Egitto e Tunisia: stato di emergenza contro il terrorismo per salvare la democrazia

Di Leone Grotti
07 Luglio 2015
Gli osservatori internazionali temono che una svolta autoritaria riporti i due paesi ai vecchi regimi. Ma se perdono contro il terrorismo, Tunisi e Il Cairo finiranno nel caos
In this picture provided by the office of the Egyptian Presidency, Egyptian President Abdel-Fattah el-Sissi addresses members of the Egyptian armed forces in Northern Sinai, Egypt, Saturday, July 4, 2015. Egyptian President Abdel-Fattah el-Sissi has travelled to the troubled northern part of the Sinai Peninsula to inspect troops, after Islamic State-linked militants struck a deadly blow against the military this week in a coordinated assault. (Egyptian Presidency /Mohammed Abdel-Muati via AP)

Gli osservatori internazionali temono un «ritorno al passato» e criticano le iniziative da ancien regime prese da Egitto e Tunisia per contrastare il terrorismo. La realtà però, al di là della favola della Primavera araba, è complessa e gli attentati dei jihadisti rischiano di far piombare nel baratro i due paesi del Nord Africa.

STATO DI EMERGENZA. A Tunisi, domenica 4 luglio, il presidente Caid Essebsi ha dichiarato lo stato di emergenza. Per giustificare la decisione, ha citato un «pericolo imminente» che, per essere sventato, «ha bisogno dello spiegamento di tutte le unità di sicurezza della polizia, della guardia nazionale e dell’esercito».

ATTENTATI. La Tunisia conosce bene questa condizione, perché ha vissuto sotto lo stato di emergenza dal 14 gennaio 2011, giorno in cui l’ex dittatore Ben Alì è fuggito dal paese, al 6 marzo 2014. Un anno dopo la fine dello stato di emergenza, il 18 marzo 2015, lo Stato islamico ha assaltato il museo del Bardo, uccidendo 22 persone, tra cui 21 turisti. Quando la minaccia sembrava essere rientrata, il 26 giugno è toccato a 38 turisti in vacanza a Sousse essere massacrati da un jihadista dell’Isis.

SALVARE L’ECONOMIA. Lo stato di emergenza dà il potere al ministro degli Interni di proibire manifestazioni e assemblee pubbliche, censurare la libertà di stampa, limitare la libertà di movimento dei cittadini. Contrariamente agli anni passati, sembra che verrà applicato «in modo draconiano». Inoltre, l’esercito avrà nuove prerogative e potrà agire a fianco della polizia.
Per Human Rights Watch questi poteri sono «esorbitanti ed eccezionali», ma dalle parti di Tunisi sanno bene che, con 3 mila tunisini partiti per il jihad in Siria (500 tornati) e centinaia di migliaia di giovani senza lavoro, se non riuscirà a garantire la sicurezza del paese, e magari salvare la stagione turistica, con l’economia crollerà anche la fragile democrazia tunisina.

ANTI-TERRORISMO. Nelle stesse turbolenti acque si trova il vicino Egitto. Il capo dello Stato Abdel Fattah al-Sisi ha promesso che questa settimana il governo varerà una nuova legge anti-terrorismo per contrastare gli attentati che nell’ultima settimana hanno di nuovo sconvolto il paese.
Secondo le prime indiscrezioni, sembra che la nuova legge garantirà poteri quasi illimitati alla polizia, velocizzerà i processi eliminando un grado di giudizio, censurerà la stampa e minerà la libertà di espressione. Ad esempio, è prevista una pena minima di due anni di carcere per la pubblicazione di «false informazioni sugli attacchi terroristici che contraddicono le dichiarazioni ufficiali».

JIHADISTI IN SINAI. Sulla partita della sicurezza Al-Sisi, ex comandante in capo dell’esercito, si gioca tutto. Se gli egiziani l’hanno eletto presidente è perché non ne possono più di anni di insicurezza e terrorismo, e vorrebbero uscire dalla “fase rivoluzionaria” per tornare un paese normale. Ma il recente assassinio del procuratore generale Hisham Barakat, responsabile di molte condanne a morte di Fratelli Musulmani, e l’uccisione nel Sinai da parte dell’Isis di oltre cento persone, rischiano di far naufragare questo desiderio.

