Elezioni. La politica si fa con la politica

Di Centro culturale Pier Giorgio Frassati
27 Settembre 2022
Ha vinto la politica, che torna a "governare" dopo dieci anni di stallo, vince cioè prendere una posizione e soprattutto tenerla, perché la politica è decidere, indicare soluzioni
Elezioni politica

Elezioni politica

Di seguito pubblichiamo un giudizio a commento del risultato elettorale di domenica 25 settembre scritto dal Centro Culturale Pier Giorgio Frassati di Torino.

Come tutte le elezioni politiche dal 1994 in poi, anche questa tornata elettorale si è dimostrata foriera di diverse sorprese, ma anche di alcuni dati che confermano le previsioni e di molti elementi che vanno analizzati e giudicati.

Il Centrodestra vince

Vince il Centrodestra, e vince tanto. Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni è il primo partito al 26 per cento, tiene Forza Italia che riporta Silvio Berlusconi in Senato, male invece la Lega di Matteo Salvini e male anche Noi Moderati di Lupi-Toti-Brugnaro che nonostante l’unione delle liste non raggiunge l’1per cento e dunque i relativi voti andranno purtroppo persi. Il Centrodestra vince tanto anche perché già la sola FDI ha più voti di tutto il Centrosinistra e anche unendo i voti del Movimento 5 Stelle la coalizione di Centrodestra resta sopra con il 44 per cento.

Il Centrodestra vince perché, pur con alcune contraddizioni e difficoltà, ha tenuto in questi anni le sue posizioni fondamentali e in particolare FDI, quello che era il partito più piccolo, ha costruito dal basso – da partito tradizionale si potrebbe dire – il suo consenso, non inseguendo ma facendosi seguire e sapendo cambiare posizione quando ragionevole e pure FI ha saputo mantenere la sua posizione liberale e popolare, costruendo inoltre un asse europeo col PPE, che assicura il posizionamento europeo e internazionale della coalizione.

Il Centrosinistra perde

Perde il Centrosinistra, e perde tanto. Il Partito Democratico raggiunge il minimo storico di voti assoluto (anche peggio di Renzi nel 2018) e soprattutto porta in parlamento pochi deputati e senatori, resta lontano dalla soglia psicologica del 20 per cento e perde anche nelle cosiddette roccaforti (Pisa, Livorno, Arezzo, per esempio) sopravvive solo in qualche zona tra Emilia-Romagna e Toscana, nel centro di Milano e soprattutto a Torino città (probabilmente l’ultima vera roccaforte rossa).

Il Centrosinistra perde semplicemente perché ha smesso di fare politica, di fare proposte politiche, passando dal già fu morettiano “di’ qualcosa di sinistra” al “di’ qualcosa, qualsiasi cosa” che oggi potremmo dire. Si è limitato a gestire il potere, prima culturale e poi politico ed economico, conquistato in oltre settant’anni e a compiacere e farsi compiacere dalle élite. Ma per gestire il potere e piacere alle élite non bisogna avere una identità, un’anima (e, se la si ha, bisogna perderla) e fare proposte, ma, al più, basta solo puntellare (e così governare per nove anni su dieci senza aver mai vinto una elezione).

Il Movimento 5 Stelle oltre le aspettative

Risposte sbagliate a esigenze giuste: così il Movimento 5 Stelle riesce a superare il 15 per cento. Dopo tante divisioni, scissioni e scossoni era dato per politicamente morto, ben al di sotto il 10 per cento e invece si attesta come terza forza nazionale (doppiando la sua nemesi politica terzo polista di Calenda-Renzi) e come prima forza al sud, sfiorando punte del 50 per cento in alcune zone.

Il M5S recupera per due principali ragioni: supera tutte le sue infinite contraddizioni di questi cinque anni (le supera ma non le risolve), tornando alle origini e ai suoi temi fondativi (giustizialismo, assistenzialismo, radicalismo, progressismo, diritti senza doveri e ambientalismo) e difendendo in toto – unico schieramento – il sistema del reddito di cittadinanza. Può quindi contare su una platea di partenza di potenziali sostenitori di almeno quattro milioni di persone, che il caso vuole corrisponda a circa il 15 per cento degli elettori votanti secondo l’attuale affluenza. Ma, appunto, risposte sbagliate a esigenze giuste, perché è l’unico partito che si accorge e parla di povertà, offrendo però la risposta più sbagliata ed assistenzialista.

Perdono tutti gli altri

Perde il terzo polo, e perde male. Perché non riesce praticamente a fare nemmeno la somma dei due partiti (che era 7-8 per cento) prende qualche voto al PD e pochi al Centrodestra, ma non va oltre il perimetro storico dei liberali, che da 70 anni è sempre più o meno del 6-8 per cento. Soprattutto è la formula del voto meramente della competenza ‘in bianco’, senza sapere da che parte andrà, che non convince l’elettore popolare (al massimo può andar bene per l’élite).

Perdono anche tutte le piccole compagini di sinistra (Unione Popolare, Italia Sovrana e Popolare) e di destra (ItalExit e Alternativa) non coalizzate, certamente non avvantaggiate dal sistema elettorale, ma anche mai veramente attrattive in tutta la storia elettorale repubblicana.

In sintesi

Perdono e perdono male le proposte tecniche, agende, realtà apparentemente ‘terze’, rassemblement di piccoli partiti o i tentativi isolati, tutte proposte che non sfondano, non hanno mai sfondato e probabilmente mai sfonderanno. Perché, alla fine, il voto si polarizza sempre, e l’elettore se deve scegliere tra l’originale e le piccole copie, tende a scegliere l’originale. Per questo, più dei tentativi isolati, in politica paga l’impegno nei partiti strutturati e, se possibile, in una delle due coalizioni principali.

Tutto ciò vuole dire anche avere un’identità precisa e delle proposte chiare, da cui si evinca una o l’altra concezione antropologica – in un dialogo aperto e appunto politico – per poterla proporre a tutti e su cui chiedere il consenso, spiegandone le ragioni e i criteri.
Vince cioè la politica (che torna a ‘governare’ dopo dieci anni di stallo), vince cioè prendere una posizione e soprattutto tenerla, perché la politica è decidere, indicare soluzioni e non appena seguire i desiderata di questa o quella parte del popolo o di questo o quel potere.

Perde invece il trasformismo, la confusione, il “sono tutti uguali”, il “non esistono cose di destra e di sinistra ma solo cose giuste”; destra e sinistra esistono come e più di prima (in base a quelle diverse visioni dell’antropologia che fonda l’idea di società e di uomo di cui sopra). Perde, inoltre, l’apparente posizionamento tattico a scapito della visione a lungo termine (Di Maio è solo l’ultimo esempio, ma Fini, Follini, Tosi, e tanti altri prima già lo dimostravano).

La politica si fa con la politica, partendo dal bene comune – che non è appena la ‘media ponderata’ del bene condiviso, bensì esige una tensione ideale – e si fa ascoltando i corpi intermedi, tenendo conto del contesto sociale, della legislazione elettorale, dei numeri, del metodo stesso proposto (e imposto) dalla politica; e si fa partendo da una posizione precisa, dentro un’identità chiara, proponendola liberamente a tutti, su cui ci si confronta e su cui si misura il consenso.

Costruire ideologie e inseguirle o, all’opposto, sostenere che le ideologie non esistono ed esistono solo competenze, non paga. E lo abbiamo visto, di nuovo.

Centro Culturale Pier Giorgio Frassati, Torino

Foto Ansa

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