
Ecco chi dice “qualcosa di sinistra”
A voler essere cattivi verrebbe da ripetere la battuta di Andrea Marcenaro su Il Foglio di mercoledì 30 ottobre: «Che nostalgia quando Fassino, di fronte a un problema complicato, rispondeva sicuro: “Chiedetelo a D’Alema”». Oggi, a chi chiedere le soluzioni di problemi complicati come: frammentazione politica a sinistra, globalizzazione, Social Forum di Firenze, guerre (di carta stampata e all’Irak)? A chi chiedere di “dire qualcosa di sinistra” secondo lo slogan morettiano? Abbiamo provato a girare questi e altri interrogativi a Emanuele Macaluso, direttore de Le ragioni del socialismo ed ex direttore de l’Unità, Enrico Morando e Franco Debenedetti, senatori Ds dell’area liberal, Pierluigi Bersani, ex ministro Industria e Trasporti e esponente di spicco della segreteria nazionale dei Ds. Ecco che cosa ne è venuto fuori.
Lo sfascio (visto da sinistra)
Molto spesso a sinistra si parla di ritrovare l’unità. Dopo il fatidico 13 maggio 2001 l’Ulivo, anziché serrare le fila, ha iniziato a perdere le foglie. Non passa giorno che la Sinistra Ds non mandi segnali di guerra all’area dalemiana-riformista, che non si invochi il rientro di Prodi, che Moretti non chieda «più passione» o che Cofferati non rilasci dichiarazioni al vetriolo contro il gruppo dirigente. Da semplici spettatori esterni ci chiediamo: a parte il collante del generico antiberlusconismo, da dove ripartire? Da Moretti e i girotondisti? Da Cofferati e Gino Strada? Da D’Alema e Fassino? Cercare un’intesa con Rifondazione e Di Pietro? E i no global? Emanuele Macaluso è tranchant «non c’è possibiltà di un’unità a Sinistra che vada dai no global e Rifondazione fino ai Ds. Ritengo che la cosa più giusta sarebbe quella di definire con nettezza le proprie posizioni senza scagliarsi con ingiurie e anatemi di tradimenti». Macaluso pensa a Gianni Vattimo che ha detto che «D’Alema è da rottamare»? «Vattimo – prosegue il direttore de Le Ragioni del Socialismo – dice le cose che dice perché non ha una storia dentro la Sinistra e il movimento operaio. Non sa cos’è il socialismo europeo. Anche nel resto d’Europa esistono frizioni fra le varie anime della Sinistra» ma nessuno si sognerebbe mai di «usare le parole di Vattimo». Enrico Morando auspica che «i riformisti che stanno in ogni partito escano dall’isolamento che li caratterizza e interagiscano all’interno di un soggetto più ampio, cioè l’Ulivo». Ma, oggi come oggi, sembra avere più risonanza la posizione del Correntone. Controbatte il senatore Ds: «la posizione del “rimanere come si è” e di chi sollecita (illudendosi e illudendo) di difendere le cose così come stavano, ha sempre successo. Chi sostiene posizioni come le mie viene accusato di non essere sufficientemente radicale nella contrapposizione al centrodestra. La mia opinione è che, purtroppo, soltanto attraverso queste posizioni si riesca a far tornare il centrodestra all’opposizione. Mentre una posizione di sinistra tradizionale lo conserverà a lungo al governo». Per Pierluigi Bersani la sinistra riformista dovrebbe prendere a prestito uno slogan francese «siamo per un’economia di mercato e non per una società di mercato». Che significa «unire a una necessaria componente liberale l’antica tradizione mutualistica. Il socialismo in Italia non è mai stato statalista, ma è nato da forme di mutualità e di auto-organizzazione. Il tema delle imprese “non capitalistiche” che vanno dalle forme di cooperazione a forme di mutualità deve servire da ispirazione alla sinistra ma in chiave di efficacia e anche di competitività sul mercato. Mix quindi tra universalismo della cultura socialista, tradizione del socialismo nato nella mutualità, nella reciprocità e nel protagonismo dei soggetti e i tratti di un liberalismo che faccia uscire l’economia dai lacci oligarchici e corporativi che ci sono ancora». Emanuele Macaluso ci tiene a dare un consiglio a D’Alema e Fassino: «siate più coraggiosi». Se nei Ds emergono posizioni contrastanti «su temi di politica estera, di politica sociale, di politica istituzionale… che si deve fare? Si vota. E quella sarà la posizione limpida e chiara proiettata all’esterno. La posizione unitaria nei Ds c’è; è che non si ha il coraggio di dirla fino in fondo e essere coerenti con quello che si pensa».
