
Terra di nessuno
È stato tutto così veloce
Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Stiamo aspettando la proclamazione. L’attesa è lunga, i professori chiusi in un’aula discutono fra loro. I laureandi si distinguono perché sono in giacca e cravatta, la faccia tesa. Guardo mio figlio tra loro, con l’abito blu e una cravatta di suo padre, perché lui non ne ha. Nella folla di genitori emozionati mi apparto in un angolo, zitta. Dunque siamo alla laurea. La scuola è finita. Guardo quel ragazzo molto più alto di me, con la barba, con un istante di incredulità. Mi sembra passato in realtà così poco tempo da quando una mattina sono uscita da una farmacia di corso Buenos Aires, trionfante, in mano l’esito del test di gravidanza. Incredula, trasognata nel traffico incanaglito dell’ora di punta. Improvvisamente però molto attenta a traversare: siamo in due, mi sono detta, ora.
«È un maschio», il responso alla prima ecografia. Pietro, ti chiamerai, anzi già ti chiami, ho saputo in quel momento. Finché un giorno, incredibile, nel ventre il fluttuare di una cosa leggera. «Ciao», ti ho detto, soltanto. Io e mio marito poi quella sera all’ospedale, un vecchio grande ospedale dentro la notte illuminata da fredde luci al neon. Dalla sala travaglio grida acute di donne, e io improvvisamente coraggiosa: ti metterò al mondo, lo so, ne sono capace. Un’epica battaglia, fino alla prima luce dell’alba. «Maschio!», gridò l’ostetrica. E, pazzesco, tu, come dal nulla. I capelli fulvi come quelli di un nonno che io nemmeno ho conosciuto. «Il rosso dei Galli Boi», avrebbe detto mio padre, che già non c’era più.
Tu, che non volevi saperne di mangiare, e tuo padre saliva su una sedia, e si metteva a ballare. Tu, esploratore traballante nei primi passi, ma già pericoloso, tu felice, in un lontano Natale, su una Ferrari rossa a pedali. Tu all’asilo in un grembiulino azzurro e poi già a scuola, un mattino, spaventato, la tua mano piccola nella mia. E infiniti pomeriggi di tabelline e dettati, e algebra poi, e trigonometria. Tu sempre più alto e sempre più silenzioso, entrando nel mistero dell’adolescenza, già a noi un po’ straniero. E poi in un lampo la maturità, l’università. È stato tutto incredibilmente veloce, mi dico stamattina qui al Politecnico, assorta e come sporta sulla voragine ripida del tempo. Talmente ripida che mi mette paura, come fosse un gorgo che ti prende e ti risucchia.
Ti vedo da lontano con i tuoi amici che ridi e scherzi, a alleggerire l’ansia, la corona di lauro è già pronta. Dio mio, quanto in fretta sei diventato grande. Incredula risento in me la ninna nanna di Brahms che suonava accanto alla tua culla. Chiamano, è l’ora della proclamazione. Devo fugare i miei teneri fantasmi, e sorridere. Ma dentro, tuttavia, questo profondo, denso senso di stupore.
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