
L’omicidio di Villavicencio, candidato alla presidenza dell’Ecuador e nemico di Correa

È stato ucciso al termine di un comizio a Quito a colpi di pistola sparati da sicari Fernando Villavicencio, 59 anni candidato alla presidenza dell’Ecuador per il Partito Construye. Attivista coraggioso, da sempre al fianco di ambientalisti e indigeni, era tra i fondatori del movimento Pachakutik ma, soprattutto, un grande giornalista investigativo.
Deputato dal 2021 era candidato presidenziale alle elezioni del prossimo 20 agosto nel paese sudamericano, favorito per arrivare al ballottaggio e forse anche di vincere visto che secondo gli ultimi sondaggi, Villavicencio era secondo dietro a Luisa Gonzalez, la candidata dell’ex presidente Rafael Correa.
Gli scoop sulla corruzione e l’inchiesta sulle tangenti al partito di Correa
La vice di Villavicencio era Andrea González Nader, una giovane attivista ambientale di Guayaquil, che lo appoggiava nella sua lotta contro il narcotraffico e i legami con i tanti, troppi politici latinoamericani legati a filo doppio con le mafie e finanziati dal crimine.
I suoi scoop sulla corruzione e le tangenti milionarie che finanziavano l’estinto partito Alianza País dell’ex presidente Rafael Correa, sono state fondamentali per l’apertura di un’inchiesta giudiziaria, conclusasi con la condanna passata in giudicato ad otto anni dello stesso Correa (oggi latitante in Belgio), del suo ex vicepresidente Jorge Glas e di altri funzionari del loro schieramento politico, allineato sulle posizioni di Venezuela, Cuba e Nicaragua e stretto alleato di Lula in Brasile, la Kirchner in Argentina ed Evo Morales in Bolivia.
Villaviciencio nel mirino del Cartello di Sinaoa
Villaviciencio, in qualità di presidente della Commissione di controllo anticorruzione del Parlamento, aveva chiesto a marzo all’ufficio del pubblico ministero un’indagine penale contro un giudice che aveva messo in libertà sei anni prima del dovuto l’albanese Dritan Rexhepi. Roma e Tirana avevano chiesto l’estradizione di Rexhepi condannato a 13 anni a Quito e che gestiva un’organizzazione criminale.
Nella sua ultima intervista televisiva, concessa due giorni prima di essere ucciso, Villaciencio aveva annunciato che avrebbe presentato una denuncia con annessi documenti che coinvolgevano Rafael Correa e Glas in uno schema di corruzione legata a Petroecuador, la statale petrolifera e alla concessione di 21 terreni. Il candidato era nel mirino del Cartello di Sinaoa, che gestisce ormai senza intermediari la produzione in Colombia, usa a Quito i sicari di cartelli locali (soprattutto i Choneros e Los Lobos) e ha spostato le sue rotte di trasporto via terra verso l’Oceano Pacifico, trasformando l’Ecuador nel paese da cui parte più cocaina verso i mercati internazionali.
L’hub della cocaina e la dipendenza da Pechino
Lo scorso anno in Ecuador sono state sequestrate 173 tonnellate di cloridrato di cocaina, 5,5 tonnellate di pasta base, 16,5 tonnellate di marijuana e 352 chili di eroina. Inoltre sono state arrestate 12.573 persone e 212 piccoli gruppi criminali organizzati sono stati smantellati. Intercettate dalla polizia anche 70 tonnellate di sostanze chimiche, in gran parte destinate alla produzione del letale fentanyl. Il 45 per cento delle droghe sequestrate era destinato all’Europa, soprattutto al Belgio e all’Olanda. Villavicencio denunciava le connessioni con la politica cosiddetta “di sinistra” di molti leader sudamericani. L’ultimo era stato il colombiano Petro, sabato 29 luglio, quando il candidato presidenziale dell’Ecuador aveva fatto notare che Nicolás, figlio del presidente della Repubblica, Gustavo, aveva stretti legami con politici legati all’ex presidente latitante Correa, come la candidata in parlamento Raisa Vulgarin.
Negli ultimi due anni, Villavicencio si era dedicato in Parlamento a denunciare i tanti casi di corruzione verificatisi durante la presidenza di Correa, che lo aveva perseguitato. Soprattutto a causa del suo libro Ecuador: Hecho en China (Ecuador made in China), in cui rivelava tutti i dettagli degli accordi petroliferi di vendita (swap) tra Ecuador, Cina e Venezuela. Ma soprattutto il libro denunciava come la partecipazione di molte multinazionali e paesi intermediari in quegli accordi commerciali avesse fatto perdere miliardi all’Ecuador, rendendo l’economia del paese dipendente da Pechino.
La condanna al carcere e la fuga nella foresta
Dopo una denuncia per “ingiuria” da parte di Correa, il 16 aprile del 2013 la Corte Suprema Ecuadoriana controllata all’epoca dall’ex presidente aveva condannato Villavicencio a 18 mesi di carcere per violare l’articolo 494 del codice penale adducendo che “accuse senza documenti certi” potevano essere punite con il carcere. Secondo la sentenza Villavicencio avrebbe anche dovuto pagare una multa milionaria e porgere le sue “pubbliche scuse” a Correa.
In tutta risposta, insieme ad un deputato di Pachakutik perseguitato anch’egli dall’ex presidente, era stato costretto a nascondersi nella foresta amazzonica presso una comunità indigena amica per poi chiedere rifugio politico all’estero. L’uscita di scena di Correa, condannato per corruzione e latitante in Europa, coincise con la fine della fuga di Villavicencio. Ora la sua morte potrebbe dare il là al ritorno del “correismo” alle presidenziali che si terranno tra pochi giorni.
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