
Emergenza immigrati o emigrati? Per ogni straniero che arriva, se ne vanno tre italiani

Altro che emergenza immigrati, se c’è un’emergenza di cui l’Italia deve seriamente occuparsi è quella che riguarda gli emigrati, i suoi cittadini che lasciano la patria inseguendo la fortuna all’estero. L’ultimo rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani nel mondo, ripreso oggi in un interessante articolo dalla Stampa, fotografa «una situazione a dir poco capovolta», scrive la giornalista Francesca Paci. «Per ogni straniero approdato nel 2014 ci sono 3 nostri connazionali che, nello stesso periodo, hanno fatto fagotto in cerca di un futuro migliore altrove».
DA CRISI ECONOMICA A DEMOGRAFICA. Forse è eccessivo parlare di un rovesciamento vero e proprio dell’allarme (l’arrivo in massa dei rifugiati è un fenomeno molto poco controllabile dal punto di vista numerico rispetto al flusso di ingressi “regolari” degli stranieri nel nostro paese), ma i numeri restano impressionanti. I dati raccolti dalla Fondazione Migrantes, spiega la Stampa, «analizzano gli ultimi 10 anni, giro di boa oltre il quale il numero degli emigranti è tornato a crescere come mezzo secolo fa. Al primo gennaio 2015 risultano iscritte all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, 4.636.647 persone, più 3,3 per cento rispetto al 2014 ma più 49,3 per cento rispetto al 2005». Al quotidiano torinese monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, dice: «Ai 33 mila ingressi dello scorso anno corrispondono 101 mila fughe all’estero, significa che non cresciamo più e che la crisi economica si sta trasformando in crisi demografica».
I NEO LAUREATI. Questo preoccupante contro-esodo dall’Italia verso il mondo riguarda soprattutto «uomini (56 per cento), celibi (59,1 per cento), d’età compresa tra i 18 e i 34 anni (35,8 per cento)», si legge ancora nell’articolo. «Molti sono Millennials, la generazione più istruita e al tempo stesso più penalizzata dal secondo dopoguerra a oggi. (…) Già oggi, calcola Migrantes, appena il 20 per cento degli studenti italiani spende il proprio titolo di studio in patria, il 60 per cento lo investe all’estero e il restante 20 si guarda intorno incerto su come muoversi».
IL SETTENTRIONE. Ma oltre all’ampiezza del fenomeno in sé, i numeri messi insieme dalla Fondazione raccontano anche un’altra stranezza: il significativo coinvolgimento del Nord del paese. «Lombardia e Veneto – sottolinea la Stampa – si piazzano rispettivamente al primo e al terzo posto per incremento delle partenze (più 24 mila e più 15 mila). Monsignor Perego spiega il neo protagonismo del nord con il perdurare della recessione: “Una parte di questa migrazione deriva da una precedente migrazione interna Sud-Nord, gente che spostandosi si era sistemata ma non abbastanza da reggere alla crisi”».
QUALI METE E PERCHÉ. Quanto alle mete preferite dagli emigranti italiani, le principali restano ovviamente altri paesi europei e Stati Uniti. Tuttavia anche a questo proposito c’è una novità da registrare: «Oltre a mete tradizionalmente appetibili come la Germania, la Svizzera e la Francia, ci sono la Cina e gli Emirati Arabi, dove in questi mesi si stanno trasferendo ingegneri e profili altamente qualificati», spiega sempre Perego alla Stampa. Ma attenzione, aggiunge il monsignore, qui non si parla solo di una élite attratta dalla capacità di spesa degli altri paesi: infatti «le cifre comprendono anche gli over 40 rimasti disoccupati troppo tardi per avere chance in Italia: almeno la metà di quelli che partono trova lavoro nei bar di Barcellona, nelle fabbriche tedesche, nell’attività artigianale in Gran Bretagna».
Foto aeroporto da Shutterstock
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9 commenti
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In Uk non vogliono più saperne di immigrazione, infatti: noi, invece, che siamo ricchi di Renzi, Alfano e Boldrini, abbiamo l’accoglienza ai “migranti” come settore di punta per il rilancio dell’economa, tassiamo i pensionati in fuga in Egitto, Marocco e Tunisia per farli rientrare e offrirgli l’opportunità storica di fare i badanti di giovani e arzilli egiziani, marocchini, tunisini, “sub-sahariani.” Così, il governo prende due piccioni con mezza fava e lucciole per “luci in fondo al tunnel.”
