
Sui bloccanti della pubertà ha ragione Elon Musk

«Sono stato indotto con l’inganno a firmare i documenti per uno dei miei figli più grandi, Xavier. Questo prima di capire cosa cosa sarebbe accaduto. C’era il Covid e c’era molta confusione e mi è stato detto che se non avessi firmato, Xavier avrebbe potuto suicidarsi». «Sono stato ingannato e non mi è stato mai spiegato che i bloccanti della pubertà sono in realtà solo farmaci sterilizzanti. Essenzialmente ho perso mio figlio. Lo chiamano “deadnaming” per un motivo, lo chiamano così perché tuo figlio è morto. Mio figlio è morto, ucciso dalla cultura woke». «Mi hanno ingannato».
Ha ragione Elon Musk a parlare di inganno nella sua lunga intervista rilasciata al battagliero psicologo Jordan B. Peterson per il Daily Wire a proposito di suo figlio Xavier, che dopo essersi sottoposto a riassegnazione del genere si fa oggi chiamare Vivian Jenna Wilson (con il cognome materno).
I fatti danno ragione a Elon Musk
A dare ragione a Musk non è un’orda di conservatori transfobici, come lascerebbe intendere la disgustata stampa liberal che ha criticato le sue frasi. A dare ragione a Musk sono i fatti.
https://twitter.com/realDailyWire/status/1815504648788193405
Musk è stato ingannato. Come i genitori di migliaia di bambini coinvolti nel terribile scandalo che ha travolto il Gender Identity Development Service (Gids) della Tavistock & Portman di Londra. A dare ragione a Musk è l’ormai celebre “Cass Review”, il rapporto indipendente commissionato dal servizio sanitario inglese alla pediatra britannica Hilary Cass che ha messo fine all’incubo di migliaia di ragazzini bollati come transgender e costretti a «un percorso tortuoso e inutile, permanente e che cambia la vita» presso la Tavistock, decretandone la chiusura, la messa al bando dei bloccanti della pubertà nel Regno Unito e la fine della terapia affermativa che ha alterato per sempre e senza prove la vita di migliaia di ragazzi «usati come palloni da calcio».
Pazienti come cavie
A dare ragione a Musk sono i medici con il bisturi dalla parte del manico, protagonisti dello scandalo mondiale dei “Wpath files” trapelati dalla World Professional Association for Trangender Health. Conversazioni e documenti di medici, terapisti e attiviste pubblicate dall’Environmental Progress del giornalista Michael Shellenberger, che spregiudicatamente parlano dei loro piccoli pazienti come di cavie del tutto incapaci – così come i loro genitori scarsamente alfabetizzati in materia – di fornire un consenso informato e comprendere le conseguenze degli interventi richiesti.
A dare ragione a Musk sono le malattie sviluppate dai pazienti di cui discutono costantemente medici e infermieri chiedendo consigli e lumi ai colleghi: atrofia vaginale, secrezioni gialle, malattia infiammatoria pelvica (Pid, condizione grave e potenzialmente letale che porta ad ascessi delle ovaie e tube di Falloppio), disfunzioni del pavimento pelvico, ragazze con «spaccature nella pelle che sanguinano e orgasmi dolorosi», maschi che soffrono di «erezioni dolorose», «sensazione di vetro rotto» o scomparsa dell’orgasmo, sanguinamento durante i rapporti sessuali, dispareunia, alta percentuale di pap test anormali. Perfino cancro.
Medici che brancolano nel buio
A dare ragione a Musk è l’improvvisazione attestata dai medici che brancolano nel buio al seguito dei desiderata dei bambini sperimentando farmaci, dosaggi, interventi di “annullamento del sesso” e creazione di “nuovi set di genitali”: corpi senza peli o capezzoli, pseudofalli e vagine.
A dare ragione a Musk è il numero sempre più alto di “detransitioners” e di pionieri delle cure di genere che hanno fatto dietrofront: dalla Finlandia alla Svezia, dall’Olanda alla Norvegia, alla Danimarca; il numero sempre più alto di cause e scandali denunciati da medici e terapeuti usciti dal silenzio anche in America, è il numero di copertine e inchieste, dall’Economist al New York Times, che demoliscono la narrazione sulle cure di genere ai minori presentate come scienza sicura e consolidata.
La leggenda dei ragazzi a rischio suicidio senza bloccanti
A dare ragione a Musk è il rapporto del professor Louis Appleby, presidente del National Suicide Prevention Strategy Advisory Group, che ha definitivamente demolito la leggenda dei ragazzi a maggior rischio suicidio senza assumere i bloccanti della pubertà. Come altri studi prima di questo il rapporto attesta che non esistono prove della transizione ormonale quale misura efficace per la prevenzione del suicidio né di un aumento di tassi di suicidio in assenza di terapia affermativa.
Non solo l’indagine di Appleby ha dimostrato che non ci sono dati a supporto dell’ormai famigerato ricatto mosso ai genitori come Musk (“preferisci un figlio morto o una figlia viva?”) ma anzi, «il modo in cui è stato discusso il problema sui social media è stato insensibile, angosciante e pericoloso e va contro le linee guida per una segnalazione sicura sicura dei casi di suicidio». Il riferimento è alle affermazioni sull’“ondata di suicidi” tra i pazienti della Tavistock fin dalle prime limitazioni introdotte dall’Alta Corte nel 2020 (con l’ormai famoso caso Bell v Tavistock) condivise senza alcuna verifica da migliaia di attivisti, personaggi pubblici e giornalisti. L’ondata non si è mai verificata.
La «cultura malvagia» che ha portato via un figlio a Elon Musk
Oggi che la California è diventata il primo stato degli Stati Uniti a vietare alle scuole di comunicare ai genitori quando i bambini cambiano genere, Musk ha promesso di spostare la sede centrale di SpaceX e X dalla California al Texas. E promette di dare battaglia a quella «cultura malvagia» che gli ha portato via un figlio. Ha ragione Musk a dire che chi ha ingannato lui e migliaia di genitori e con loro i bambini dovrebbe finire «in prigione». Michele Serra su Repubblica è rimasto disgustato:
«Arrivato in fondo all’intervista, mi è stato impossibile non registrare che né l’intervistato né l’intervistatore si sono posti, nemmeno per un secondo, la più rilevante delle domande: come sta Vivian? Che cosa ne pensa Vivian? Conta di più, nella storia di Vivian, quello che pensa Vivian, o conta di più l’opinione del suo potentissimo padre e del giornalista che, conversando con lui, non formula la più banale eppure la più determinante delle domande: come sta sua figlia? L’intero dibattito, legittimo, rilevante, sulle questioni di genere, perde legittimità e rilevanza se antepone il giudizio “degli altri” a quello delle persone coinvolte. Lo stigma sociale è, da secoli, la galera della quale le persone omosessuali e trans cercano di liberarsi. La chiacchierata tra Musk e il suo giornalista-spalla ne fa parte».
Serra non è l’unico giornalista ad aver liquidato come tale Jordan Peterson, medico con profonda contezza del problema (e che molto ha pagato per la sua libertà di giudizio), a non voler vedere portata e costi di tale “inganno”, a non sentire altro che la propria ragione. Non è il primo e non sarà l’ultimo a continuare a spianare la strada alla molto redditizia idea che quando si parla della pelle dei ragazzini minorenni prima e più dei fatti contino le opinioni.
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