
Non sarà un anno bellissimo

Non vorremmo dilungarci troppo nel commento al discorso tenuto ieri da Mario Draghi al Senato. Non lo faremo soprattutto per una ragione di buon senso: inutile fare la radiografia a un elenco di intenzioni che, inevitabilmente, hanno la pecca di risultare solo degli “appunti” programmatici. Draghi è rimasto sul vago quanto ha potuto e nel suo discorso si possono ravvisare una serie di passaggi che servono a tenere buona la parte più in difficoltà della sua maggioranza (quella giallorossa, che prima governava e adesso no).
Cedimenti e spunti
Pensando a questi ultimi, Draghi ha così insistito sul global warming e l’ecologia (senza però indugiare sul neo ministero della Transizione), l’irreversibilità dell’euro, il multilateralismo, la parità di genere (ma non col «farisaico rispetto delle quote rosa») soffermandosi anche un po’ troppo – per i nostri gusti – nella retorica sui giovani e nell’ormai logoro paragone col Dopoguerra.
Al tempo stesso, è stato però capace di dare alcuni segnali forti, certamente in discontinuità col precedente esecutivo: l’impegno a «informare i cittadini con sufficiente anticipo», un’attenzione non pelosa alla condizione dei lavoratori autonomi, alla campagna vaccinale, alla scuola (con la “bocciatura” della dad), al coinvolgimento dei privati, alla collocazione atlantica del paese, alla non più rimandabile riforma della pubblica amministrazione.
Sprecare tempo
Poi, certo, si nota anche quel che non c’è (pensioni, Mes, tasse sulla casa, patto di stabilità, giustizia penale) o quel che c’è ma bisogna capire poi come si fa (il riferimento alla riforma fiscale sul modello danese: un taglio mantenendo la progressività). Doveva fare un discorso che doveva piacere un po’ a tutti e spiacere un po’ a tutti: obiettivo centrato. Da questo punto di vista, mutatis mutandis, le parole che aveva pronunciato al Meeting di Rimini erano più interessanti e meno scontate. Comunque, almeno, lontano anni luce dalla retorica sull’«anno bellissimo» di Contiana memoria. Anzi, su questo Draghi è stato molto chiaro:
«Le previsioni pubblicate la scorsa settimana dalla Commissione europea indicano che sebbene nel 2020 la recessione europea sia stata meno grave di quanto ci si aspettasse — e che quindi già fra poco più di un anno si dovrebbero recuperare i livelli di attività economica pre-pandemia – in Italia questo non accadrà prima della fine del 2022, in un contesto in cui, prima della pandemia, non avevamo ancora recuperato pienamente gli effetti delle crisi del 2008-09 e del 2011-13».
Quindi? Quindi staremo a vedere se, come si comprende dal tono generale delle sue parole, ci sarà un effettivo cambio di passo rispetto ai giallorossi soprattutto per quanto riguarda le riforme da mettere in campo per ottenere i soldi del Recovery fund. Va sempre ricordato, infatti, che ciò che ci impegniamo a fare oggi diverrà vincolante fino al 2026. Non si può più sbagliare, non si può più, come ha detto Draghi, sprecare tempo «nella sola preoccupazione di conservarlo».
Foto Ansa
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