E intanto, ordini dall’alto, l’Ungheria è sparita da schermi e notiziari. Che nessuno veda, sappia, costati che il famigerato muro funziona, intanto che tutti ne parlano male (certo! La libera circolazione all’interno dell’Ue non vale solo per gli Europei! Vale anche per chi rifiunta di farsi identificare, chiaro, giusto, ovvio, si capisce!)
Ci credo che dal nostro paese scappino tutti.
L’Italia è diventato un paese fatto su misura per i mangiatori di tasse che vivono di spesa pubblica: politici, statali e pensionati retributivi.
Costoro vivono come nababbi ostentando i propri enormi privilegi in faccia al prossimo.
A chi non sta bene questa situazione viene detto, senza tanti complimenti, di togliersi dalle scatole e di andarsene.
E se qualcuno continua a contestare, gli sguinzagliano contro equitalia o la guardia di finanza.
Incredibile, io ho detto esattaemnte queste cose tre mesi fa in questa lettera (https://www.tempi.it/se-i-giovani-italiani-si-mettono-in-fila-davanti-al-consolato-degli-usa#.VhZl9SsztiC) e tutti mi hanno preso per i fondelli.
E c’è da chiedersi perché gli italian brillanti o quelli che semplicemente hanno perso il lavoro lasciano questo paese socialista, in cui 17 milioni di lavoratori produttivi sono costretti a mantenere 5 milioni di impiegati di stato pure di evitare l’austerity, e vanno in Gran Bretagna, paese che ha fatto dell’austerity la sua ragione di vita. In Gran Bretagna sono stati licenziati in tronco decine di migliaia di impiegati pubblici (austerity al massimo livello) e subito sono sorti più di un milione di posti di lavoro produttivi nel settore privato. Oltretutto, in GB è stata ridotta anche la massa monetaria.
A già, ma voi pensate che per risolvere tutti i nostri problemi bisogna aumentare la spesa pubblica, aumentare le assunzioni nel settore pubblico e pagare tutti questi posti di lavoro inutili azionando la stampante dei soldi e provcando l’inflazione (“perché l’inflazione impoverisce i ricchi e fa aumentare i posti di lavoro”). Insomma, voi pensate che non bisogna seguire il modello britannico ma il modello argentino, paese in cui l’inflazione sfiora il 40% e il Pil comiincia a contrarsi. A già, ma voi ignorate la realtà. Voi volete credere che in Argentina a causa del liberismo i bambini morivano di fame poi quando la socialista Kirchner ha azionato la stampante magica il pil ha cominciato a crescere del 7% annuo, che è lo stesso tasso di crescita del Giappone nei tempi d’oro. Pazzesco, voi credete che l’Argentina sia adesso più ricca del Giappone dei tempi d’oro (non del Giappone di oggi, che è in piena stagnazione grazie alle politiche keynesiane). Non solo, ma volete anche credere che il debito negli ultimi anni è aumentato non per colpa del governo, che non vuole tagliare la spesa clientelare, ma per colpa dei tedeschi e dell’euro…
Ma che vi è successo: avete tutti preso la pillola IM?
Scusa Giovanna, non è per fare il bastian contrario, non è nemmeno nella mia natura.
Vorrei portare la testimonianza, però, che la prima metà degli anni 80 l’ho vissuta nel nordvest dell’Inghilterra, al confine col Galles, non lontano da Liverpool e Manchester.
Il distretto che confinava la località dove abitavo (non da turista, intendo) era il Deeside, un tempo il cuore dell’acciaieria britannica.
Nel Galles si estraevano ingenti quantità di carbone (roba di ottima qualità, antraciti e litantraci), i cantieri navali di Liverpool lavoravano a pieno regime ed occupavano molte migliaia di dipendenti.
Le acciaierie di Shotton Works, ad un quarto d’ora di macchina da dove stavo io, erano una autentica cittadella di altoforni, occupando un’area enorme, e davano lavoro anch’esse a migliaia di addetti a vari livelli.
Complessivamente la zona aveva un concentrato di attività industriali tale che, se fino agli anni 70 uno era disoccupato, era solo perché era un pelandrone, uno che voleva lavorare neanche se l’ammazzi.
