
È morta Valerie, la moglie a cui T.S. Eliot doveva la sua «gioia danzante»
Valerie Fletcher, meglio conosciuta come Miss Eliot dacché sposò T. S. Eliot – il poeta de La terra desolata e dei Quattro quartetti – nel lontano 1957, è morta lo scorso venerdì a seguito di una lunga e debilitante malattia. Aveva 86 anni, circa quaranta in meno del premio Nobel per la letteratura (nel 1948), ed era titolare dei diritti della sua opera fin dal 1965, data di morte dell’autore. È stata lei stessa ad aprire la Fondazione Eliot e a ideare, nel 1993, uno dei premi internazionali di poesia più importanti del mondo, appunto il T. S. Eliot Prize, vinto anche da Derek Walcott, Ted Hughes e Seamus Heaney.
L’INCONTRO. Valerie aveva letto a 14 anni La terra desolata, facendo maturare in lei la passione per la letteratura e per l’opera di Thomas Stearns (ma nell’intimità del rapporto coniugale era semplicemente “Tom”). Nata a Leeds, nell’Inghilterra settentrionale, si spostò a Londra per lavorare nella casa editrice londinese Faber and Faber, di cui Eliot era direttore. Era la sua segretaria. Il primo matrimonio dell’autore, con Vivienne Haigh-Wood si era concluso pochi anni prima, nel 1947, a seguito della morte di lei per overdose. Eliot non negò che, in quella circostanza, meditò persino il suicido.
IL MATRIMONIO. Valerie non aveva l’intenzione di iniziare una relazione con un uomo così famoso e così anziano. E pensò di fargli un buon servizio soltanto lavorando al meglio come sua segretaria. Ma anche questo ebbe il suo peso: il poeta se ne innamorò e la sposò. «Un matrimonio segnato dalla felicità, da lunghe serata passate a mangiare formaggi e a giocare a Scarabeo – dichiarò Valerie in un’intervista all’Indipendent –. Tom voleva solo un matrimonio felice dopo la morte di Vivienne. E sono contenta che l’abbia vissuto con me».
LA DEDICA. Durante il matrimonio con Valerie Thomas Stearns non scrisse più poesia. Forse, in pace con se stesso, poteva dedicarsi completamente alla vita. Eppure, pochi versi li scrisse: era la dedica a una sua opera teatrale, L’anziano statista. E li dedicò alla moglie:
«A colei a cui devo la gioia danzante
che accelera i miei sensi nel tempo della veglia
e il ritmo che governa il risposo del nostro sonno,
il respiro all’unisono
di amanti i cui corpi odorano dell’altro,
che pensano gli stessi pensieri senza bisogno di parole
e balbettano gli stessi discorsi senza bisogno di un significato»
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