
È morto Ciro Esposito. La famiglia: «Chiediamo silenzio e giustizia, non vendetta»

È morto stamattina intorno alle sei, Ciro Esposito. Aveva 31 anni, e da 54 giorni lottava tra la vita e la morte al policlinico Gemelli di Roma: da quel 3 maggio in cui era andato a vedere la finale di Coppa Italia, ma allo stadio Olimpico non era nemmeno arrivato ad entrare. Contro di lui, e senza un motivo valido, avrebbe fatto fuoco Daniele “Gastone” De Sanctis, un ultrà della Roma, mentre Ciro e altri tifosi camminavano ancora su viale Tor di Quinto.
A SCAMPIA È LUTTO. Esposito era originario di Napoli, del quartiere Scampia, dove viveva e lavorava nell’autolavaggio di famiglia, insieme ai suoi fratelli: aveva una fidanzata, Simona, alla quale era legatissimo. La sua passione era il calcio che seguiva spesso anche in trasferta. Da ieri il suo quartiere ha deciso di rispettare il dolore della famiglia e, in segno di rispetto, sono stati tolti i maxischermi montati nel quartiere per seguire la partita dell’Italia. Il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha ordinato il lutto cittadino. Gli Esposito hanno parlato alla stampa tramite lo zio del ragazzo, Vincenzo, attraverso un unico comunicato, e hanno chiesto di rispettare il silenzio. «Non si faccia violenza nel nome di Ciro. Invitiamo a mantenere la calma, non vogliamo altra violenza, ma solo rispetto per lui».
La madre (foto a destra), nei giorni successivi ai drammatici eventi, aveva già rilasciato qualche dichiarazione di questo tenore: «Perdono chi ha sparato, ma non capisco perché lo ha fatto».
«CHIEDIAMO GIUSTIZIA, NON VENDETTA». Nell’appello, la famiglia ha scritto: «Nessuno può restituirci Ciro ma in nome suo chiediamo giustizia e non vendetta. Vogliamo ringraziare tutti coloro che in questo periodo hanno manifestato la loro solidarietà. Oggi non è gradita la presenza delle istituzioni che si sono nascoste in questi 50 giorni di dolore. Alle 6 di questa mattina dopo un lungo calvario si è spento Ciro, un eroe civile». La famiglia ha spiegato infatti ciò che ha ricostruito attraverso le testimonianze degli altri tifosi del Napoli, presenti sul posto: «Quel maledetto 3 maggio è intervenuto in via Tor di Quinto a Roma per salvare i passeggeri del pullman delle famiglie dei tifosi del Napoli calcio. Il nostro Ciro ha sentito le urla di paura dei bambini che insieme alle loro famiglie volevano vedere una partita di calcio. Ora è morto per salvare gli altri. Noi chiediamo alle istituzioni di fare la loro parte».
LA RICOSTRUZIONE DELL’ACCUSA. Secondo la ricostruzione della procura a sparare è stato Daniele De Santis, che attualmente è detenuto in un reparto del policlinico Umberto I: la sua posizione si aggrava, e ora l’accusa si trasforma da tentato omicidio a omicidio volontario. Il sospetto, avallato sin dalle prime ore, è che De Santis però non fosse solo, anche se fino ad oggi gli inquirenti non hanno rivelato l’identità di altri indagati. La famiglia nel suo comunicato è voluta però esplicitamente tornare su quest’argomento: «Daniele De Santis non era solo. Vogliamo che vengano individuati e consegnati alla giustizia i suoi complici. Vogliamo che chi nella gestione dell’ordine pubblico, ha sbagliato paghi. Innanzitutto il prefetto di Roma che non ha tutelato l’incolumità dei tifosi napoletani. Chiediamo al presidente del Consiglio di accertare le eventualità responsabilità politiche di quanto accaduto». La procura di Roma ha disposto l’autopsia sul corpo di Ciro, la famiglia si è messa subito a disposizione per fare in modo di accellerare il rientro a casa: «Ora il nostro obiettivo è tornare a Napoli e vivere in silenzio il nostro dolore».
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