
Dolce&Gabbana, chiesta l’assoluzione «perché il fatto non sussiste». E «hanno pagato le tasse in Italia»
Il sostituto procuratore generale di Milano Gaetano Santamaria Amato ha chiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» per Domenico Dolce e Stefano Gabbana in merito all’accusa di «omessa dichiarazione» dei redditi, per la quale gli stilisti sono stati condannati a un anno e otto mesi nel giugno scorso.
OPERAZIONE LECITA. «La condanna penale contrasta col buon senso giuridico», ha detto il sostituto pg durante la sua requisitoria, nella prima udienza del processo d’appello. E la creazione di una società in Lussemburgo, la Gado, non solo è stata «un’operazione lecita», ma il segno che, ha detto il pg, gli stilisti, avendo trasferito parte delle loro attività in Lussemburgo, «pensano in grande come si conviene alla squadra di un grande gruppo italiano della moda presente nel mondo» e di successo, «in controtendenza col sistema industriale italiano». Pensando alla «quotazione in borsa, si accresce il prestigio del gruppo internazionale, ci si posiziona come conviene per il gruppo che ha già una dimensione mondiale», ha spiegato il magistrato, secondo il quale ciò costituisce la «giustificazione economica» dell’operazione finanziaria. E «si sceglie il Lussemburgo perché ha la borsa più vivace in Europa, perché il suo regime fiscale è capace di attrarre i capitali e anche perché ha molti trattati bilaterali con diversi stati che regolano il principio della doppia imposizione».
HANNO PURE PAGATO LE TASSE. Una tesi che, qualora dovesse essere confermata in appello, conferma quanto già ricostruito da Tempi grazie alle dichiarazioni dei legali dei due stilisti, che già sono stati assolti «perché il fatto non sussiste» dall’accusa di dichiarazione infedele e ora potrebbero esserlo anche, per le medesime ragioni, da quella di «omessa dichiarazione». Ciononostante i due stilisti, che hanno già versato 40 milioni di euro nell’ambito del contenzioso fiscale «pagheranno quello che pagheranno, ma il processo tributario – ha precisato il pg – è diverso da quello penale e in questo processo non ci sono prove di illeciti penali».
Dolce e Gabbana, vale la pena ricordarlo, non è vero che non hanno pagato le tasse in Italia (secondo l’accusa non avrebbero dichiarato tasse sulle royalties per la cessione del marchio per circa un miliardo di euro), perché, come ha detto il pg, «se è vero che Gado ha pagato solo il 4 per cento di imposte sulle royalties in Lussemburgo, poi è anche vero che i dividendi sono stati tassati in Italia e il prelievo complessivo è arrivato quindi al 32 per cento e non è vero, dunque, che non hanno pagato le tasse in Italia».
LO SCONTRO COL COMUNE. La vicenda dei due stilisti era stata anche al centro di un acceso scontro con l’assessore alle Attività produttive della giunta Pisapia, Franco D’Alfonso, che aveva dichiarato che «se stilisti come Dolce e Gabbana dovessero avanzare richieste per spazi comunali, il Comune dovrebbe chiudere le porte, la moda è un’eccellenza nel mondo ma non abbiamo bisogno di farci rappresentare da evasori fiscali». In segno di protesta i negozi di Milano erano rimasti chiusi tre giorni.
Articoli correlati
3 commenti
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
viviamo in uno stato sanguisuga. Chi crea ricchezza è trattato come se fosse un delinquente.
Tutto questo non fa altro che alimentare l’astio verso le istituzioni.
Invece di lasciare ai cittadini la soddisfazione di godere del frutto del proprio lavoro, arriva lo stato che ti rapina. E’ anche per questo che cresce l’antipolitica…