SVOLTA AUTORITARIA? Alcuni aspetti della nuova legge sono «incostituzionali», come scritto anche dall’importante quotidiano egiziano Al Ahram, e molti temono una svolta autoritaria di Al-Sisi, visto che al Cairo ancora non è stato eletto un Parlamento. Ma se il paese non riuscirà a sventare la minaccia terroristica, ricadrà di nuovo nel caos. E Al-Sisi lo sa.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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11 commenti

  1. Alessandro13

    Come ho scritto in un altro commento non ancora pubblicato, all’Italia conviene stabilizzare il Nord Africa iniziando dalla Libia dove appoggiare il governo di Tobruk in quanto alleato del Cairo. In questo modo si bloccherebbe l’infiltrazione dello stato islamico verso il maghreb e sarebbe un buon risultato per la nostra sicurezza nazionale (tenete conto della distanza Tunisi o Tripoli- Sicilia rispetto a Raqqa-Roma!)! Il problema di questa strategia che sfugge a molti è (al di là dei “disturbi” causati dagli intrallazzi turco-qatarini nemici giurati del Cairo) che siamo arrivati allo stato attuale dopo le rivolte delle primavere arabe, rivolte causate dalla povertà e depressione economica del Nord Africa: anche sostenendo alSisi se non offriamo una vera prospettiva di sviluppo a quei paesi (e allo stato attuale non mi sembra ci siano i mezzi economici) ci ritroveremo con le stesse rivolte già viste negli stessi paesi e con il riaffiorare delle stesse tendenze jihadiste.
    La tragedia è che non abbiamo le risorse per salvare tutti e chi ne dispone non le utilizza preferendo usare il proprio denaro per scopi altri. A questo punto servirebbe un piano Marshall per stabilizzare entrambe le sponde del Mediterraneo ma a Berlino non sono disposti ad aiutare nemmeno la Grecia figuratevi dare una prospettiva economica alla Tunisia o all’Egitto.
    Una soluzione sarebbe redistribuire le ricchezze che alcuni paesi arabi hanno accumulato grazie alle rendite petrolifere anche agli altri paesi arabi ma è pura fantascienza. Sono pessimista: il massimo che possiamo fare è congelare per altri 10/20 anni la depressione economica del nord Africa non certo dare un futuro ai quasi 90 milioni di egiziani! Le nostre forze non sono infinite dobbiamo prenderne atto e perseguire delle priorità in base al nostro interesse nazionale che al momento attuale è bloccare l’esodo migratorio dalla Libia, ricostituire le linee di rifornimento energetico, rimettere in piedi un’autorita statale libica e bloccare l’infiltrazione dello stato islamico in nord Africa.

    1. Antonio

      Sono tante le cose che all’Italia non convengono,dalle sanzioni alla Russia all’instabilità del nord africa. Ma da bravi sudditi del patto atlantico e del patto d’oltralpe sappiamo rinunciare ai nostri interessi.

      1. Alessandro13

        Antonio in realtà a ben guardare non convengono a nessuno in Europa, né la sanzioni alla Russia né l’invasione migratoria e il dilagare dello stato islamico ma i nostri politicanti non sembrano sensibili al tema “fare gli interessi del paese” prigionieri di uno schema mentale (“c’è lo chiede l’Europa”) che celebra la cessione di sovranità ad enti internazionali da cui hanno ripreso il modo di ragionare dogmatico (“accorglierli tutti” “negoziare via Onu” ecc)

    2. Filippo81

      Infatti Alessandro 13, la stabilizzazione della Libia è fondamentale.La cosa che pure a me lascia sempre più che perplesso, è il fatto che i ricchissimi Stati del golfo che spendono fortune per costruire faraoniche moschee in occidente,per comprare quartieri interi in Europa o Usa, per acquistare finanziarie o aziende euroamericane,ecc., non muovono poi un dito per aiutare le masse povere del mondo arabo, alla faccia della tanto sbandierata solidarietà interislamica.

      1. Sebastiano

        Adesso tanto arriverà quello del binariomorto a spiegarti che è tutta colpa dell’occidente (e possibilmente del Vaticano in primis)…

        1. Alessandro13

          Ci sono responsabilità anche dell’occidente per esempio nel aver scelto l’instabilità delle primavere arabe alla stabilità di Gheddafi o Asad. In parte comprensibili le ragioni per cui costoro sono stati detronizzati ma se non si avevano né le risorse né la volontà né la capacità e men che meno la sicurezza di poter ricostruire stati moderni in loco sarebbe stato preferibile non intervenire e anzi sostenere la stabilità dei regimi esistenti. Stesso discorso in Iraq con Saddam Hussein.