Quasi all’improvviso è cambiato il mondo: le acciaierie di Shotton per i tre quarti hanno chiuso e sono diventate delle immense cattedrali nella stretta lingua di terra tra l’estuario del fiume Dee ed i rilievi collinari gallesi, un tempo grandi produttori di carbone.
Chiuso, fine, buio.
I cantieri navali di Liverpool: all’epoca c’era la Thatcher, e la gente del nordest la accusava di aver commissionato grossi lavori di manutenzione navale a cantieri cinesi, determinando la chiusura di quelli di Liverpool.
Il carbone: quelli erano gli anni in cui i telegiornali erano quasi monopolizzati dalle notizie degli scioperi del National Coal Board, l’epoca di Scargill.
Scioperi dei minatori contro la chiusura delle miniere.
Il carbone è un bene di importanza strategica.
Ok, c’è anche l’uranio.
Ok, c’è anche il petrolio del mare del nord.
Ma il carbone resta sempre un prodotto strategico, “autarchico” là in UK, e da molte migliaia di stipendi ad altrettante migliaia di minatori, i quali hanno altrettante migliaia di famiglie che spendono gli stipendi in immobili, alimentazione, educazione e altri beni durevoli.
Ecco, mi permetto di sollevare qualche dubbio sulle politiche della Thatcher.
Mia figlia ha detto che oggi il lavoro operaio nella London Area quasi non esiste più.
C’è stata una massiccia terziarizzazione.
Francamente ho dei dubbi al riguardo se sia una cosa vantaggiosa a lungo termine.
Ma forse esagero un po’, perché ho una mentalità tendenzialmente autarchica sui beni strategici, e le risorse energetiche sono uno dei principali beni strategici.
Non si può comperare tutto da fuori sperando in un Commonwealth di anno in anno sempre più islamizzato.
In My Humble Opinion.
L’articolo dice il vero.
Mia figlia, quella grande, è nata in UK.
Ha fatto medie e superiori in Italia, poi all’università è tornata in UK.
E si è portata dietro anche il fidanzato.
Lavorano entrambi a Londra, pare siano piazzati bene.
Pagano l’equivalente di 1200 euro per un appartamentino alla periferia sud della città.
Il bello è che vorrebbero tornare in Italia, nel Lazio o nel Cagliaritano.
Ma hanno paura a lasciare il lavoro a Londra ed andare incontro ad una lunga disoccupazione in Italia.
Il cancro è stata la chiusura delle miniere sia a Cagliari che sull’Amiata.
Quando lavoravano le miniere era un’altra cosa, c’erano stipendi, speranze per il futuro.
Con la chiusura delle miniere è sceso il buio.
Adesso resta il bosco, come cent’anni fa.
La differenza è che oggi si lavora con le motoseghe ed i trattori, una volta con le accette ed i muli, ma il lavoro è sempre quello.
Nell’attuale situazione di “progresso”, si è messa l’animo in pace che la sua vita lavorativa sarà a Londra, ed a casa i periodi di vacanze.
Il prossimo anno verranno a fare il matrimonio in Italia, però.
In una chiesetta raccolta ed antica, in mezzo al bosco.
Già sistemato col prete.
Poi, di nuovo in UK.
Vero, Menelik, una cosa è Menelik nonno in the United Kingdom (l’ho giusto ripassato ieri sera col mio piccolo in inglese), altra cosa è Menelik nonno in Italy! C’è la sua differenza!
Auguri di cuore a tutti voi!, uniti nella Fede, Speranza e Carità -è mica poco nella vita!!
e pensa che il presidente dell’inps tito boeri vuole tagliare le pensioni dei pensionati fuggiti all’estero perché qui non ce la fanno a campare. notizia che l’amicone luigi ha completamente ignorato.
E dire che c’è chi sostiene che sta andando tutto bene in Italy!
Be’, se dai retta ai boy scout…….
Pensa, da quanta fiducia ripongo nel governo, che quest’anno ho avuto la convocazione (precario terza fascia) a scuola con una settimana di ritardo.
La prima cosa che ho pensato è che il lavoro è finito, grazie alla Buona Scuola……e mi resta da fare l’agricolo a tempo pieno.
Mi aspetto di chiudere del tutto nel 2017, ma anticipatamente così, tre anni prima, per colpa di un decreto che sistema tot mila precari a spese di altrettanti mila.
In Italia la mentalità del condono è proprio radicata, che sia edilizia su tempio etrusco o graduatorie stratificate.
(Chi conosce il funzionamento delle graduatorie ha capito).