Global o no global?
È nato da poco un giornale, diretto da Antonio Polito, Il Riformista, che si professa «global» pur essendo di sinistra. E lo fa con una certa sfrontatezza, tanto da arrivare a proporre una marcia pro global proprio a qualche giorno (“Ci vorrebbe proprio un bel corteo pro global”, 4.11.02) dal Social Forum Europeo di Firenze. Per Enrico Morando (che si definisce un «riformista global») la globalizzazione «è un problema complesso che va affrontato nel merito. Con i movimenti global e new global occorre dialogare spiegando come la globalizzazione possa essere governata». «Naturalmente – prosegue – un dialogo è possibile solo con chi esclude la violenza». Ma per Macaluso non esistono vie di mezzo: «La posizione dei no global è sbagliata. La globalizzazione va accettata; casomai è un processo che va governato. I no global mi ricordano i luddisti che rompevano le macchine all’alba del capitalismo. La globalizzazione ha tante facce, positive e negative, dove prevalgono forse in certi momenti quelle negative ma il problema è come governare oggi la globalizzazione. La stessa parola no global mi pare una contraddizione. Una negazione di un fatto che non si può fermare, è come fermare con le mani l’acqua del fiume. Il fiume va arginato, bisogna fare le dighe, ma non si può stoppare». Il più “morbido” sembra esser Bersani: «È un peccato che quando si parla di globalizzazione si finisca sempre nei problemi di ordine pubblico e non si riesca a fare valere la voce dei protagonisti veri. Mi riferisco a chi vive i disagi della globalizzazione. Il dibattito va esteso al di fuori dell’ambito occidentale. Il rischio maggiore è che i problemi sollevati dalla globalizzazione cadano in secondo piano e siano ridotti a conflitti di politica interna».
Quando dirigevo io l’Unità…
Non è un mistero che non siano solo a destra a stupirsi della linea editoriale dell’Unità. Testata che riporta vicino al titolo: “fondato da Antonio Gramsci il 12 febbraio 1924” e che riceve i finanziamenti statali in quanto legata al gruppo parlamentare dei Ds. Gruppo che è tra i suoi bersagli preferiti. Come si spiega questa anomalia? «Si spiega col fatto – attacca Macaluso, ex direttore della stessa Unità – che questo giornale non è più organo dei Ds. Ha una proprietà che, diciamo così, è privatistica. Esiste una società che ha la testata anche se non si capisce ancora se l’ha in proprietà o l’aveva in affitto. C’è il gruppo parlamentare che garantisce i contributi statali (e dovrebbero deciderne l’orientamento) e invece non interviene. È un giornale che è comandato dal direttore. Quando io ero direttore de l’Unità sapevo che dovevo discutere la linea editoriale con la direzione del Partito. Poi, è chiaro, la decidevo autonomamente. Però la linea editoriale era discussa. Questo, oggi, non avviene. L’Unità è fra l’essere e il non essere. E in quest’ibrido va a finire che decide solo il direttore. Più diplomatico Enrico Morando: «Tutte le volte che ho mandato articoli sono stati correttamente pubblicati. Per quel che riguarda invece la linea prevalente del giornale mi sembra chiaro che è vicina alla componente più di sinistra del nostro partito». Quindi è un lettore del Riformista? «Leggo anche l’Unità – risponde ridendo il senatore Ds – perché leggo tutti i giornali “per mestiere”.
Sicuramente seguo con grande simpatia il tentativo del Riformista ». Diplomatico e spiritoso Bersani: «Il mio giornale ideale deve ancora arrivare. Li leggo tutti e due, li leggerò meglio per risponderle la prossima volta».
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