
La preghiera del mattino
Dopo la Merkel, un vero conservatore a capo dei conservatori

Su Leggo si scrive: «Ci siamo. È tutto pronto». Ma che cosa state pensando? Stanno parlando di Sanremo, non del Quirinale.
Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «“Il paese, la stampa, perfino la Cei si chiedono che cosa aspettiamo, perché non lo votiamo. E il motivo è semplice”, confida al Sussidiario un grande elettore centrista. “È che il Parlamento serve, serve a fare le leggi, e non si può trattarlo così”». Il pensiero lineare (in questo caso l’astratta difesa delle prerogative di un Parlamento allo sbando) ha sempre un grande fascino: Guglielmo di Occam ce l’ha insegnato. Ma quando un percorso è a zig zag e tu tiri diritto, non è impossibile finire in un burrone.
Su Atlantico quotidiano Federico Punzi scrive: «Un premier che praticamente pone al Parlamento una questione di fiducia non su un decreto o una manovra di bilancio, ma sulla propria elezione al Colle: o me, o il diluvio, ovvero la caduta del governo. Le distorsioni prodotte da questa anomalia le stiamo osservando in questi giorni. Da una parte, le trattative tra i partiti non si limitano al nome per il Quirinale, ma riguardano anche il nome del successore di Draghi a Palazzo Chigi e il complessivo assetto del nuovo governo. Dall’altra, un presidente del Consiglio che agendo da presidente della Repubblica in pectore sembra aver già avviato le consultazioni con i partiti per la scelta del proprio successore a Palazzo Chigi e persino con le personalità che potrebbero succedergli». Ecco come un opinionista particolarmente acuto e intelligente come Punzi può aiutare a buttarsi in un burrone: dal 2011 l’Italia vive un assoluto anomalo commissariamento della politica. Questo stato di cose non è un’invenzione (e tanto meno un abuso) di Mario Draghi. Il problema è come – pur formalmente rispettando la lettera della Costituzione ma di fatto, in parte, non il suo spirito – tirarsi fuori da questa anomalia. E qualcuno può credere che Franco Frattini, Pierferdinando Casini, Marta Cartabia, la resurrezione di un Sergio Mattarella che dentro l’anomalia ci ha fatto sguazzare, potrebbero aiutarci a superare questa terribile fase per l’Italia? O qualcuno può aspettarsi quella regia decisa di cui c’è necessità, da un “professionista a contratto” del pur abile e colto Giuliano Amato?
Su Huffington Post Italia si scrive: «”Il tentativo di Mario Draghi di diventare presidente è nocivo per l’Italia e l’Europa”. È questo il titolo di un editoriale del settimanale inglese Economist. La celebre rivista ha scelto di commentare l’elezione del presidente della Repubblica cominciata oggi». L’Economist da tempo tratta l’Italia come i britannici fanno spesso con quei popoli che secondo loro non hanno raggiunto una compiuta civiltà politica, un orientamento accompagnato da quello snobismo molto british che conosciamo, e che non di rado nasconde pure una difesa degli obiettivi anche commerciali di un grande nazione. A questo approccio negli ultimi anni si aggiungono anche le strategie degli Agnelli-Elkann, che controllano la proprietà del periodico inglese, che pur non essendo più granché industriali rappresentano però molteplici interessi.
Dagospia scrive: «Mai si era vista una tale scorrettezza istituzionale che vede un candidato al Quirinale (Draghi) impegnato a fare un giro di consultazioni con i leader dei partiti per il futuro governo, come se fosse già capo dello Stato». C’è un nucleo di interessi “romani” che sta combattendo una lotta alla morte contro l’elezione di Draghi. Sarebbe bello capirne le motivazioni. Quanto alle accuse contro Draghi, rimando alla nota successiva.
Su Startmag Francesco Damato scrive: «E un po’ deve essersi in effetti sentito importunare Draghi quando Salvini, uscito poi visibilmente nervoso dall’incontro, ha cercato di parlare con lui della composizione di un nuovo governo dopo l’elezione del presidente della Repubblica, non escludendo evidentemente il suo arrivo al Quirinale. Al che Draghi – che non sarà un politico di professione o di casta, come direbbero i grillini di vecchia maniera, ma la Costituzione la conosce bene – ha risposto dicendo che di un nuovo governo, della sua composizione e di tutto il resto dovranno occuparsi i partiti negoziando fra di loro e il presidente della Repubblica che succederà a Sergio Mattarella». Mi pare che questa “lettura” oggettiva dei fatti risponda alle scomposte accuse avanzate da Dagospia. E pone un ulteriore interrogativo: ma Salvini ha in testa una strategia razionale?
