Don Mariani da Nuoro: Te Deum laudamus per il cuore buono degli uomini nei giorni dell’apocalisse

Di Francesco Mariani
06 Gennaio 2014
In Sardegna oltre all'alluvione e agli sciacalli si è vista anche tanta grazia. Piccole storie di grande gratuità raccontate da don Mariani, parroco a Nuoro

Come da tradizione, anche nel 2013 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 27 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Carlo CaffarraDomenico Dolce e Stefano GabbanaBen Weaseldon Gino RigoldiCostanza MirianoLuigi AmiconeMarina Corradi, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Monica Mondo, Francesco BellettiAntonio SaladinoSamaan Daoud da Damasco, Claire Ly, Susanna Campus, Antonio BenvenutiFred PerriBerlicche.

Pubblichiamo qui il Te Deum di don Francesco Mariani, parroco di San Giuseppe a Nuoro e direttore di Radio Barbagia.

Non gli era rimasto proprio nulla. Precipitosa e imprevista nella sua portata, l’alluvione del 18 novembre gli aveva portato via tutto. Erano rimaste giusto le mura perimetrali della casa. Lui, finito lo scempio, aveva vagato per Torpè (sapete che il nome del paese è mutuato dal santo martire, sotto Nerone, venerato a Pisa, Genova e Saint Tropez, e che questo agglomerato dell’alta Baronia isolana è stato feudo pisano?), dando una mano ad altri sinistrati come lui. L’indomani il parroco lo trovò al cimitero intento a ripulire la tomba della moglie. «Almeno lei deve stare bene», si giustificò con estremo pudore. Poi vennero alcuni volontari della parrocchia per dargli un letto e un materasso, e lui, con ineffabile stupore disse: «Puru a mie?», anche a me? Lui che più di tutti aveva un bisogno immediato non riusciva a raccapezzarsi di tanta attenzione, magari, a suo giudizio, sottratta ad altri più sfortunati ancora.

Ti ringrazio Signore perché questo anno ho toccato con mano il tuo pane che si chiama gratitudine e gratuità. Il pane che da piccolino ho contribuito a fare nella casa di famiglia, dando una mano a mamma con gli altri due miei fratelli. Lavoro tradizionalmente femminile eseguito, per necessità, da maschi. Quel pane che era davvero la “grazia di Dio”, da non sprecare, da gustare e nutrirsi. Pane di cui tutti abbiamo bisogno se riconosciuto come Tua grazia.

Quel signore, quel gran signore di Torpè non aveva più nulla ma gli restava la cosa più preziosa: la dignità di un uomo fatto a immagine e somiglianza del suo Creatore e Padre. Nei giorni dell’apocalisse sarda si sono visti ingordi che facevano incetta di tutto, sciacalli in azione, avventurieri in cerca di gloria. Ma si è vista anche tanta nobiltà d’animo, tanta solidarietà, tanta vicinanza al prossimo. Il paese di Bitti si è mobilitato per settimane alla ricerca di Giovanni Farre (Jon Ferry per gli amici), l’imbianchino-vignaiuolo travolto con la sua casetta campestre da una valanga d’acqua e fango. Il figlio Marco è riuscito miracolosamente a salvarsi, ma di lui non è stata trovata traccia. Commovente la fede della moglie che sino all’ultimo ha sperato e creduto e ancora oggi chiede a Dio il miracolo. Suo marito era la voce solista del coro Ocches de S’Annosciata ed è indimenticabile il suo canto che, tradotto dal sardo dice così: «Dammi la mano Signore perché ho bisogno di Te; dammi la pace e l’amore, la luce e la speranza che vengono da Te». In me resta il ricordo di tante serate, di pomeriggi passati insieme, di tante messe animate dal suo canto. E mi pare di sentirlo ancora, mentre sottovoce ripeto le sue melodie. Soprattutto quella preghiera che termina così: «Abbracciaci Tu nell’ora della morte». E dico grazie per aver incontrato un amico così.

tempi_te_deum_2013_copertinaIl mio Te Deum si innalza per tutte le volte che ho toccato con mano il cuore buono degli uomini. Quando stavo facendo il giro delle case, nella mia parrocchia, per dare la benedizione pasquale, trovai un signore di mezza età che mi accolse scettico sull’uscio. «Non sono credente», disse. «Una benedizione male non fa», risposi. Mi fece entrare, dissi la preghiera, mi voltai per dargli la benedizione: cadde in ginocchio singhiozzando e mormorando: «Io voglio credere, voglio credere… ma non riesco». Ecco, un cuore così sconvolge le nostre abitudini, ci ricorda che la vita è una ricerca continua, una continua domanda che riappare anche dietro la nostra facciata di presunte sicurezze.

Poveri che aiutano poveri
Che dire poi dello stupore provato quella domenica mentre ritiravo il cestino delle offerte. Vi trovai un biglietto con su scritto: «Un giorno, molti anni fa, mia mamma era disperata perché non sapeva come comprare pane e latte. Davanti alla Madonna delle Grazie piangeva in silenzio, pregandola di aiutarla. Andò a fare la comunione. Tornò al suo posto e cercò nella borsa un fazzoletto per asciugarsi gli occhi. Trovò 50 lire! Guardò la Madonna, si guardò intorno… La Divina Provvidenza ancora una volta ci aveva sfamati. Io non ho molto, ma forse anche oggi c’è bisogno di pane e latte e io ne ho già». Allegata c’era una piccola offerta. Poveri che aiutano poveri.

Ma anche quel terzo lunedì di gennaio non è da meno. Ero nel pallone perché dovevo pagare il carburante per il riscaldamento della parrocchia e non avevo un euro. Una nuova fornitura non osavo chiederla perché erano tre anni che la ditta non veniva saldata. E poi c’era una marea di altri debiti ereditati dal mio predecessore. Avevo parlato di questa mia preoccupazione con qualcuno. Quel lunedì controllai il conto della parrocchia e mi avvidi che uno sconosciuto (a me, ovviamente) aveva fatto un versamento che copriva il costo pregresso del carburante e consentiva una nuova fornitura di quattro mila litri.

È pertanto doveroso il mio Te Deum visto che ho toccato con mano «la bontà del Signore nella terra dei viventi». Una bontà contagiosa che riscalda il cuore.

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