Esiste un “diritto al figlio”?

Di Aldo Vitale
04 Febbraio 2017
Un neonato, ceduto dai genitori ad una coppia omosessuale dietro il pagamento di 70.000 euro, ripropone un interrogativo sempre più frequente nelle società moderne

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Secondo quanto riportato di recente dalle principali agenzie di stampa nazionale, da poco sarebbe iniziata la vicenda giudiziaria che riguarda un caso di alterazione dello stato civile di un neonato che la coppia di genitori biologici avrebbe “ceduto” ad una coppia di persone del medesimo sesso dietro il corrispettivo di 70.000 euro.

Trattandosi di una vicenda giudiziaria molto delicata e ancora in corso, vigendo sempre e comunque la presunzione d’innocenza, e non avendo prove per effettuare affermazioni in concreto sul predetto caso concreto rispetto a quelle fornite dai suddetti organi di stampa, in questa sede si prenderà soltanto spunto da una tale vicenda che pare propizia per riflettere brevemente su una idea di carattere generale che sempre più spazio occupa nella scena dell’opinione pubblica contemporanea, cioè l’idea che esista un diritto al figlio.

Quella attuale è stata definita l’epoca in cui i desideri diventano diritti tanto da giustificare la legalizzazione di qualsiasi tipo di istanza socialmente determinata.
Avendo sostituito l’epoca contemporanea il fondamento del diritto risiedente nella natura umana, con il criterio socio-storico, si crede oramai che di necessità al mutare del sentire sociale mutino le categorie etiche e anche quelle giuridiche.

Non è un caso che si pretenda da parte del medesimo ordinamento (tale perché dovrebbe essere ordinato e ordinante oltre che basato su un ordine ed una coerenza logica ed etica che ne evidenzino l’unità e l’unitarietà) la tutela e il riconoscimento di situazioni che sono logicamente opposte come il desiderio di procreare, tramite la legalizzazione delle tecniche di procreazione assistita, o il desiderio di non procreare, tramite la legalizzazione dell’aborto.

Gli esempi, del resto, possono essere molteplici: si pensi da un lato alla volontà sociale di dar vita alla fattispecie criminosa di omicidio stradale per coloro che si mettono alla guida sotto l’effetto di sostanze in grado di alterne la lucidità, e dall’altro alla spinta altrettanto sociale di legalizzare le sostanze stupefacenti come la cannabis.

Insomma, tutto e tutto il contrario, purché, in ogni caso, vi sia la copertura della legittimazione dell’ordinamento legale che non è più chiamato a tradurre una razionalità giuridica universale, ma soltanto le volontà contingenti dei singoli o dei gruppi.

In questo scenario si iscrive la configurazione, sempre più pressante, del diritto al figlio a cui consegue tutta una serie di adattamenti e modifiche legislative: l’estensione dell’adozione oltre i casi connessi alla natura dell’istituto, la legalizzazione della maternità surrogata, la legalizzazione della fecondazione eterologa, la compravendita di ovuli, sperma, embrioni e perfino feti o neonati.

In fondo, se la legge deve limitarsi soltanto a legalizzare le istanze individuali e collettive che si determinano secondo i gusti o i desideri socialmente espressi, qualunque modalità tecnica consenta di diventare genitori deve essere legalizzata, come di fatto sta avvenendo da ormai alcuni decenni a livello globale.

Ma il diritto al figlio è davvero giuridicamente configurabile?

Persone singole, coppie dello stesso sesso, coppie infertili di sesso diverso, o anche gruppi o chiunque altro possono davvero reclamare un diritto al figlio? Quali difficoltà esistono per il riconoscimento di un simile diritto? L’ordinamento dovrebbe o non dovrebbe riconoscere e tutelare un simile diritto? E con quali mezzi?

Questi sono soltanto alcuni degli più impellenti interrogativi che si pongono allorquando ci si soffermi a riflettere su un tema così articolato e delicato.

In primo luogo: si dovrebbe comprendere l’origine giuridica di un diritto come il diritto al figlio.
Si tratta di un diritto naturale e fondamentale della persona, cioè dei candidati genitori? Si tratta di un diritto autonomo o legato ad altri come la salute e l’autodeterminazione? E se invece di una origine giuridica avesse altra origine, come, per esempio, quella economico-finanziaria? La diffusione della maternità surrogata a pagamento, più volgarmente definita come utero in affitto, non dimostra forse che solo i più facoltosi e abbienti riescono a soddisfare le proprie pretese riguardo al progetto genitoriale?

In secondo luogo: come per tutti i diritti, è necessario comprendere e definire l’ampiezza e la portata del diritto al figlio; per esempio, sarebbe opportuno chiarire se esso comprenda anche il diritto di mettere in essere tutte quelle pratiche bio-mediche che consentono di selezionare (eugeneticamente) il figlio e i suoi caratteri come il sesso, il colore degli occhi o dei capelli, le patologie di cui eventualmente è portatore ecc. Sorge il quesito se l’ordinamento giuridico possa acconsentire ad una pratica di questo tipo, soprattutto alla luce del fatto che, almeno normativamente e in linea di principio, sia la legge che i tribunali hanno sempre escluso la legittimità delle pratiche eugenetiche, come nel caso dell’aborto eugenetico.

In terzo luogo: sarebbe altresì necessario guardare agli effetti sistematici a cui condurrebbe il presunto diritto al figlio, cioè comprendere cosa potrebbe accadere alla qualificazione giuridica del figlio una volta che se ne reclamasse il diritto; il figlio che, con tutta evidenza, è oggetto del diritto reclamato dagli aspiranti genitori, non diventerebbe una res, cioè una cosa, come tutti gli oggetti su cui si reclamano diritti? Non viene elisa la sua dimensione personale? Non viene cancellata quella fondamentale distinzione teorico-giuridica generale per cui le persone rivendicano diritti, mentre sulle cose gravano i diritti che le persone rivendicano? Come si potrebbe rivendicare un diritto su una persona? E verso chi dovrebbe essere rivendicato? L’altro coniuge? Lo Stato?

Configurare un diritto al figlio, a prescindere dai mezzi legali o illegali, leciti o illeciti, come la cultura contemporanea sempre più tende a fare, altro non vuol dire che sostituire alla visione personalista che informa il diritto e i principi dello stesso, una visione, almeno per ora, economicistica, posto che, al di là di ogni ulteriore considerazione, per adesso, il diritto al figlio viene reclamato da coloro che hanno i mezzi finanziari per ottenerne il soddisfacimento.

Ciò che, infine, maggiormente stupisce è la circostanza per cui una tale situazione è, il più delle volte, direttamente o indirettamente sostenuta da coloro che appartengono e si inscrivono, più o meno consapevolmente, nell’alveo della cultura progressista contemporanea, cioè, per intendersi, quella che ha ereditato il peso politico e morale del marxismo, dimenticando proprio le parole dello stesso Marx che a simili evenienze perfettamente s’adattano: «La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose».

Foto da Shutterstock

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