
Esiste anche uno spread nel pallone. Ma da quella Germania si può imparare
Il Borussia strapazza in casa il Real, lo Schalke fa l’impresa ed espugna l’Emirates Stadium, là dove nessun club straniero è riuscito mai a vincere, e un Bayern pragmatico vince facile contro il Lille recuperando la testa del girone. Se c’era bisogno di un’ulteriore conferma, le notti europee di questa settimana ce l’hanno data chiara: il calcio tedesco è in crescita costante. E non possiamo più limitarci ad applaudire le belle partite della corazzata Germania, la Nazionale teutonica che negli ultimi anni ha stupito tutti con giovani leve sempre pronte, gioco frizzante e titoli sfumati sul più bello (negli ultimi dieci anni tra Mondiali ed Europei non sono mai andati più indietro del terzo posto). Ora la crescita del calcio tedesco ha attecchito nel migliore dei modi anche nei club: il livello della Bundesliga si alza di anno in anno, le rose si fanno sempre più competitive e anche il calcio europeo deve riconoscere i successi del modello tedesco.
FINE ANNI NOVANTA. Torniamo indietro di 15 anni e ripercorriamo rapidamente la storia del calcio in Germania: era il maggio 1996-97 quando le due massime coppe europee prendevano la strada della Vestfalia. Borussia Dortmund e Schalke 04 portavano a casa Champions League e Coppa Uefa (battendo in finale Juventus e Inter), a coronare un decennio dove il pallone tedesco si era portato a casa un Mondiale e un Europeo. Ma era un mondo, quello di Klinsmann e Matthaus, di Hassler e Moller, di Kohler e Kopke, ormai sempre più anziano e impolverato: stava per finire, e nel peggiore dei modi. Il flop degli uomini di Berti Vogts alla Coppa del Mondo del ’98 (eliminati 0-3 ai quarti dalla sorprendente Croazia) fu l’emblema della fine di una generazione ormai giunta al capolinea della sua carriera, incapace di trovare sostituti nel proprio campionato. Altrettanto emblematica fu la vittoria di pochi anni dopo del Bayern in Champions (2000-01, finale a San Siro vinta ai rigori col Valencia): dell’11 titolare solo 4 erano tedeschi (e tutti “over 30”), segno di un gioco sì di successo, ma incapace di rigenerarsi.
LA CRISI DEL NUOVO MILLENNIO. E così, ecco che i primi anni del nuovo millennio portarono la crisi: ci si stupì nel 2002 quando la Nazionale allenata da Rudi Voller riuscì ad arrivare addirittura in finale dei Mondiali di Corea e Giappone, dopo che due anni prima agli Europei era stata eliminata ai gironi con zero vittorie e un solo gol fatto, score simile a quanto fatto 4 anni più tardi in Portogallo, quando la selezione teutonica se ne tornò a casa con 2 punti in tre partite. Nelle coppe internazionali, nel frattempo, i club continuavano il loro ruolo di outsider: dal 2000 ad oggi in Coppa Uefa solo due squadre sono arrivate in finale (senza mai vincere), mentre in Champions la finale persa dal Bayer Leverkusen nel 2002 apriva un lungo periodo di astinenza tedesca dai primi posti della coppa con le orecchie, terminati solo col Bayern nel 2010. In mezzo è successo qualcosa: nuove dinamiche, più attenzione ai giovani, nuove politiche societarie. E la Germania è rinata.
SU LA TESTA. Il calcio tedesco ha saputo re-inventarsi, trovare nuove forme per crescere e riemergere dal fondo dove era stato relegato in Europa. Il Borussia è l’esempio più lampante di questo: dal mezzo fallimento economico in cui era finito anni fa è uscito nel migliore dei modi, con due titoli nazionali vinti negli ultimi due anni, la bella impressione fatta in queste prime uscite di Champions, una rosa dall’età media bassissima (23 anni) e al 70% composta da giocatori tedeschi, spese contenute, marketing in crescita del 20% e stadio sempre pieno (il Westfalenstadion conta 54mila abbonati, e di rado non riempie i suoi 80mila posti). Lo Schalke insegue a ruota, con un organico ancora più giovane e il terzo posto in campionato. Il Bayern è primo, ma lo stato di salute del suo gioco non è notizia di oggi, alla luce delle due finali di Champions degli ultimi tre anni. Insomma, questi giorni di coppe hanno rilanciato sì la notizia del pessimo stato di forma del nostro calcio, ma hanno riproposto insistentemente il modello cui guardare, quello tedesco. Dove dalla crisi del pallone si è usciti più forti.
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