Dittature, terroristi, disoccupazione record? No problem, se ci sono i diritti dei gay

Di Leone Grotti
18 Maggio 2012
Cuba, Nigeria e Liberia sono alle prese con enormi problemi di libertà di espressione, terrorismo e disoccupazione. Ma la comunità internazionale chiede solo che approvino leggi a favore degli omosessuali.

Che cosa accomuna Cuba, Nigeria e Liberia? Il primo è un paese governato da una delle poche dittature comuniste rimaste in piedi nel mondo, il secondo ha qualche problema con il terrorismo, visto che gli estremisti islamici armati di Boko Haram hanno fatto più di 500 morti in quattro mesi, il terzo ha una disoccupazione record ed esce da oltre dieci anni di sanguinosa guerra civile. Sono tutti e tre paesi in difficoltà (eufemismo), dunque, ma soprattutto sono tutti e tre alle prese per motivi diversi con l’introduzione di leggi a favore dei diritti degli omosessuali.

Partiamo dal primo. Il castrismo era uno dei regimi più conosciuti per la loro omofobia. Negli anni Sessanta Fidel Castro mandava gli omosessuali nei campi di lavoro dell’Umap, le Unità militari di appoggio alla produzione. Solo nel 2007 un cubano ottenne asilo politico in Italia proprio perché omosessuale. Nel 2008 la svolta: è stata istituita una Giornata cubana contro l’omofobia ufficiale. Un’attivista di eccezione, in questo senso, è Mariela Castro Espin, figlia niente meno che del presidente Raùl Castro. Come riporta il Foglio, nonostante sia figlia di un dittatore, le è stato concesso un visto dagli Usa per partecipare a san Francisco, capitale gay per eccellenza, a un convegno con una relazione dal titolo: “Uno sguardo alla diversità sessuale dalla prospettiva del politico”. Mariela Castro del resto ha affermato che il padre Raùl «non lo ha reso pubblico, sicuramente come parte delle sue tattiche e delle sue strategie, ma lui stesso ammette che non possiamo avanzare come socialismo se continuiamo a convivere con questi pregiudizi». Bando ai pregiudizi omofobi, dunque, entro un anno una forma di “pacs” sarà introdotta a Cuba. Per questo gli Usa di Obama, «il primo presidente gay», l’hanno premiata concedendole il visto. Ora a Cuba manca solo la libertà di espressione, quella di formare un partito e la scarcerazione dei prigionieri politici.

In Nigeria, a Lagos, la scorsa settimana si sono riunite le Organizzazioni della società civile (Csos) per chiedere al presidente Goodluck Jonathan di «resistere alle pressioni internazionali», e non firmare la legge che autorizza le unioni omosessuali. Proprio pochi giorni fa la polizia di Stato, che punta sempre al ribasso quando si parla di numeri, ha rilasciato un rapporto che traccia un bilancio dell’attività 2011 del gruppo fondamentalista islamico Boko Haram, che significa letteralmente “l’educazione occidentale è peccato”. In tutto 118 azioni terroristiche costate la vita a 308 persone in sei stati federati del centro-nord della Nigeria, più il distretto della capitale Abuja. Da Natale 2011 a Pasqua 2012, invece, sono già 505 le vittime del gruppo terroristico. Davanti a questi numeri fa sorridere la notizia che «la comunità internazionale» fa pressione sul Parlamento nigeriano per fare approvare una legislazione a favore degli omosessuali. Come dice Csos, «la legge sull’omosessualità è contro la cultura nigeriana, è un suicidio importare pratiche e stili di vita che sono estranei alla Nigeria per cercare di imporli come leggi in nome dell’osservanza degli obblighi internazionali». Soprattutto quando il paese è così colpito dal «flagello del terrorismo insensato», come dichiarato dal presidente Jonathan.

Infine, la Liberia. La repubblica più antica dell’Africa vanta una delle disoccupazioni più alte del mondo: sfiora il 90 per cento. Il paese africano è uscito solo nel 2003 da una sanguinosa guerra civili durata oltre 10 anni dove hanno perso la vita circa 250 mila persone. Per mantenere la stabilità, in Liberia l’Onu ha stanziato una forza di pace di 15 mila soldati, la missione più costosa in assoluto. In tutto questo, mentre la charity dell’ex premier inglese Tony Blair ha deciso di aiutare la Liberia e il suo governo per creare infrastrutture e lavoro, l’unica domanda che una giornalista ha saputo porre alla presidentessa del paese, il premio nobel Ellen Johnson Sirleaf, durante l’incontro con Blair è stata: «Annullerà la legge che depenalizza gli atti omosessuali?». Sirleaf non si è scomposta e ha difeso così la legge che punisce gli atti omosessuali volontari nel paese fino a un anno di prigione. «Non firmerò mai una legge che abbia a che fare con queste cose. Noi siamo contenti e ci piacciamo come siamo. Abbiamo dei valori tradizionali nella nostra società che vogliamo preservare». Ma soprattutto hanno ben altro a cui pensare.

@LeoneGrotti

Articoli correlati

3 commenti

  1. Mappo

    Quello che mi stupisce è come una lobby che rappresenta a malapena fra l’1% e il 2% dell’umanità abbia un potere così sconfinato ed arrogante. Come è possibile che tutto il resto della suddetta umanità si faccia prendere a pesci in faccia dalla lobby omosessuale?

  2. Robert Benson

    Prevedo guai per la Liberia, “land of the free”.
    Questa omofilia debordante e invasiva di ogni ambito non è frutto di una deriva o debolezza morale o culturale, è una strategia precisa. Ci sono gruppi di potere che spingono in vari ambiti per lo stile di vita gay come mezzo di limitazione delle nascite o di dissoluzione della società e della singola persona (“Ordo ab chao”)

    1. karm2807

      Ma voi non vi rendete conto della gravità di quello che dite e della ideologia che professate ….
      Ma il vostro dio non vi insegna almeno un po’ di tolleranza ?

I commenti sono chiusi.