Corpi intermedi, una salvaguardia contro la democrazia onnivora e totalitaria

Di Carlo Marsonet
24 Luglio 2023
Solo la distanza tra governanti e governati, colmata dalle mediazioni che consentono agli individui di agire politicamente, ripara dalle torsioni illiberali. È nella sussidiarietà che risiede il fulcro di una società pluralistica e liberale. Il libro di Antonio Campati

Quella della democrazia è un’intricata storia di tentativi, errori e, soprattutto, abbagli. Non può che essere così, dal momento che si tratta di un’istituzione umana, ovvero fallibile e perfettibile: e l’uomo, com’è noto, è una creatura che mal resiste alle tentazioni che lo titillano. Gli “apostoli” della democrazia e i fanatici del governo del popolo (si legga Jean-Jacques Rousseau), non hanno certamente contribuito a dissiparne dubbi e ad attenuarne le critiche. Anzi, propugnando una democrazia sempre più pura, non hanno fatto altro che fomentare una democrazia inesistente e irrealizzabile.

E allora, per provare a chiarirsi le idee e far proprio un po’ di sano realismo con cui affrontare il mondo del possibile e non dell’ideale, la rilettura dei classici è quanto mai doverosa.

La «democrazia totalitaria» e l’illusione della libertà

Nel libro che, forse più di tutti, ha provato a spiegare cosa la democrazia realisticamente è e può essere, Democrazia e definizioni (1957), Giovanni Sartori ammoniva dal perseguire ciò che chiamava «perfezionismo democratico». In un mondo in cui si fa un gran parlare di democrazia, Sartori demoliva ogni pretesa di costruire il mondo democratico perfetto: un’utopia irraggiungibile e pericolosa. Come scrisse, infatti, «il vero pericolo che minaccia una democrazia […] sta nel fatto che il miglior modo per abbatterla è proprio quello di stare al gioco e di reclamare una democrazia sempre più pura e più perfetta di quella che c’è». Se si persegue l’autentico ideale democratico, senza compromessi, il risultato non può che essere la «democrazia totalitaria».

Si sbaglia, tuttavia, a pensare che ciò equivalga all’effettivo potere di tutti su tutto. Ciò può forse essere sperimentabile per piccole realtà di un mondo non certo complesso come quello odierno. Ma poi bisogna anche chiedersi: si è disposti a decidere su tutto? Quanto tempo è richiesto? Si dispone di tutte le informazioni necessarie per una accorta deliberazione? Che ne è, infine, del tempo libero delle persone? Ne aveva già parlato Benjamin Constant, a proposito della nota dicotomia tra Sparta e Atene, nel suo celebre Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni (1819). Egli notò come «presso gli antichi, l’individuo, praticamente sovrano negli affari pubblici, è schiavo all’interno dei rapporti privati». L’illusione di libertà nel prendere parte alle decisioni collettive, diciamo l’autodirezione individuale, si rivelava essere una prigione nella sfera privata, dal momento che si era eterodiretti fino nell’intimo. La libertà, allora, era concepita come «assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme». E qui emerge un’ulteriore questione: la democrazia, in fondo, prevede che vi siano delle élites. Per dirla con Sartori, possiamo tutt’al più parlare di poliarchia (s)elettiva.

La distanza democratica di Antonio Campati

Il punto, però, è quale tipo di élites. Detto altrimenti, fino a dove esse possono decidere. In una democrazia autenticamente liberale, ovvero certamente pluralistica ma anche – ed è tutt’altro che scontato – limitata nei compiti e negli scopi di azione, il potere va frazionato e suddiviso più che si può. I corpi intermedi, in tal senso, svolgono un cruciale ruolo di controllo e spacchettamento del potere, come sostiene Antonio Campati nel suo ultimo volume, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica (Vita e Pensiero, 2022).

Ricercatore in filosofia politica presso l’Università Cattolica e studioso di élites e teoria democratica, Campati spiega molto bene come la democrazia non possa a fare a meno della «distanza» tra governanti e governati, tra élites e popolo, altrimenti scadendo in pericolose torsioni illiberali di vario tipo. Tale distanza, dunque, è ciò che limita il potere ed è prima di tutto colmata da tutte quelle mediazioni che consentono agli individui di agire politicamente, controllando il potere.

Contro il perfezionismo o l’utopismo democratico, è nella sussidiarietà poliarchica e plurarchica, per dirla con Luigi Sturzo – ma si potrebbero fare anche i nomi di Wilhelm Röpke o Robert Nisbet, Alexis de Tocqueville o Papa Giovanni Paolo II, tutti nomi cari a Campati, e infatti citati – che risiede il fulcro di un’autentica democrazia pluralistica e liberale. È nell’associazionismo che si trova il vero antidoto al monismo del potere demolatrico: in ciò si può riscoprire non solo la partecipazione politica, ma anche quella pre-politica, di stampo culturale, ancora più necessaria. In tempi democratici, diceva Tocqueville, è quanto mai necessario dare vita «a libere associazioni in grado di lottare contro la tirannide senza distruggere l’ordine».

Foto di Marija Zaric su Unsplash

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