piano sulle rotaie. Una volta sul posto, il «vassoio», costruito secondo norme antisismiche, veniva posato sulle nuove fondamenta con tutti i «bicchieri».
Iordăchescu raggruppò un team di ingegneri che gli diedero del visionario, ma alla fine riuscì ad ottenere l’approvazione del progetto.
«CE L’HANNO FATTA»
Il primo edificio salvato fu la chiesa di Schitul Maicilor, che risale agli inizi del XVIII secolo. «La sua demolizione sarebbe stata un disastro – ha ricordato l’ingegnere: – avremmo perso un monumento del 1726, mentre i media stranieri stavano già criticando quel che avveniva a Bucarest». Così l’edificio pesante 745 tonnellate fu spostato di 250 metri. Fu un successo, interno ed internazionale, il «metodo del vassoio» fu approvato a livello ufficiale. Iordăchescu ha raccontato che «Elena, la moglie di Ceaușescu, visitando il cantiere, sussurrò al marito: “Hai visto, ce l’hanno fatta”. Ah, quindi ci avevano autorizzato pensando che non ci saremmo riusciti! Così invece potemmo ottenere i permessi per spostare una dozzina di altre chiese».
OPERAI E PERSINO SOLDATI
Elena Ceaușescu è responsabile anche della distruzione della chiesa del Venerdì Santo, avvenuta nel 1987. L’antico edificio era un luogo che da sempre raccoglieva fedeli e visitatori. Finì peggio che nel film di don Camillo: la gente del quartiere scese in strada a protestare e accendere delle candele attorno all’edificio, noncurante della polizia – perché quand’è troppo è troppo. Gli operai (persino i soldati!) si rifiutarono di salire sui bulldozer, e le autorità comuniste per condurre a termine lo scempio dovettero arruolare i detenuti.
SALVATORE DI CHIESE
Grazie a Iordăchescu si salvò anche la chiesina settecentesca di San Giovanni, così leggera ed elegante, una delle chiese più frequentate e famose del centro cittadino ma troppo esposta rispetto al progetto, perciò fu spostata di 23 metri e incastrata dietro ai nuovi falansteri comunisti.
Poi venne la volta del monastero di Mihai Vodă, costruito alla fine del ‘500 e circondato da mura in pietra, uno degli edifici più antichi di Bucarest che nei secoli aveva ospitato anche un ospedale militare e l’archivio nazionale. Solo la chiesa del complesso pesava 3700 tonnellate, e fu spostata di 298 metri lungo un piano inclinato, con il problema di fermarla prima che «decollasse». E che dire dello spostamento del Palazzo sinodale, un complesso di 9.000 tonnellate? Era l’autunno dell’84, e anche stavolta si mise di mezzo Elena Ceaușescu, secondo la quale il monastero continuava a vedersi troppo, «perciò – ha raccontato l’ingegnere – dovemmo demolirne una parte dopo averla spostata, e oggi il complesso appare sbilanciato, come se l’avessero modificato degli idioti; ma noi fummo solo costretti ad eseguire gli ordini, lavorando a -20°».
L’ANGELO CUSTODE
Eugeniu Iordăchescu, l’«angelo custode» delle chiese – com’è stato soprannominato, – era vedovo dal 2005, i suoi due figli hanno proseguito professionalmente la via paterna. Nel 2016 ha ricevuto la massima onorificenza del patriarcato ortodosso per aver salvato una trentina di edifici, chiese ma anche una banca, un ospedale e alcune case d’abitazione, trasferite con tanto di condutture.
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