Su lavoce.info Giacomo D’Arrigo e Piero David scrivono: «Il dibattito sull’elezione del presidente della Repubblica è strettamente legato alle vicende del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Col Next Generation Ee, il nostro paese ha imboccato una strada nella quale si può correre, come è avvenuto nel 2021, per colmare il divario di produttività con Francia e Germania; oppure si può avanzare a rilento, sprecando un’occasione unica e irripetibile; ma si può anche andare a sbattere, rischiando il default e condannando le nuove generazioni a un futuro meno prospero e più precario. La direzione e la velocità nel percorso dipenderanno esclusivamente dalla sicurezza e dalla stabilità di chi sarà alla guida del processo. E nel contesto politico italiano attuale, la sicurezza può essere garantita solo da una configurazione politica, una governance, molto simile a quella che ha portato alla nascita del governo Draghi: ampia maggioranza, presidente del Consiglio con un profilo autorevole e competente, principali istituzioni allineate sulla strategia dell’Italia per un’Europa più forte». Il principale punto a cui deve rispondere Matteo Salvini è quello posto dalle due firme de lavoce.info qui citate: l’unica via per l’Italia è prorogare il commissariamento della politica all’infinito, come si vorrebbe fare mettendo un presidente della Repubblica debole e tentando di dare poteri senza veri limiti a Draghi a Palazzo Chigi? È evidente che l’Italia si trova in una situazione di emergenza, a parte il contrasto della pandemia, lo è anche per l’attuazione degli investimenti del Pnrr. Però in questa emergenza non è facile spiegare come si possa affrontare questa sfida con un Parlamento allo sbando, in un anno pre-elettorale e per di più con un Quirinale debole. Se si seguono le indicazioni astratte e impolitiche di D’Arrigo e David, probabilmente, si finisce per ripetere i catastrofici risultati del governo Monti. Ma dalla sua anche le posizioni prese dal leader della Lega (per ora molto propagandistiche e un po’ narcisistiche) non rispondono alla complessità dei problemi. Si tratta di capire, invece, se si può fare un accordo bipartisan per affrontare le “questioni straordinarie” che dureranno almeno qualche anno e insieme far tornare una politica che risani il caos istituzionale, cosa che non avverrà senza un nuovo Parlamento che prima viene eletto meglio è.
Sul Post si scrive: «Per quanto riguarda il nucleare, ad esempio, il Partito socialista ha una posizione ambigua, mentre i Verdi e La France insoumise sono contrari. Al referendum francese sulla Costituzione europea del 2005, che chiedeva se la Francia avrebbe dovuto ratificare la Costituzione europea, vinse il “no”: Mélenchon, l’area più di sinistra del Partito socialista e anche Christiane Taubira erano contrari al trattato, Hidalgo e i Verdi erano favorevoli. C’è poi la questione della Nato: la France insoumise vorrebbe uscire, gli altri no. Un programma comune e credibile, per l’unione della sinistra, sembra dunque molto complicato da realizzarsi. Gli stessi sondaggi dicono che, al secondo turno, gli elettori di Mélenchon voterebbero per il verde Jadot ma non per la socialista Hidalgo, e che gli elettori di Jadot e Hidalgo voterebbero più per Macron che per Mélenchon». Questo è il quadro della sinistra francese disgregata nel 2017 da Emmanuel Macron grazie a quel genio di François Hollande: e solo altrettanto geniali dirigenti del Partito democratico potevano richiamare da Parigi un amichetto di Macron per sistemare le cose di casa loro.
Su Affari italiani si scrive: «A questo punto rimangono attive dunque solo due inchieste: quella sull’Ospedale in Fiera (della quale si sono perse le tracce da lungo tempo) e quella – appunto – sui camici. Anche Diasorin, altro grande caso dell’estate 2020, è finito con un’altra richiesta di archiviazione. Tornando a Fontana, è la seconda volta che la procura chiede l’archiviazione: stessa identica sorte per lui ai tempi dell’inchiesta Mensa dei poveri». A sinistra nonostante le decisioni della procura di Milano si continua a parlare di una macchia che impedirebbe la ricandidatura di Attilio Fontana. Graziosi e piccoli sciacalli che riescono addirittura a far passare da signori quelli del centrodestra (operazione indubbiamente complessa), che quando la procura di Milano passò sopra (opportunamente) ai pasticcetti combinati da Giuseppe Sala nella gestione dell’Expo, non fecero neanche un plissè.
Sul Blog di Beppe Grillo si legge: «Tutti noi creiamo innumerevoli ricordi mentre viviamo le nostre vite, ma molti di questi li dimentichiamo». Come si chiamava quell’armatore che mi rompeva le scatole?, continua a chiedersi il comico genovese.
Su Affari italiani si scrive sul nuovo leader della Cdu Friedrich Merz: «Liberista, conservatore e atlantista, cattolico e padre di tre figli, un curriculum che vanta posizioni di primo piano in colossi come Axa, Basf e BlackRock, Merz non è l’anti-Merkel solo dal punto di vista politico. La cancelliera era nota per il suo stile frugale e di basso profilo». Chiatta chiatta fregava sempre tutti a cominciare dal suo massimo mentore, Helmut Kohl, da lei pugnalato alle spalle. Finita l’epoca della grande imbrogliona, finalmente un vero conservatore (e atlantista) sfiderà un vero (seppur moderato) socialdemocratico come Olaf Scholz. Oggi a Berlino, domani a Roma?
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