Perché il voto di dicembre rischia di far saltare in aria la Tunisia

Di Rodolfo Casadei
27 Novembre 2022
Tra economia vicina al collasso e libertà negate, monta il malcontento verso il presidente-autocrate Saied. Alle prossime elezioni (boicottate dall’opposizione) il vaso può traboccare
Protesta contro il presidente Kais Saied in Tunisia
Protesta a Tunisi contro il presidente Kais Saied (foto Ansa)

Tre anni fa i tunisini votarono per eleggere il nuovo parlamento, e si trovarono a scegliere fra circa 15 mila candidati presentati da 31 partiti nazionali, più un numero indefinibile di indipendenti e liste locali; 20 partiti diversi riuscirono ad eleggere deputati, gli indipendenti eletti furono solo 11 in un parlamento di 217 seggi. Il 17 dicembre prossimo, data fissata per il primo turno di nuove elezioni politiche (che diversamente dal passato si svolgeranno col sistema uninominale a doppio turno anziché col sistema proporzionale), la scelta sarà ristretta fra 1.058 candidati, in gran parte indipendenti, e i partiti in lizza saranno solo 3. In 7 delle 161 circoscrizioni non si è presentato nemmeno un candidato (occorreva raccogliere 400 firme, metà almeno delle quali di donne, e un quarto almeno di persone con meno di 35 anni) e in 10 circoscrizioni il nome sul bollettino elettorale è uno solo.

Ultima tappa verso il collasso?

La quasi totalità dei partiti tunisini, da mesi in conflitto col presidente Kais Saied dopo che questi ha proclamato lo Stato d’emergenza e sospeso il parlamento il 25 luglio 2021 (quest’ultimo è stato poi sciolto il 30 marzo di quest’anno), hanno deciso di boicottare le elezioni convocate dal capo dello Stato sulla base della nuova Costituzione approvata in un referendum al quale hanno preso parte il 30 per cento degli aventi diritto al voto il 25 luglio scorso e della nuova legge elettorale emanata con un decreto presidenziale il 15 settembre scorso.

In Tunisia sistema politico e situazione economica sono vicini al collasso. Le controverse elezioni che si svolgeranno fra tre settimane potrebbero essere la goccia che fa traboccare il vaso.

Guerra ai partiti, nessun rilancio dell’economia

Presentatosi come indipendente ed eletto presidente col 72,7 per cento dei voti al ballottaggio nell’ottobre 2019, Kais Saied si è dato l’obiettivo di creare una democrazia senza partiti, fondata su candidature indipendenti e sui poteri locali, e di risanare l’economia attraverso la lotta alla corruzione e alla speculazione. Nella realtà sta creando un potere presidenziale autocratico e non sta ottenendo nessun risultato a livello di rilancio economico.

La crescita economica è stata in media solo dell’1,8 per cento tra il 2011 e il 2020, quando è diminuita del 9,3 per cento a causa della pandemia, con un rimbalzo solo del 3,3 per cento l’anno scorso. La disoccupazione tocca il 16,8 per cento, e fra gli under 25 arriva al 38,5 per cento. Il dinaro, la moneta nazionale, è passata da un cambio di 1,17 col dollaro nel 2010 a un cambio attuale di 3 a 1. L’inflazione ha toccato il 9 per cento, che è il livello più alto da oltre 20 anni a questa parte.

Sussidi esorbitanti e la grana del debito

Ma il più grosso problema macroeconomico del paese riguarda i sussidi ai prezzi dei generi di prima necessità (pane e altri generi alimentari) e ai carburanti: da soli quest’anno equivalgono ormai all’8 per cento del Pil, il doppio della percentuale dell’anno scorso, e scavano un deficit pari a 7 miliardi di euro nel bilancio dello Stato. Soldi che quest’anno il governo non ha, anzi: prima della fine del 2022 la Tunisia deve rimborsare 1,8 miliardi di euro di prestiti internazionali, l’anno prossimo 2,25 e nel 2024 altri 2,85 miliardi. Fra il 2023 e il 2027 la Tunisia deve rimborsare 11 miliardi di euro di debito estero. In più i crediti commerciali a breve termine degli enti statali e delle imprese pubbliche, accumulati dal 2018, superano i 3 miliardi di euro.

Per permettere allo Stato tunisino di non fallire, il Fondo monetario internazionale (Fmi) si è detto disponibile a prestare 1,9 miliardi di euro in più tranche nel corso dei prossimi quattro anni, a condizione che nello stesso arco di tempo la Tunisia provveda a una serie di riforme che comprendono la riduzione dell’entità delle sovvenzioni ai prodotti di prima necessità, il contenimento dei salari della funzione pubblica (che conta 700 mila dipendenti che mantengono 3 milioni di persone in un paese che ha 12 milioni di abitanti) e il riassorbimento (cioè la tassazione) dell’economia informale, che vale il 20 per cento del Pil. Si tratta di riforme che scatenerebbero sicuramente l’ira popolare e l’opposizione feroce del sindacato unico del paese, la potente Ugtt.

La lotta agli “speculatori”? Un autogol

Finora il presidente ha creduto di poter combattere la stagnazione economica introducendo una legge che punisce gli “speculatori” con pene che vanno dai 10 anni di prigione all’ergastolo. Il risultato è stato che i grossisti hanno smesso di ricostituire i loro stock di merci per non essere incriminati.

Ciò ha contribuito alla penuria di generi di prima necessità che da mesi affligge il paese, e che è dovuta principalmente ad altri due fattori: i mancati pagamenti dello Stato ai fornitori e la mancanza di valuta per le importazioni. I pochi fondi pubblici rimasti vengono utilizzati per rimborsare il debito estero ed evitare la bancarotta (le agenzie di rating internazionali hanno abbassato più volte negli ultimi due anni la valutazione sul debito sovrano tunisino).

Bavaglio e carcere per gli oppositori

Oltre a sciogliere il parlamento Saied ha sostituito il Consiglio superiore della magistratura con un Consiglio giudiziario supremo provvisorio di sua nomina; in base alla nuova Costituzione il parlamento nazionale gode di poteri limitati, che andranno condivisi con una specie di Camera delle Regioni che verrà istituita ed eletta più avanti; nuove leggi puniscono chi diffonde “false notizie” e squalificano dalle competizioni elettorali i candidati che “sfruttano” i legami parentali, il concetto di onore e l’appartenenza regionale per conquistare il consenso degli elettori.

Senza essere diventata uno Stato di polizia, la Tunisia vede ormai periodicamente processi in tribunali sia civili che militari per crimini relativi alla libertà di espressione e arresti di esponenti dei partiti di opposizione (principalmente gli islamisti di Ennahda e di Al Karama) che vengono subito dopo rilasciati.

Il numero di migranti irregolari di nazionalità tunisina ha conosciuto un’impennata negli ultimi due anni. Fra il 1° gennaio di quest’anno e la metà di agosto 10.139 tunisini hanno raggiunto clandestinamente le coste italiane; fra loro sono stati individuati oltre 2 mila minorenni.

@RodolfoCasadei

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