La preghiera del mattino

L’escalation cercata da Biden in Ucraina ora spaventa anche gli americani

Mario Draghi e Joe Biden alla Casa Bianca
Mario Draghi ricevuto ieri alla Casa Bianca da Joe Biden (foto Ansa)

Su Huffington Post Italia Giulia Berardelli scrive: «“In Italia e in Europa le persone vogliono la fine di questi massacri, di questa violenza, di questa macelleria. Le persone pensano a cosa possiamo fare per portare la pace”. E ancora: “Dobbiamo utilizzare ogni canale per la pace, per un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati credibili”. È questo il cuore del messaggio portato da Mario Draghi a Joe Biden durante la prima visita di un leader europeo alla Casa Bianca dall’inizio della guerra di Vladimir Putin in Ucraina.

La visita di Draghi a Washington ha suscitato una grande attenzione sulla stampa italiana e internazionale.

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Su Formiche Ian Bremmer dice: «Non c’è dubbio che da parte americana abbiamo sentito dichiarazioni più aggressive di quelle del governo italiano. Penso alla frase del segretario Austin sull’obiettivo di indebolire la Russia e distruggerne le capacità militari. Ma sui fondamentali Roma e Washington sono al 100 per cento sulla stessa frequenza. Draghi è un leader straordinariamente forte e ha ottimi rapporti con Biden».

Bremmer all’inizio della guerra in Ucraina aveva detto che le posizioni prese, in quel momento, da Mario Draghi lo facevano apparire una sorta di Gerhard Schröder italiano. Una serie di simili attacchi da parte di vari ambienti dell’establishment americano hanno portato il nostro –politicamente debole – presidente del Consiglio ad atteggiamenti meno “indipendenti” che ancora non soddisfano del tutto Bremmer ma possono bastargli. I seguaci della guerra americana alla Russia per procura, dovrebbero tener conto, però, che Draghi ha rapporti diretti anche con Janet Yellen e con Goldman Sachs che negli Stati Uniti rappresentano posizioni non del tutto allineate con la strategia Biden-Austin.

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Sul Sussidiario si scrive: «“Draghi ha esordito con una linea diversa”, dice al Sussidiario Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore e direttore di Transatlantico.info. Draghi e Biden hanno appena parlato davanti ai giornalisti e ai fotografi, nel salottino della Casa Bianca, prima di dare il via al colloquio riservato. “Dobbiamo utilizzare ogni canale per la pace, per un cessate il fuoco e l’avvio di negoziati credibili”, ha detto il presidente del Consiglio. Non è la posizione del segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin e del presidente Biden, osserva Spannaus».

Spannaus ha ottimi rapporti con settori dell’intelligence e del Pentagono, non del tutto convinti della linea Biden-Austin

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Lorenzo Formicola scrive: «Poi è arrivato l’editoriale del premio Pulitzer, Thomas L. Friedman, che, ancora dalle pagine del Nyt, scrive in un pezzo intitolato “La guerra sta diventando sempre più pericolosa per l’America, e Biden lo sa”: “Lo sbalorditivo risultato di queste fughe di notizie ci suggeriscono che non siamo più in una guerra indiretta con la Russia, ma, piuttosto, stiamo andando verso una guerra diretta – e nessuno ha preparato il popolo americano, o il Congresso, per questo”».

L’articolo di Friedman ha una particolare importanza e bene fa la Nbq a rilevarlo.

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Su Huffington Post Italia Michela Clienti scrive: «Oggi, in un colloquio telefonico con il suo omologo francese Emmanuel Macron, il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping ha esortato – di nuovo – i paesi europei a “prendere in mano la sicurezza” del Vecchio Continente. Una divisione in blocchi, ha tuonato il segretario del Pcc, è “la minaccia più grande e più duratura per la sicurezza e la stabilità globali”».

Sono i cinesi ad avvicinarsi a Parigi o viceversa? Un po’ tutte e due le cose.

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Su Affaritaliani Alberto Maggi scrive: «“Serve una capacità di mettere in campo una strategia per il cessate il fuoco e per un quadro di sicurezza europea. Una nuova strategia di sicurezza europea, che porti ad una “Helsinki 2”, è alla base di una fuori uscita da questa situazione inaccettabile innescata dall’imperialismo di Putin”. Con queste parole il responsabile Sicurezza della segreteria del Partito democratico, Enrico Borghi, risponde alla domanda di Affaritaliani.it se sia giusto continuare a inviare armi».

Quella sorta di armata Brancaleone, guidata da un prefetto già francese ora più schierato con Washington, che è il Pd si sta accorgendo che allinearsi senza intelligenza alla linea Biden-Austin porta a una strada senza sbocco.

