
Esme, nata a 23 settimane, ora sta bene (fosse stato per i medici, sarebbe morta tre volte)
Esme è una bambina nata il 18 dicembre a cui fu data una possibilità di sopravvivenza dell’1 per cento. Ma la piccola, nata viva a 23 settimane, ha continuato a combattere per mesi, ribaltando i pronostici nefasti dei medici. «Partivano sempre già sconfitti e così le hanno anche creato problemi ulteriori», ha spiegato sua madre, la signora Barrett, intervistata dal Daily Mail.
DA UN OSPEDALE ALL’ALTRO. Tutto inizia quando per Barrett, alla 19esima settimana di gravidanza, cominciano le contrazioni. Quattro giorni dopo, ricoverata all’ospedale di Navil, ad Abergavenny, le si rompono le acque. I medici le dicono subito che l’alternativa è fra l’aborto e un parto entro 48 ore. La donna non ci crede, e quando le contrazioni si fermano, tira un sospiro di sollievo. I medici però, anziché confortarla, le danno l’ennesimo verdetto infausto: «Dicevano che non c’era possibilità che la bimba sopravvivesse senza liquidi, e che la gravidanza non si sarebbe sviluppata normalmente». Di nuovo i dottori suggeriscono alla donna di abortire, ma Barrett e il marito decidono «di lasciare che la natura faccia il suo corso». Due settimane più tardi la donna viene dimessa dall’ospedale. Le comunicano che le somministreranno gli steroidi in caso di contrazioni, per far procedere la gravidanza fino alla ventiquattresima settimana. «Invece, quando ero alla 23esima, mi dissero che non me li avrebbero dati – racconta Barrett – perché pensavano che avrei comunque abortito. Mi accorsi che si erano arresi». Al contrario la donna sa che nell’ospedale vicino, il Royal Gwent, una ragazza in condizioni simili alle sue è stata trattata con gli steroidi, così anche lei si trasferisce lì. Al Royal Gwent le fanno subito un’iniezione: «Non riesco ancora credere – spiega – che due ospedali della stessa zona possano avere approcci così diversi!».
FASE ACUTA SUPERATA. Nel nuovo ospedale, la donna ha un’ulteriore complicanza, serve subito un parto con taglio cesareo. Tutti pensano che la bimba non sopravviverà, essendo rimasta senza liquidi per cinque settimane. Le possibilità che Esme ce la faccia sono dell’1 per cento: «Erano convinti che me l’avrebbero data in braccio e che sarebbe subito morta. Ma piangeva, non ci potevano credere». Per i primi due giorni la piccola rimane in terapia intensiva senza che la madre possa vederla. Tutto sembra procedere al meglio, ma i medici mettono in guardia i genitori: «Le cose possono andare bene e peggiorare improvvisamente», le dicono. Invece la piccola riesce a superare la fase critica: «Continuava a migliorare e dopo otto settimane è stata riportata nella neonatologia dell’ospedale di Navil», dice Barrett.
SFIDA AGLI SCETTICI. Qui Esme comincia a respirare male, pare che abbia un problema ai polmoni. Tuttavia viene dimessa. «Però continuava a peggiorare – racconta la madre – e mentre la riportavo in ospedale smise di respirare». Una volta raggiunti i dottori la questione viene ridotta a una bronchiolite. Barrett spiega allo staff ospedaliero che secondo lei c’è qualcosa di più, ma i medici insistono: è un’infezione. Le condizioni della piccola peggiorano e finalmente Esme viene trasferita nell’ospedale dell’Università del Galles, a Cardiff: «Uno dei suoi polmoni era collassato. Stava davvero male e ci prepararono di nuovo al peggio», spiega Barrett. Ma ancora una volta Esme sfida i più scettici. Il polmone della piccola recupera le funzionalità, anche se solo in parte, lasciando i medici esterrefatti. Oggi, otto mesi dopo tutto questo, ancora non si sa se la bimba dovrà subire altri interventi o se invece il polmone si riprenderà completamente. Certo, conclude la madre, «se mi avessero ascoltata prima, avremmo potuto evitare anche tutto questo».
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7 commenti
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Caro alcofibras, forse non capisci che in ballo non c’è la professionalità e l’elenco dei rischi che come medico devi comunicare. Il livello è sulla non-speranza che i medici hanno usato. È sul livello ideologico del “tanto andrà finire male”. Se il mondo della medicina fosse stato nella storia pieno di dott così non avremmo molte delle cure attuali (vedi sabin)…e oggi si dovrebbe entrare in ospedale solo per le malattie facili (pazienti e medici). L’atteggiamento di un vero medico dovrebbe essere “guarda la strada è dura e i miei dati dicono che è difficile però io cammino e lotto con te se tu lo vuoi”.
Caro alcofibras, forse non capisci che in ballo non c’è la professionalità e l’elenco dei rischi che come medico devi comunicare. Il livello è sulla non-speranza che i medici hanno usato. È sul livello ideologico del “tanto andrà finire male”. Se il mondo della medicina fosse stato nella storia pieno di dott così non avremmo molte delle cure attuali (vedi sabin)…e oggi si dovrebbe entrare in ospedale solo per le malattie facili (pazienti e medici). L’atteggiamento di un vero medico dovrebbe essere (o quello che vorrei dal medico che cura mio figlio o con cui faccio la pausa pranzo come collega) “guarda la strada è dura e i miei dati dicono che è difficile però io cammino e lotto con te se tu lo vuoi”.
Non solo i medici vi hanno curato, ma gli sputate pure sopra. La prossima volta andate da qualche altra parte invece che all’ospedale
Cerco di contenere le parole, caro Alcofibras, ma ce ne vuole per esprimere un giudizio così cretino e superficiale, di fronte al dramma di una mamma cui i medici davanti alle difficoltà propongono l’aborto e solo per la sua insistenza e speranza riesce ad abbracciare una figlia viva.
Il dovere dei medici è curare senza ingenerare false speranze. Mi sembra che in questo caso sia stato fatto di tutto, chiedendo per le terapie invasive e rischiose il consenso dei genitori, ai quali venivano correttamente rappresentati tutti i rischi del caso. Insomma, per me qui i medici sono stati professionalmente bravissimi ed eticamente corretti. Cosa che non posso dire né dei genitori né dell’articolista, che li dipingono come cinici incompetenti