E ora rendiamo il lavoro intelligente per davvero

Di Maurizio Sacconi
16 Giugno 2020
Per l'ex ministro Maurizio Sacconi, il tuffo forzato nello smart working spinge a ripensare i rapporti tra impiegati e aziende alla radice. Altro che discutere ancora di orari
Sanificazione luogo di lavoro per emergenza coronavirus

Articolo tratto dal numero di giugno 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Lavorare meno, lavorare tutti? L’antica rivendicazione degli anni Settanta, nel contesto dei forti conflitti distributivi nella fabbrica fordista, è stata riproposta da cattivi maestri e decisori ideologizzati. La richiesta, politica prima che sindacale, della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è soprattutto antistorica. E non tanto per l’incremento del costo del lavoro senza compensazione con verosimili proposte di maggiore produttività. Quanto, soprattutto, perché avanzata nel mezzo di una rivoluzione dei modi di produrre e di lavorare che tende, progressivamente, a relativizzare il vincolo spazio-temporale proprio del lavoro nella lunga stagione industriale di tipo fordista. 

La crisi pandemica ha improvvisamente costretto molti ad una domiciliarità obbligata e il legislatore ha qualificato queste prestazioni come “lavoro agile”, ancorché privo del contratto individuale che, secondo la legge, lo dovrebbe disciplinare. Come sappiamo, in queste esperienze lavorative dalla propria abitazione si sono confuse modalità di telelavoro, di abbandono nella passività, di lavoro per obiettivi assegnati dall’azienda. La vera evoluzione verso una dimensione agile di tutte le prestazioni, dipendenti e indipendenti, significa sostanzialmente il passaggio dall’orario (e conseguentemente dal luogo) ai risultati quale parametro fondamentale dello scambio contrattuale. 

Non a caso il datore di lavoro cerca sempre più collaboratori capaci di saper essere prima che di saper fare, in quanto formati per affrontare con intraprendenza i cambiamenti continui e di raggiungere gli obiettivi assegnati. Le sedi fisiche di molte imprese si trasformano in luoghi con caratteristiche modulari – senza postazioni fisse – e di condivisione, perché dai vecchi modelli organizzativi gerarchici e verticali si spostano verso logiche orizzontali di collaborazione flessibile e responsabile. La stessa dirigenza afferma il suo potere non più solo in ragione della fiducia della proprietà ma soprattutto grazie alla autorevolezza della leadership sugli insiemi dei collaboratori. Aumentano in conseguenza le possibilità di una più intensa e diffusa partecipazione dei lavoratori ai destini dell’impresa.

In questi contesti, ogni contesa sull’orario e lo stesso concetto dello straordinario non hanno senso. Deve piuttosto cambiare la struttura del contratto di lavoro e della retribuzione. 

Nella dimensione collettiva il contratto nazionale può occuparsi dell’unico contenuto che fa i lavoratori uguali, ovvero delle prestazioni sociali complementari. Poiché dobbiamo aspirare a protezioni sociali dalla culla (dei familiari) alla tomba (dei lavoratori) e quindi estendere la capacità dei fondi sanitari oltre l’età di pensione ed aggiungere strumenti per l’assistenza di lungo termine, abbiamo bisogno di grandi numeri di beneficiari per assorbire i rischi e perciò di pochi grandi contratti nazionali. Certamente, quanto prima, di un solo contratto per l’industria. Tutto il “rimanente” contenuto contrattuale si sposta inesorabilmente nella dimensione aziendale o territoriale. 

Nuovi ambiti di negoziazione

Salari, formazione, certificazione delle competenze, inquadramenti flessibili, produttività, ulteriori benefit, modalità partecipative possono trovare definizione solo in prossimità. Anche attraverso il contratto individuale che merita di essere meglio definito come “personale”. D’altronde anche il lavoratore chiede di essere considerato nella integralità delle sue aspettative e dei bisogni suoi e del suo nucleo familiare, a partire dalla salute. Abbiamo constatato nella crisi pandemica come lavoro e salute siano bisogni primari, insopprimibili, della persona. È naturale quindi cercare, nell’ambito del rapporto di lavoro, che è tanta parte della nostra vita attiva, opportunità di prevenzione dei bisogni di salute che il datore di lavoro, ben oltre gli obblighi di legge, può garantire impiegando i medici competenti per formazione sugli stili di vita, informazione sulle malattie croniche, screening periodici. 

Insomma, altro che orario! La relazione intensa tra persone che si stabilisce con il rapporto di lavoro ci conduce ad esplorare ambiti di negoziazione sempre più funzionali alla reciproca soddisfazione per obiettivi condivisi di crescita dell’impresa e delle persone.

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Maurizio Sacconi, autore di questo articolo, è stato ministro della Salute, del Lavoro, delle Politiche sociali

Foto Ansa

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