Educazione è per noi una parola sacra

Di Antonio Villa
04 Marzo 2021
Perché il suo punto sorgivo è la stessa persona del Creatore che ha preferito essere riconosciuto come "maestro" piuttosto che essere accettato come "buono"

Riprendere la riflessione sulla libertà di educazione in pieno tsunami di pronunciamenti nel convegno della benemerita Cdo, mi richiede un grande sforzo di umiltà: mi sento una recluta del picchetto che attende l’arrivo del generale d’armata o come il corazziere impalato sul portone del Quirinale oppure come il disoccupato raccolto alle cinque del pomeriggio dall’evangelico datore di lavoro.

Mi va benissimo questa ultima immagine. Vi spiego il perché. Mi imbatto in una lettera fatta pubblicare dalla Cirinnà il 21.03.21 nella quale si lamenta così: «L’attacco di Gandolfini mi ha colpito non in quanto attacco alla mia persona ma in quanto attacco alla scuola». Si riferiva ad un articolo del 23 febbraio nel quale Gandolfini l’accusava di andare nelle scuole a “indottrinare”. Reagisce come una vipera in questo modo: «Sono temi che non hanno nulla a che vedere con l’indottrinamento né con l’ideologia ma che riguardano piuttosto alcuni principi e valori ben scolpiti nella nostra Costituzione… Voglio difendere prima di tutto l’autonomia e la responsabilità del sistema scolastico ribadendo la mia profonda fiducia in esso. Una scuola che non si limiti a riempire di nozioni studenti intesi come contenitori vuoti: ma che, piuttosto, intavoli un confronto costante… nel rispetto del pluralismo… ma nel perimetro della Costituzione. Non avrei nulla da obiettare se venisse dato spazio nelle scuole a chi su questi temi ha posizioni anche molto diverse dalle mie».

A mio parere, senza che se ne accorgesse, la Cirinnà ci ha svelato il punto sensibile, la parola insopportabile e quindi il bersaglio a cui mirare se si vogliono colpire: dimostrarli “indottrinatori”. È un’arte diabolica nel senso che è l’arte da noi cristiani riconosciuta al potentissimo devastatore di professione che, purtroppo, ha il permesso di esercitare fino alla fine della Storia. Consiste – questa è la sua forza – nella capacità di affascinare con l’affabulazione. Immagina un narratore di favole che incanta l’uditorio con la favola del lupo e dell’agnello e descrive la rabbia del lupo per l’inquinamento dell’acqua in modo tale da condurre l’uditorio all’applauso: “Bravo, bravo lupo, dagli una bella lezione a quella santerellina, tutta timidina ma capace della vigliaccheria di sporcare l’acqua a un assetato!”. Se volete, meno schifosamente, il cronista della strage del Vajont, teso a mostrare gravi responsabilità, documenta la causa nello smottamento della montagna in pochi secondi nell’invaso della diga… si sente dire tra sommessi mormorii: «… ma dai… una montagna… non esagerare!».

Fuori dalle immagini: ci sono delle parole per così dire magiche e per noi sacre. Una di queste è la parola “educazione”. Parola sacra perché il suo punto sorgivo è la stessa persona del Creatore che, approdato qui sulla terra, ha preferito essere riconosciuto “maestro” piuttosto che essere accettato come “buono”. Vediamo dunque di non modulare il suo vissuto, girandolo e rigirandolo fino ad archiviarlo come un diversamente docente! Don Luigi Giussani, per esempio, non se lo è permesso, anzi ha condotto la sua vita con la certezza che da Lui derivasse un “metodo”. Perché non studiarlo?

Intanto ringrazio chi ha dato un bellissimo titolo all’intervento di Luca De Simoni: “Per investire nella scuola, ripartiamo dal Chi”. Ne riparliamo.

Foto Ansa

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