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Su Dagospia si riporta un articolo di Maurizio Belpietro sulla Verità nel quale si scrive: «Manco una minaccia diretta all’Europa, solo un po’ di fuffa contro gli Stati Uniti, roba che si è già sentita e risentita. Alla fine, ai grandi scornati speciali non è rimasto che riciclare qualche articolo sulle condizioni precarie di salute di Putin e, udite udite, sulla cravatta a pois annodata intorno al collo, una Marinella, forse regalo di Silvio Berlusconi in tempo di pace. “Si tratta di un modello classico, elegante, che di solito si mette nelle occasioni speciali”, ha commentato alla radio il titolare del negozio napoletano di cravatte sartoriali. Eh, già, messe da parte le cronache belliche, per cercare di raccontare l’evento non restano che quelle di moda. È la stampa bellezza, che sa dimostrarsi ridicola anche davanti a una tragedia».

La tentazione di prendere in giro il nostro “giornalista unico con elmetto” che prevedeva tuoni e fulmini dal discorso di Vladimir Putin alla sfilata del 9 maggio, è irresistibile. E Belpietro non le resiste.

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Su Open si scrive: «Nelle prime ore di stamattina arriverà il primo stop ai flussi di gas verso l’Europa. Ma a deciderlo non sarà Gazprom. Il gestore del sistema di trasporto di gas dell’Ucraina (Gtsou) ha annunciato che a causa dell’occupazione del Donbass il punto di ingresso di Sokhranivka si bloccherà. Ferma anche la stazione di compressione di confine (Cs) Novopskov sul gasdotto Soyuz. I flussi, ha fatto sapere il gestore, potrebbero essere reindirizzati a Sudzha, in Russia. Ma Mosca ha già avvertito che è impossibile spostare tutti i volumi e che non ci sono pericoli che consigliano di farlo. Di certo la stazione è occupata da russi e separatisti e da questa rotta passano 32,6 milioni di metri cubi di gas destinato all’Europa ogni giorno».

L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è stata una scelta sciagurata e bene ha fatto l’Occidente nelle sue varie articolazioni a punire Mosca con sanzioni e a sostenere la resistenza di Kiev. Però la scelta russa conteneva anche elementi di relativa moderazione (si continuava a pagare royalty all’Ucraina per il gas che passava attraverso il suo territorio, non si bombardava le ferrovie che consentivano a politici occidentali di visitare Volodymyr Zelensky). Siamo sicuri che la via di una sfrenata escalation assunta dal duo Biden-Austin risolva più problemi di quelli che crea?

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Su First online Fabrizio Galimberti e Luca Paolazzi scrivono: «Tutt’altra faccenda è lo scenario europeo, teatro della nuova guerra e dipendente da Russia e Ucraina per materie prime di ogni tipo e genere. Ciò spiega la caduta dell’indice di fiducia composito di famiglie e imprese, tornato vicino ai minimi della primavera del 2020. I consumatori avevano iniziato a spostare acquisti dai beni ai servizi, e questo spiega perché la curva delle vendite al dettaglio reali stesse già flettendo prima del conflitto. Le salate bollette di gas e luce e gli esosi pieni ai serbatoi delle autovetture toglieranno molto potere d’acquisto. I governi si stanno affannando a sostegni con opportune misure fiscali, ma se il prezzo delle commodity non scendesse, prima o poi il conto arriverà agli utilizzatori finali: evitare la recessione diventa una mission impossible. Peraltro in marzo già le produzioni industriali tedesca, francese e spagnola sono cadute, e molto, causa mancanza di pezzi da lavorare: questo vuol dire lavoratori a casa con integrazioni salariali che sono inferiori alla busta paga normale, quindi minor reddito e minori consumi».

Due economisti, pur iperatlantici, spiegano alcuni dei problemi che un’escalation senza freni provocherà in Europa.

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Sugli Stati generali Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne della Rete italiana Pace e disarmo scrive: «Pensiamo alla Siria. Si combatte da più di dieci anni. Che tipo di diritti, che tipo di possibilità ci sono lì per le persone? È il modo giusto per far cadere un regime come quello di Assad, che sicuramente è liberticida? Non credo, perché una situazione del genere rafforza solo gli estremi e la dittatura. Anche in questo caso i gruppi ucraini con cui siamo in contatto ce l’hanno detto chiaramente che inviare armi avrebbe solo creato un’escalation che sta consentendo solo di ridurre i diritti interni degli ucraini perché in un contesto di guerra vale tutto. Questi sono percorsi sbagliati».

Sono evidenti i limiti di un pacifismo che contrappone la testimonianza alla politica. Si finisce per mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore. È anche evidente, però, che le scelte americane nel post Guerra fredda di affrontare le crisi internazionali con un’impostazione unilateralista, senza cercare accordi con chi non si allinea e senza lavorare per trattati che garantiscano la sicurezza generale e non solo quella “occidentale”, non hanno funzionato molto in tutti questi trenta anni: così nel Corno d’Africa, così in Sudan, così in Afghanistan, così in Iraq, così in Siria, così in Libia. E questo è un fatto, anche se non si condividono le posizioni del pacifismo radicale.

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