
Embrioni contesi, per il tribunale «decide la donna». Ma i figli restano “cose”

Embrioni congelati: decide la donna se avviare la gravidanza, anche senza il consenso del padre biologico. Lo ha stabilito il tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nell’ordinanza del 27 gennaio 2021, resa nota giovedì scorso: per la prima volta in Italia un giudice ha autorizzato una donna separata a farsi impiantare contro la volontà dell’ex marito gli embrioni formati e crioconservati quando stavano insieme.
Non importa se il matrimonio è finito, se non c’è più una coppia o se lui non è d’accordo: i due avevano fatto ricorso alla procreazione medicalmente assistita liberamente e di comune accordo. Dopo un tentativo fallito di impianto lui l’aveva lasciata e lei, non volendo «abbandonare» gli embrioni “avanzati” «in una provetta», si era rivolta al tribunale. Qui il giudice, ricordando che in base al comma 3 dell’articolo 6 della legge 40 la volontà di diventare genitori può essere revocata solo «fino al momento della fecondazione dell’ovulo», le ha riconosciuto quello che il suo legale Gianni Baldini ha definito «il diritto assoluto di utilizzare gli embrioni». In altre parole, quello che per la legge 40 corrisponde a una tutela del concepito – riconoscerlo, metterlo nelle condizioni di nascere chiamando alla responsabilità entrambi i genitori – viene tradotto da Baldini, membro di giunta dell’associazione radicale Luca Coscioni, come una vittoria del singolo e dell’autodeterminazione. Non a caso il legale della donna ha sottolineato la portata della decisione in un momento in cui «il numero delle separazioni è in crescita, con circa 4 coppie su 10 che si separano entro i primi 5 anni» e aumentano anche le richieste di procreazione medicalmente assistita, «oltre il 20 per cento delle coppie presenta infatti problemi di infertilità». Uno scenario che al di là dell’ordinanza giusta in punta di diritto sembra diventare propizio per stabilire pesi e misure di quell’assurdo logico e giuridico chiamato “diritto al figlio” da rivendicare in tribunale e continuare a padroneggiare la filiazione. Scantonando il “problema” a monte e che diventa oggetto del contendere: il bambino non ancora nato.
Bernardini De Pace, «è egoismo»
Ha scritto Annamaria Bernardini De Pace sulla Stampa che la decisione del tribunale «risponde esclusivamente all’egoismo della donna e non all’interesse del bambino che dovrà nascere», un bambino che conoscerà «prima il conflitto che non la sintonia dei propri genitori»:
«Un figlio che comunque avrà diritto al contributo economico e all’eredità del padre “negazionista”. Si dirà “quanti ce ne sono?”. Può essere vero, ma senza la patente del giudice, e soprattutto non in nome del popolo italiano (…) Cosa si dirà di questo bambino, orfano d’amore prima ancora di nascere? Quello che si dice di tutti i bambini abbandonati dal padre o di quelli che nascono tramite fecondazione eterologa, senza che ci sia un padre, per decisione della sola madre».
L’avvocato si scaglia contro il «diritto categorico e intoccabile della donna di decidere, solo lei, e soprattutto se il partner è di parere contrario, quando abortire e quando impiantarsi gli ovuli crioconservati». E si chiede cosa si direbbe di un uomo vedovo o separato che, per soddisfare il proprio desiderio di paternità, fosse autorizzato dal giudice a far impiantare gli embrioni crioconservati con moglie su di un’altra donna, «la legge sarebbe uguale per tutti?».
Dove porta il “diritto al figlio”
Il quesito non si dovrebbe neppure porre. Come ha spiegato Assuntina Morresi su Avvenire:
«Neppure la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere autorizzerebbe un singolo padre a trasferire l’embrione nell’utero di una donna diversa dalla madre, qualora quest’ultima rifiutasse l’impianto. Il consenso al momento dell’accesso non prevede certo l’intervento successivo di un’altra donna diversa dalla madre per portare avanti la gravidanza: al contrario, lo ritiene un reato, perché si tratterebbe di maternità surrogata. Una ‘asimmetria’ in favore della donna? No, un riconoscimento della differenza sessuale, almeno finché saranno le donne a portare avanti la gravidanza».
Ma come si è arrivati a doverci porre un problema che l’ordinanza a favore della madre può affrontare solo in parte, cioè a cose fatte, quando i tribunali si trovano a dover dirimere qualsiasi tipo di istanza socialmente determinata, anche quella che Bernardini De Pace ha chiamato la produzione, lecita e consentita dalla legge, di «bambini che nascono nel dolore, bambini che nascono già orfani, bambini mai nati perché crioconservati all’infinito e addirittura bambini uccisi prima di nascere»?
