
«Meno carcere, pene più giuste». Anche per la Polizia penitenziaria «la galera non è la panacea di tutti i mali»
Nei prossimi giorni il Senato della Repubblica voterà alcuni provvedimenti finalizzati al contrasto dell’emergenza penitenziaria. Si tratta della conversione in legge del decreto del governo n. 78 dell’1 luglio 2013, e il testo unificato delle proposte di legge con la delega al governo in materia di pene detentive non carcerarie, già approvato dalla Camera dei deputati il 4 luglio scorso. Non so, personalmente, se avranno gli effetti salvifici per il sistema carcere di cui parlano gli entusiasti fautori dei due provvedimenti o le conseguenze nefaste per l’ordine pubblico, i cittadini e la sicurezza sociale che denunciano coloro che li hanno contestati e li contestano.
So che nelle carceri italiane la tensione resta alta. Star chiuso in cella 20 ore al giorno, senza far nulla, nell’ozio e nell’apatia, alimenta una tensione detentiva nelle sovraffollate celle fatta di risse, aggressioni, suicidi e tentativi suicidi, rivolte ed evasioni che genera condizioni di lavoro dure, difficili e stressanti per le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria.
Negli ultimi giorni, poi, è accaduto di tutto: nel carcere di Napoli Poggioreale un gruppo di rivoltosi si è barricato in cella per contestare il sovraffollamento della struttura e solo la professionalità e le capacità di gestione dell’evento critico da parte del personale di Polizia hanno permesso di porre fine alla protesta senza l’uso della forza. A Monza e Roma Rebibbia due detenuti si sono tagliati la gola mentre nel carcere di Aosta quattro poliziotti sono rimasti feriti a seguito di una colluttazione avvenuta con un detenuto maghrebino.
E a Cremona, nel pomeriggio di sabato 27 luglio, un detenuto albanese ha tentato di evadere durante l’ora d’aria ma è stato prontamente bloccato dagli agenti di Polizia penitenziaria e il giorno dopo un altro ha tentato di impiccarsi nella sua cella: salvato dai poliziotti penitenziari, è però morto in ospedale ventiquattro ore dopo.
Sono allora d’accordo con chi sostiene che la discussione deve partire dal sistema penale e non dal carcere. È l’organizzazione della pena che deve essere cambiata. Il principio è quello di individuare la giusta pena e non il “giusto carcere”. Il numero attuale di detenuti dimostra invece che attualmente il carcere non è considerato come residuale al sistema della pena, ma coincide con la pena. Ma è del tutto evidente che il carcere, specie così com’è strutturato oggi, non può essere la panacea di tutti i mali.
C’è più sicurezza nell’inventare alternative che puntare sul carcere? Forse sì, se si confrontano i dati che dimostrano come il condannato che espia la pena in carcere ha un tasso di recidiva del 68,4 per cento contro il 19 di chi ha fruito di misure alternative e addirittura l’1 per cento di chi è inserito nel circuito produttivo. Forse uno sforzo maggiore i nostri legislatori potrebbero farlo: favorendo l’obbligatorietà del lavoro in carcere, le espulsioni dei condannati stranieri per far scontare loro la pena nei penitenziari dei paesi di provenienza, accelerando i tempi dei processi e diminuendo i tempi della custodia cautelare in carcere. E anche favorendo strutture socio-sanitarie per permettere di scontare la pena in luoghi differenti dai penitenziari; potenziando i posti disponibili per persone affette da disturbi psichici in comunità terapeutiche o a doppia diagnosi e il ricovero diretto, in comunità terapeutiche, per i tossicodipendenti. Garantendo però, sempre, il diritto dei cittadini onesti ad avere città più sicure e contestualmente assicurando la giusta punizione per coloro che commettono reati.
Un caro e cordiale saluto.
Roberto Martinelli segretario generale aggiunto SAPPE – Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria
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1 commento
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A tal proposito vi vorrei segnalare il bell’articolo uscito su la clessidra “il carcere universale” che illustra in modo chiaro i motivi dell’attuale situazione carceraria. L’evoluzione del fenomeno è strettamente legato ai cambiamenti sociali degli ultimi anni.