Dopo 277 anni chiude Richard Ginori di Sesto fiorentino

Di Chiara Rizzo
31 Luglio 2012
Da domani i 337 operai vanno in Cig: resta accesa, insieme ai forni lasciati al minimo, la speranza che la fabbrica fondata nel 1735 trovi nuovi acquirenti. Quattro cordate hanno manifestato il loro interesse.

Da domani andranno in cassa integrazione per un anno i 337 dipendenti della Richard Ginori, stabilimento di Sesto Fiorentino (Fi): la famosa fabbrica di porcellane chiude i battenti, almeno per ora, anche se i forni rimarranno accesi al minimo. Come una fiammella di speranza per una possibile ripresa futura. Chiude per il momento però un pezzo di storia del nostro Paese per colpa di debiti che ammontano oggi a 70 milioni di euro e che hanno per qualche tempo reso realistico lo spettro di una procedura fallimentare. Tuttavia, come detto, una piccola speranza per la fabbrica rimane accesa. I tavoli di lavoro che sono stati organizzati dall’assessorato della Regione Toscana, per il salvataggio dell’azienda, insieme al collegio dei liquidatori, le istituzioni e i sindacati lascia aperta la porta all’interesse di tre o forse quattro soggetti: per il 30 agosto è già stato convocato il prossimo tavolo in cui si dovrebbe dirimere il destino dell’impresa.

Lo stabilimento di Sesto Fiorentino è il più antico e proprio qui nel 1735 il marchese Carlo Ginori avviò la produzione di ceramiche di quella che all’epoca si chiamava Manifattura Doccia. La prima grande svolta risale al 1 ottobre 1896, nei primi decenni dell’Italia unita, quando la Manifattura si fonde alla fabbrica milanese Società ceramica Richard aperta intanto nel 1873 da Giulio Richard, imprenditore piemontese di origini svizzere. Da questa fusione nasce un marchio che diventa il simbolo della porcellaneria più pregiata, appunto la Richard Ginori. Ogni decennio di storia italiana ha avuto in qualche modo un legame con questa realtà aziendale.

Negli anni ’20-’30 la fabbrica è la fucina della creatività del genio del design italiano Giò Ponti, che vi lavora come direttore artistico. Ponti rinnova radicalmente la gamma di produzione, che passa da uno stile tradizionale (ma anche un po’ sorpassato) neoclassico ad uno moderno e all’avanguardia, sebbene con echi di classicità, destinato all’alta borghesia milanese. Nascono così ad esempio la serie di piatti e vasi Amazzone con giavellotto, dorati su fondo rosso, o i vasi (celebre quello con la giunonica Domitilla, musa di Ponti) che nel 1925, l’anno dopo l’entrata in produzione, sono premiati con il riconoscimento più ambito dell’epoca, il Grand Prix all’Expo internazionale di Arti decorative di Parigi. Il successore è un discepolo di Ponti, Giovanni Gariboldi che negli anni ’50 inventa le forme impilabili che segnano un nuovo successo negli anni del boom delle metropoli dai piccoli appartamenti che si aprono al benessere di massa. Il servizio Colonna, colorato e delicato, ma anche pratico e più a buon mercato, frutta un nuovo riconoscimento di prestigio: è il 1954 quando Gariboldi vince il Compasso d’Oro. Alla fine degli anni ’50 si passa all’apertura dell’attuale stabilimento produttivo, mentre gli antichi spazi della fabbrica si ritrasformano in museo.

Anche negli anni ’70 la storia della Richard Ginori si incrocia con quella del paese: l’azienda diventa una controllata della Finanziaria sviluppo di Michele Sindona; nel ’77 passa ancora al gruppo assicurativo Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti. Dal ’93 si avvia un lungo ciclo di passaggi di mano: prima la Sanitec Corportation, leader europeo multimarca, poi gli italiani Rinaldini e Dal Bo’ (della Pagnossin, leader italiano delle ceramiche da tavola), poi il Gruppo Bormioli Rocco &figli, poi di nuovo la Pagnossin, poi la Starfin che avvia una sere di iniziative come la quotazione in borsa e il progetto per un nuovo stabilimento da 30 milioni di euro. Negli anni intanto parte della produzione, per ragioni economiche, viene delocalizzata.

Ora si arriva alle Cig, dopo settimane di battaglie condotte anche dai sindacati, con i Cobas che sono scesi in piazza a Roma, e hanno occupato per alcune ore lo scorso 26 luglio lo stabilimento di Sesto fiorentino. I lavoratori non ce l’hanno fatta per il momento ad arginare la morsa della crisi e dei debiti. Sul tavolo istituzionale però, nel frattempo, sono arrivate quattro proposte d’interesse per l’azienda. Le hanno messe Sabonet, Lenox, una cordata di imprenditori del Nordest e la Proto Organization. Se si arrivasse ad un concordato, con le proposte di rilevamento dello stabilimento, le procedure fallimentari che dovrebbero essere discusse al tribunale di Firenze in settembre potrebbero essere bloccate, in modo da permettere di avviare il salvataggio dell’azienda.

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