Sono anni che a mezzo sentenze vengono inferti colpi alla legge 40 in nome del diritto al figlio. E che sappiamo che dalla configurazione del diritto al figlio conseguono tutta una serie di adattamenti che inevitabilmente puntano dritto alla cancellazione dei limiti alle nuove forme di genitorialità e filiazione. Il tutto attraverso la fruizione del corpo della donna, la compravendita di gameti, la locazione del ventre materno, lo stoccaggio degli embrioni, la diagnosi pre-impianto, nonché la vendita e la riduzione del bambino a merce da acquistare con contratto e su cui rivendicare un diritto. O da scartare, come è accaduto a Giovannino, concepito con fecondazione eterologa e poi abbandonato dai genitori perché “difettoso”.
Da una sentenza al padre gay “single per scelta”
La legge 40 non scinde la procreazione dalla responsabilità materna e paterna. Ma che siano gli ingegneri della fecondazione a renderlo possibile o i giuristi a legittimarlo legalmente, la domanda che in tutto il mondo muove il proliferare delle casistiche è sempre “se io voglio avere un figlio perché non posso averlo?”. In Inghilterra, dove è appena caduto il principio dell’affitto “solidale”, sta spopolando la surrogata per i gay “single per scelta”, ossia la fabbricazione di figli per soddisfare il desiderio di paternità di uomini soli (qui la storia di David Watkins: a lui sono bastati soldi, l’acquisto di un ovulo, l’affitto di un utero e ovviamente una sentenza su un caso specifico) e la co-genitorialità platonica. Trattasi, quest’ultima, di una evoluzione naïf e molto progressivamente aggiornata della catena di montaggio riproduttiva: due adulti che vogliono un figlio esente le “complicazioni” del rapporto di coppia, che si iscrivono a un portale, vengono abbinati da un algoritmo e così mettono su famiglia. Niente affetto, basta il prodotto, dividendo costi e oneri.
Fecondazione post-mortem, nonne surrogate
In Portogallo il parlamento sta lavorando a un provvedimento per consentire la fecondazione post-mortem: anche qui la vicenda ha inizio con il caso specifico di una donna che ha chiesto e ottenuto il permesso di essere inseminata con lo sperma del marito morto per realizzare il suo desiderio di maternità. Uno scherzo rispetto a quello che è riuscita a a fare una coppia inglese di benestanti cinquantenni per procacciarsi il nipote dei loro sogni: un “grandson designer” nato assemblando il seme estratto dal corpo del figlio morto in un incidente d’auto, l’ovulo di una donatrice perfetta, selezionando gli embrioni per identificare quello maschio, impiantandolo nell’utero di una surrogata americana. Sempre nel Regno Unito, una donna ha partorito sua sorella: ci ha messo gli ovuli, il seme del compagno di sua madre che voleva un altro figlio, e ha portato avanti la gravidanza nel suo utero per poi consegnare la bambina alla sua madre-nonna.
In Nebraska una donna ha partorito la “figlia di suo figlio” usando il seme di quest’ultimo e l’ovulo della cognata (qui la storia assurda di Cecile Eledge), capostipite di una lunga serie di “nonne surrogate” incensate dai giornali. Le attempate signore in servizio permanente alla causa dell'”amore” si sono moltiplicate, accanto alle sentenze delle corti perché agli intestatari del prodotto non manchi nulla: diritti, rispetto, onori della cronaca.
Il diritto al figlio, il far west dei desideri
«Credo non sia giusto venire meno alle proprie responsabilità genitoriali», dice oggi la donna vittoriosa al tribunale di Santa Maria Capua Vetere parlando di «quegli embrioni creati in un contesto d’amore». Una responsabilità che permane anche se il contesto non c’è più, come spesso viene a mancare in tutto il mondo dove decine di migliaia di embrioni restano intrappolati nei congelatori delle cliniche per la fertilità in quanto avanzi di gravidanze e sogni infranti di genitorialità. Sono tante le cliniche che si trovano in mezzo a battaglie legali di genitori separati e che non riescono ad accordarsi sullo scongelarli perché vengano impiantati o distrutti, donarli alla ricerca o donarli a coppie che non riescono ad avere figli propri. Un far west dei desideri da cui non è esente l’Italia a partire dalla sentenza con cui la Corte costituzionale, nel 2009, ha eliminato il numero massimo di tre embrioni da formare e trasferire in un unico impianto, sdoganando la produzione in sovrannumero e da qui lo stoccaggio (anche se la legge fissa dei paletti).
Nessuno sa con precisione quanti siano attualmente quelli crioconservati: diverse decine di migliaia, calcolando quelli congelati e scongelati ogni anno. L’ordinanza di Santa Maria Capua Vetere li riconosce come bambini in potenza, bambini che tuttavia non possiamo non chiamare orfani della società procreatica, capace a mezzo legge e a seconda delle proprie necessità di nasconderli, dimenticarli o reclamarli in nome del diritto al figlio. Lo stesso diritto che poco ha a che fare con le “responsabilità genitoriali” e molto con le rivendicazioni di padri single per scelta, nonne surrogate, mamme di sorelle, madri post-mortem del marito.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!