
L’educazione che abbiamo incontrato

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ho parlato con Giancarlo Cesana poche volte nella mia vita. L’ho invece seguito da lontano, fin dagli anni Settanta, quando ho visto sorgere e poi affermarsi la sua presenza accanto a don Giussani e affiancarlo per lunghi anni, anche attraverso momenti difficili, nella conduzione del movimento di Comunione e Liberazione sorto dalla crisi di Gioventù Studentesca che mi aveva vista appassionata partecipe e in parte protagonista.
Legati perciò attraverso don Giussani. E quale legame può essere più forte e radicale? Un legame fa superare d’un fiato le molte differenze di carattere, di sensibilità e di esperienza vissuta dalle diverse generazioni che hanno attinto alla vitalità sorgiva del suo carisma.
Per questo ho letto con particolare interesse questo libro che mi ha consentito di comprendere un po’ di più l’esperienza di vita di Giancarlo Cesana raccontata attraverso il suo itinerario personale e professionale.
Conosciamo così il giovane universitario, convinto dell’importanza strategica dell’intelligenza, che lotta per una società più giusta e che, entro il sommovimento drammatico del ’68, comincia a sentire stretto questo orizzonte.
Due incontri segnano, e indelebilmente, il suo mutamento di prospettiva e di vita. Due incontri quasi contemporanei e profondamente complementari. L’incontro con don Giussani e quello con Emilia che diventerà sua moglie, compagna discreta e potente della sua vita. La sua figura compare nel libro agli inizi della avventura esistenziale di Giancarlo Cesana ma si capisce benissimo come sia lei che ha reso fecondo l’incontro con don Giussani, lei che ha promosso lo svilupparsi di quella intelligenza affettiva (ma Cesana dice più propriamente di quell’affetto intelligente) che sta alla radice della fede e della sua intrinseca espressione comunitaria e operosa.
Don Giussani compare di più, ma senza troppe citazioni. Lo si ritrova attraverso gli effetti che ha avuto, dentro e al cuore dell’esperienza personale dell’autore fino a forgiarne il sentimento di se stesso. Lo si ritrova come punto di riferimento autorevole, come maestro, ma inscindibilmente connesso alla comunità cristiana di Cl che negli anni prendeva corpo e che è stata il luogo della sua educazione. E questa parola, che costituisce il filo rosso del libro, va intesa nel senso proprio che ad essa ha dato don Giussani, di proposta sperimentabile e rischiosa che ti introduce, ti fa incontrare ed interrogare la realtà tutta, in «tutti i suoi fattori».
E così vediamo Giancarlo Cesana affrontare con la medicina del lavoro la “soggettività operaia” e dare ad essa un valore più compiuto di quello rinchiuso nella visione marxisteggiante tipica degli anni Settanta, così come lo vediamo studiare con rigore per molti anni il tema dello stress e delle sue conseguenze sulla salute, sapendo però coglierne la complessità e le connessioni che esso ha con il senso che le persone danno alla loro vita.
E in modo analogo affronta la psicologia (un termine che viene usato in senso lato e a volte includente anche la psichiatria) che egli esamina criticamente a proposito della classificazione dei disturbi mentali, dell’uso degli psicofarmaci e delle psicoterapie, specialmente quelle di orientamento psicoanalitico (alla psicoanalisi dedica un intero capitolo) di cui valorizza soprattutto il ruolo del rapporto tra chi cura e chi viene curato.
Viene perciò dato rilievo al variegato mondo della psicologia di cui Cesana riconosce gli apporti notevoli, anche se viene denunciato il suo uso improprio quando viene caricata del compito (a mio parere assai più dall’opinione pubblica e assai raramente da seri professionisti) di rispondere alla domanda di senso del dramma della vita non tenendo in debito conto gli aspetti misteriosi del mondo interiore della persona umana.
L’invito di Cesana è perciò non di “saltare” il sapere che la conoscenza scientifica ci ha fornito ma di “oltrepassarlo” facendo emergere – e questo è il lavoro dell’educazione – proprio il mistero che avvolge la vita di ciascuno di noi e che urge attraverso la tensione e il desiderio della «naturale e infinita ricerca del bene e della verità».
Educare ed essere educati è in questa accezione l’analogo di generare ed essere generati ed è perciò un compito elementare e fondamentale cui nessuno si può sottrarre.
È infatti alla famiglia che in primis si rivolge l’autore e al suo elementare e primigenio compito di trasmettere e comunicare il significato del vivere. Don Giussani, e questa volta sia concessa a me una citazione, nel Rischio educativo parla dei genitori come coloro che rappresentano l’origine dei figli: «La loro funzione è originatrice, per il fatto di essere tale, essa è immissione in un modo di concepire la realtà, in un flusso di pensiero e di civiltà».
La tradizione è qui innovativamente concepita come “patrimonio d’origine” ma perché sia possibile viverla, verificarla e rinnovarla deve poter essere incontrata in un luogo concreto in grado di offrire non solo quel senso della vita che la storia da cui proveniamo ci ha tra-mandato, ma al contempo e nel presente, una compagnia che sorregga la persona nella tensione indomita che grida la domanda Ed io che sono?
Questa compagnia è la comunità cristiana, il dono che don Giussani ha lasciato al suo amato Giancarlo e a tutti quelli che, come lui, hanno deciso di essere fedeli all’incontro affascinante degli inizi, all’incontro d’origine, perché avessimo il coraggio di essere all’altezza di questa domanda.
l’autrice di questo articolo è Eugenia Scabini, docente di Psicologia dei legami familiari (già professore ordinario di Psicologia sociale della famiglia) presso la facoltà di Psicologia dell’Università cattolica di Milano, di cui è stata preside dal 1999 al 2011. È stata tra i primi allievi di don Luigi Giussani al liceo Berchet di Milano.
Foto Ansa
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