È la fine degli accordi fra gentiluomini. Da oggi si gioca in campo aperto

Di Alan Patarga
17 Febbraio 2017
Non più multilaterali, ma bilaterali. In mezzo ci saranno dazi, certo, ma anche concorrenza fiscale per attrarre (o trattenere) investimenti e posti di lavoro e pure guerra valutaria

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

«Immaginate che stagione della storia stiamo vivendo: il Wto è stato immaginato con gli accordi di Bretton Woods, uno degli assi portanti della governance mondiale voluta proprio dagli americani» e adesso quegli stessi americani, con minacce di dazi e muri, rischiano di finire fuori dall’Organizzazione mondiale del commercio. Non poteva essere più chiaro, il ministro Carlo Calenda nello spiegare la “stagione Trump”, un periodo “senza rete” in cui le certezze che l’Occidente si è costruito sembrano destinate a sgretolarsi.

I dazi e i muri, si diceva. Che poi bisognerebbe dire che i muri, tra l’America e il Messico, già ci sono da circa vent’anni, e che i dazi non sono novità della Trumpnomics. Anzi: un dossier di Crédit Suisse dice che gli Stati Uniti sono già dai dorati tempi obamiani il paese più protezionista del mondo. La Cina è al nono posto, per dire. E così, tra la retorica sovranista di The Donald e l’appeasement forse strategico forse no tra l’Europa e la Cina, in quel di Davos (Svizzera) abbiamo scoperto che il campione mondiale della globalizzazione è il leader comunista cinese Xi Jinping. Grande equivoco, più che nemesi storica. Pechino ha individuato il ventre molle, noi glielo mostriamo senza pudore, bisognosi di sponde e soldi freschi. L’America s’attrezza, l’Europa s’offre. In mezzo la Russia, poco rilevante economicamente, ma ancora decisiva sul piano geopolitico, ormai più vicina a Washington che a Bruxelles.

Fronti che si scompongono e cartelli che vengono meno. Perché tutto sommato il Wto e la globalizzazione, che hanno portato ricchezza e benessere dove non c’erano (con costi sociali in parte ancora da contabilizzare e cessioni di sovranità invece già verificate) questo erano: un grande cartello, un accordo tra gentiluomini per commerciare in santa pace, tutti (più o meno) ad armi pari. Sappiamo che non è stato proprio così, che la Cina soprattutto ha giocato al limite delle regole. Trump e la Brexit rompono questo schema: Theresa May ha detto che il Regno Unito esce dall’Europa politica per diventare una “Global Britain”.

Si gioca in campo aperto: ciascuno con i propri prodotti e con la propria arte di stringere accordi commerciali. Non più multilaterali, ma bilaterali. In mezzo ci saranno dazi, certo, ma anche concorrenza fiscale per attrarre (o trattenere) investimenti e posti di lavoro e pure – già si capisce – guerra valutaria, con svalutazioni competitive e altri arnesi che pensavamo confinati a un passato di mercantilismo arcaico. E invece chi non ci starà, o chi avrà minor forza contrattuale, soccomberà. Ma non sarà la fine del mercato, piuttosto ne vedremo la faccia feroce. Quella della concorrenza pura.

@apatarga

Foto Ansa

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