      2. Raider

        Non sono solo i paesani golfisti a fregarsene dei poveri che hanno a casa indirizzadone frustrazione e furore contro l’Occidente in cui gli islamici immigrano con questi sentimenti di rivalsa storica: sono gli islamici nel loro complesso a nutrire di spiriti revanscisti i mai svaniti sogni di gloria e conquista di Occidente che li defruada dei frutti che Allah ha promesso ai suoi fedeli. L’Islam è la religione naturale dell’umanità: le altre sono contronatura e disumane. L’islam è “la luce” della civilità, cui l’Occidente deve tutto, dal calcolo differenziale ai micro-chips. Non sono solo i Sauditi a pensarla così: e quando lo si attacca e si fa bene, per le responsabilità che i Sauditi e gli altri emirati hanno nei focolai di guerra globale islamica, armata, migratoria o predicatoria, non facciamo finta che Iran, Hezbollah, Turchia, Assad siano migliori. E che la dhimmitudine dell’Occidente non sia una prospettiva che alletti gli uni e gli altri, islamici “moderati” e jihadisti. Non dimentichiamolo, non facciamo finta che il problema sia solo l’Arabia Saudita: magari!, Filippo81! Magari fosse così!
        Il problema è l’Islam in quanto tale: e anzi, finchè gli islamici se ne stessero a casa loro, tanti cordiali saluti. Si concludono affari, si commercia, si collabora a progetti comuni: chi dice di no?
        Il problema è che ci siamo messi in casa, in tempi e proporzioni da invasione che continua e prpopop perché invasione con tutti i crismi, senza nemmeno chiedere permesso, a masse crescenti di islamici destinate a ridisegnare il volto e l’anima, il paesaggio civile, urbano e demografico dell’Europa.
        Certo, ormai, il danno è fatto. Ma chi ha deciso e programmato tutto questo? Non certo i popoli europe, ma le élite tecno-burocratiche che hanno negoziato con Sauditi e emirati vari tempi, modalità e caratteri di questa distruzione progressiva dell’identità europea, in cui la propaganda mediatica e scolastica svolgono un ruolo strategico. Lo vediamo ogni giorno, a ogni istante: e chi reagisce, chi replica, chi rifiuta di accettare la revisione/manomissione storico-culturale, è razzista: e incombe su questi un ddl anti-islamofobo come quelli in preparazione anti-omofobia, se la circostanza dice qualcosa.
        Quello che ho da dire io è
        NO ALL’IMMIGRAZIONE!
        NO ALL’ISLAM!

        1. Alessandro13

          Analisi corretta, Raider, mi permetto di aggiungere degli elementi: l’ideologia multiculturalista (a senso unico ovviamente) ha svolto la funzione di costruire consenso e reprimere il dissenso, i fautori delle teorie economiche liberiste e globalitrici che spingono per l’unico mercato mondiale, gli strateghi occidentali anti-russi per i quali l’integrazione euro-araba serve a garantire la sicurezza energetica e contenere la Russia attraverso le tensioni islamiche.

      3. Alessandro13

        Filippo penso che basti guardare alla “solidarietà” qui in Europa tra Stati appartenenti all’ue o all’euro zona: figuriamoci che solidarietà ci potrà mai essere tra paesi rivali l’uno dell’altro come i paesi arabi, in lotta per l’egemonia e gelosi della forza dell’altro. La solidarietà islamica è un mito come quella europea esistono certamente dei filantropi gli altri sono affaristi.
        Secondo punto: chi è così pazzo da investire in paesi che rischiano di saltar per aria da un giorno all’altro? L’economia ha bisogno di stabilità, legislazione avveduta che assicuri gli investitori e combatta la corruzione. Credo solo in parte la Turchia e il Marocco assicurino attualmente una certa sicurezza per gli investimenti e non è certo un caso che si dirigano maggiormente verso quei lidi. Investire in Europa e in America è invece più sicuro e redditizio per un capitalista arricchitosi con l’oro nero rispetto a fare impresa in Pakistan o in Egitto.
        Ultimo il jihad: i musulamani stanno perdendo il passo con il resto del mondo, dovrebbero concentrare i propri sforzi nell’istruzione per esempio, nella costruzione di vere istituzioni stabili. Invece regna sovrano il mito del jihad spesso sostenuto dai soldi. Probabilmente qualche ricco miliardario spera così di guadagnarsi un posto in paradiso mandandoci martiri al posto suo!

  2. Sebastiano

    Scommetto quello che volete che quelli che parlano di “svolta autoritaria” e di “ritorno al passato”, lo fanno seduti ben comodamente sui divani dei salotti intellettuali radical-chic. Tanto loro i jihadisti musulmani mica ce li hanno sotto casa.
    Scommetto anche che a parti invertite, a suo tempo, le stesse menti (si fa per dire) hanno giustificato ogni nefandezza dei loro sodali, in nome della sicurezza (loro) o del progresso (presunto).

    1. Filippo81

      Bella Sebastiano, condivido. Egitto e Tunisia hanno dei governi che vogliono veramente combattere il terrorismo islamista e non sono antioccidentali,sono due tra i pochi governi affidabili nel Nordafrica.Spero che occidentali e monarchie del golfo non si inventino altre “primavere” o “interventi umanitari”, perche altrimenti sarà catastrofe , anche per l’Europa piena di grassi e satolli “attivisti per i diritti umani ” a senso unico !

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