
Dopo la Champions, la Transnistria punta a conquistare l’Unione Europea

Adesso che lo Sheriff Tiraspol sta per affrontare l’Inter in Champions League, dopo aver infilzato contro ogni pronostico Shakhtar Donetsk e Real Madrid, tutti in Italia sono convinti di sapere tutto della sua regione di origine, la Transnistria, di cui fino a un paio di settimane fa non conoscevano nemmeno l’esistenza: dove si trova; la sua condizione di protettorato russo di fatto dopo la guerra civile del 1990-’92 nonostante faccia parte formalmente della Moldavia; lo strapotere politico-economico della Sheriff, una holding in mano ad oligarchi russi ex agenti del Kgb alla quale gli abitanti della regione devono rivolgersi sia quando fanno il pieno al loro veicolo che quando comprano il pane, sia quando guardano la tv che quando telefonano col loro cellulare, sia quando vanno al supermercato che quando cercano un’impresa che gli costruisca o gli restauri la casa; infine il pericolo rappresentato dal deposito di armi e munizioni russe presso il villaggio di Cobasna, 20 mila tonnellate di materiali che se esplodessero causerebbero un effetto paragonabile allo scoppio dell’atomica di Nagasaki.
Informazioni che hanno spento sul nascere gli afflati retorici del giornalismo sportivo, incline a descrivere l’impresa dello Sheriff che ha sconfitto in casa sua il Real Madrid per 2 a 1 come la vittoria di Davide su Golia: una squadra la cui rosa vale in tutto 12 milioni di euro e che partecipa per la prima volta alla fase finale della massima competizione europea per club ne ha sconfitta una che vi ha partecipato 51 volte vincendola 13, e i cui giocatori sul mercato valgono 793 milioni di euro.
Le basi dell’adesione all’Ue
Quello che molti non sanno è che in un giorno non troppo lontano la Transnistria, con i suoi oligarchi, i suoi depositi di armi e i suoi 1.500 militari russi, ufficialmente forza di interposizione per il mantenimento della pace ma in realtà garanzia dell’indipendenza unilaterale della regione, fra qualche anno potrebbe entrare a far parte dell’Unione Europea (Ue). Non è una fantasticheria: Cipro è stata ammessa nella Ue anche se nella parte orientale dell’isola ci sono 30 mila soldati dell’esercito turco. Le basi dell’adesione sono state gettate nel corso dell’ultimo anno, con le vittorie di Maia Sandu alle elezioni presidenziali moldave del dicembre 2020 e del suo partito alle elezioni politiche anticipate del luglio 2021.
I paesi dell’Europa dell’Est coinvolti in forme di partenariato con la Ue si dividono fondamentalmente in due gruppi: quello cosiddetto dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro, Kosovo e Serbia), che si sono riuniti col presidente del Consiglio europeo Charles Michel il 6 ottobre scorso, e quello del Partenariato orientale, che comprende Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina. Di questi sei paesi, tre (Armenia, Azerbaigian e Bielorussia) non sono interessati ad andare al di là del partenariato con la Ue, invece gli altri tre sono estremamente interessati a entrare a farne parte, tanto che il 19 luglio i loro presidenti si sono riuniti nella città georgiana di Batumi e hanno firmato una dichiarazione nella quale si impegnano a integrare sempre più le loro politiche con quelle della Ue e chiedono ai paesi aderenti a quest’ultima di riconoscere le prospettive di adesione dei loro tre paesi all’Unione Europea.
«Vogliamo diventare parte della famiglia»
«Abbiamo preso nota», scrivono i tre capi di Stato, «delle conclusioni del Consiglio europeo del 24 giugno 2021, nel quale i leader della Ue […] hanno riconosciuto le aspirazioni europee e la scelta europea dei partner associati. […] Sostenuti dalla forte volontà dei nostri popoli di diventare parte della famiglia europea, siamo uniti nella determinazione di lavorare per ottenere il riconoscimento della prospettiva europea per Georgia, Moldavia e Ucraina, aprendo la strada alla futura affiliazione dei nostri tre stati alla Ue». Charles Michel, presente anche a questo summit, ha espresso la sua soddisfazione.

Fino a qualche tempo fa la strada che molti indicavano per l’ingresso della Moldavia (e quindi della Transnistria) nella Ue era quella dell’unificazione tra i due paesi: moldavi e rumeni parlano la stessa lingua, la storia li ha tenuti spesso separati ma resta vivo nella memoria il periodo in cui hanno fatto parte di un unico stato. In Romania l’opinione favorevole alla riunificazione è unanime, tanto che quattro anni fa il parlamento rumeno proclamò pressoché all’unanimità l’istituzione della giornata nazionale di commemorazione dell’unione fra Romania e Bessarabia, regione in gran parte coincidente con l’attuale Moldavia. Tale unione durò dal 27 marzo 1918 all’agosto 1944, quando il territorio passò sotto l’Unione Sovietica.
Maia Sandu l’europeista
Più problematico è l’atteggiamento dei moldavi nei riguardi dell’eventuale fusione: secondo l’istituto di sondaggi moldavo iData la percentuale di persone favorevoli alla riunificazione con la Romania sarebbe passata dal 15-20 per cento del 2016 al 43,9 per cento del marzo 2021; tuttavia alle elezioni anticipate dell’11 luglio scorso l’Alleanza per l’unione dei romeni e il Partito dell’unità nazionale, cioè i due partiti moldavi che hanno in programma l’unificazione fra Moldavia e Romania, hanno ottenuto rispettivamente soltanto lo 0,49 e lo 0,45 per cento dei voti. Ha invece trionfato col 52,8 per cento dei voti il Partito di azione e solidarietà (Pas) della presidente Sandu, il capo di Stato più europeista che la Moldavia abbia mai avuto.
La Sandu è descritta come l’unica personalità politica moldava autorevole completamente autonoma sia dalla Romania che dalla Russia (era filo-russo il suo predecessore Igor Dodon), interessata esclusivamente a realizzare le riforme che permetteranno alla Moldavia di diventare un paese candidato all’adesione alla Ue. Va tuttavia ricordato che anche Maia Sandu, come altri 650 mila cittadini moldavi, detiene un passaporto rumeno accanto a quello nazionale.
L’esodo è già cominciato
Non tutti i detentori di doppio passaporto vivono in Moldavia o in Romania: molti ne hanno approfittato per trasferirsi in un paese della Ue. La Moldavia, d’altra parte, è il paese europeo che ha conosciuto la più grande flessione del numero degli abitanti negli ultimi trent’anni: sarebbero passati dai 4,3 milioni del 1991 ai 2,9 milioni di oggi, che comprendono anche la popolazione della Transnistria, in maggioranza di etnia russa (29 per cento) e ucraina (23 per cento), coi moldavi etnici poco sopra il 28 per cento. Anche lì il numero degli abitanti ha subìto una forte flessione: sarebbero passati dai 731 mila del 1991 ai 306 mila attuali. Sarà anche per questo che dei 30 giocatori dello Sheriff solo 4 sono moldavi, e uno solo è nato in Transnistria, il difensore Alexandr Belousov.
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