Dio esiste. Chiedetelo a Bach

Di Riccardi Fulvia
24 Aprile 2003
L’irresistibile potenza evocativa dell’alta musica. La testmonianza di un grande violoncellista dopo una vita lontano dalle chiese e dentro i conservatori

Diceva il grande direttore d’orchestra rumeno Sergio Celibidache che «La realtà non può essere pensata, ma solo vissuta. In questo senso, la musica è realtà». Alfredo Riccardi è la testimonianza vivente che Celibidache non si sbagliava. Cresciuto a pane e musica (il padre era violinista e direttore del Liceo musicale di Novara) ha fatto parte del famoso quartetto di Milano ed è stato primo violoncello al Maggio Musicale Fiorentino, alla Rai di Milano, suonando con i più grandi musicisti (Benedetti Michelangeli, Gazzelloni, Ughi), direttori (Prete, Sawallish, Oren, Gavazzeni, Abbado, Muti) e conoscendo diversi compositori contemporanei come Berio, Malipiero, Bettinelli, Donatoni. Ha suonato con la Filarmonica della Scala e per il Festival Michelangeli. Ha da poco registrato con “I Solisti Italiani” diversi cd per la casa discografica giapponese Denon. Oggi si è ritirato, come dice lui stesso, «in dignitosa solitudine» a Parzanica, un paese di 180 anime, sul lago d’Iseo.

Dal Papa e dai carcerati
Riccardi iniziò a studiare violoncello a 9 anni sotto la guida di Gilberto Crepax, diplomandosi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano dove strinse amicizia con Giulio Pranzetti (che poi è diventato primo violino alla Scala) e Enzo Porta (primo violino al Comunale di Bologna). Assieme a loro e al fratello Tito (anche per lui un brillante futuro come prima viola alla Rai di Milano) vinse il primo premio al concorso internazionale per quartetto d’archi di Liegi, in Belgio, nel 1958. Ma fu solo l’inizio: nel 1965 conobbe Arturo Benedetti Michelangeli di cui Riccardi ha un ricordo affettuoso: «lo accompagnai con l’orchestra da Camera del Festival che portava il suo nome in diverse tournée. Era taciturno e introverso, ma quando metteva le mani sul pianoforte riusciva a comunicarti emozioni incredibili. Lo si poteva seguire ad occhi chiusi». E grande affetto Riccardi dimostra anche nei confronti di Riccardo Muti, che «sebbene fosse stato da poco nominato direttore artistico al Maggio Musicale Fiorentino mi chiamò a far parte di quella meravigliosa orchestra». Una vita passata con l’archetto in mano suonando per papi («che spettacolo quella volta che suonai per Paolo VI con Michelangeli») ma anche per i carcerati di San Vittore («ci chiedevano a gran voce di suonare Tchaikowsky, Borodin, Mozart. Ma quel che scatenò veramente l’entusiasmo della platea fu, sembra una barzelletta, una “fuga” di Beethoven».

Prova dell’esistenza di Dio
Riccardi ha insegnato per 30 anni alla Scuola civica di Musica di Milano, diplomando brillantemente molti allievi tra cui Alberto Drufuca, oggi anch’egli insegnante e fra i fondatori del trio Matisse, che ci racconta che «più che un insieme di regole ho appreso da lui un metodo che mi ha permesso successivamente di incontrare altri modi di suonare. Un metodo che per lui non era mai fine a se stesso ma aveva sempre come scopo la comunicazione di qualcosa di profondo attraverso la musica». È noto che Riccardi ha avuto sempre un rapporto di forte ostilità con la fede ma, come racconta concludendo: «Ricordo quando Sawallish mi chiamò con lui a Roma per suonare la Passione secondo san Giovanni di Bach. Eravamo proprio come oggi nel periodo di Pasqua ed io ero solista. Fu una grandissima emozione; in quell’occasione ho capito che Dio doveva esistere se aveva dato la possibilità ad un uomo di scrivere un capolavoro di tale grandezza».

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