Dieci anni di carcere da innocente perché i giudici non credettero a lui, ma ai pentiti. Ora è assolto in via definitiva

Di Chiara Rizzo
19 Aprile 2015
Storia di Mirko Eros Turco, rinchiuso in carcere per le accuse di sette pentiti e condannato all'ergastolo per omicidio. Ma erano tutte menzogne

carcereSabato 12 settembre è divenuta definitiva la sentenza di assoluzione per Mirko Eros Turco, 35enne di Gela che ha trascorso in carcere 10 anni perché era stato accusato di due omicidi da alcuni pentiti. Le accuse in seguito si sono dimostrate totalmente inventate, e per questo adesso la Corte d’appello di Messina ha rigettato anche il ricorso avanzato dalla procura generale contro la revisione del processo. Di seguito vi riproponiamo la ricostruzione della vicenda che tempi.it ha pubblicato ad aprile.

«Chiedo solo di avere giustizia. Non mi interessa un risarcimento, perché dieci anni di carcere da innocente li ho già trascorsi, ma voglio riavere indietro la mia vita perché adesso mi sono sposato e ho due bambini». Così ha detto in un’aula della corte d’Appello di Messina Mirko Eros Turco, 35enne di Gela (Cl), poco prima che venisse emessa la sentenza del suo processo di revisione, lo scorso 8 marzo. Mirko Eros Turco era stato arrestato a 17 anni nel 1998 e condannato per un duplice omicidio: dietro le sbarre è rimasto sino al 2008, quando la Cassazione ha accolto la sua richiesta di revisione.
La sentenza dello scorso marzo racconta un ennesimo caso di malagiustizia. Turco è stato assolto, ritenuto innocente da tutte le accuse e oggi è un uomo libero. Con alle spalle però una vita distrutta da un errore giudiziario. Quando la corte d’Appello ha dato lettura del verdetto, Turco è scoppiato in lacrime. «È finito un incubo, la mia vita ricomincia oggi», sono state le sue prime parole ai cronisti.

LE MENZOGNE DEI PENTITI. «Non ho mai finito di sperare, non mi sono mai lasciato prendere dalla depressione, e non ho mai pensato al suicidio» ha raccontato il giorno della sua definitiva assoluzione. È sopravvissuto ad un incubo kafkiano durissimo: Mirko non era nemmeno maggiorenne quando è rimasto invischiato in questa vicenda, probabilmente per il più prosaico dei motivi, in una piccola città del Sud come Gela, fortemente permeata dalla criminalità organizzata in quegli anni ’90: Turco è finito sul banco degli imputati con le peggiori accuse, probabilmente, solo per delle brutte frequentazioni avute da ragazzino.
L’11 agosto del 1998, in un canneto poco fuori da Gela, fu trovato in macabre condizioni il corpo di un sedicenne, Fortunato Belladonna, strangolato e arso vivo, dopo essere stato torturato. Le modalità del ritrovamento (il ragazzo aveva un panno in bocca) fecero capire che si trattava di un’esecuzione mafiosa, una punizione, forse perché Belladonna, vicino a Cosa Nostra, era stato coinvolto in un precedente omicidio. Gli inquirenti ritennero che l’autore dell’esecuzione di Belladonna fosse il mafioso Rosario Trubia, del potente clan Emmanuello: ma una volta arrestato, Trubia divenne collaboratore di giustizia, insieme ad altri affiliati del clan e ai tre fratelli.
Dell’omicidio Belladonna i nuovi pentiti accusarono Turco, che in base a queste testimonianze fu condannato all’ergastolo. Poco dopo, inoltre, Turco fu accusato di un altro omicidio, quello di un salumiere di Gela, Orazio Sciascio, che si era rifiutato di pagare il pizzo. La moglie di Sciascio riconobbe nel volto di Turco quello di uno dei killer. Il giovane, inutilmente, tentò di dichiarsi innocente per entrambe le accuse. Arrestato in quello stesso ’98, fu trasferito in un carcere lontanissimo da Gela e dalla sua famiglia, alla Dozza di Bologna.

LE ASSOLUZIONI. Per dieci lunghi anni, Turco ha cercato invano di dimostrare la sua innocenza. Ma contro di lui nel tempo si sono sommate le dichiarazioni di ben sette pentiti e presto sono arrivate i verdetti della corte d’assise di Caltanissetta. Poi, all’improvviso, qualcosa è cambiato con l’arresto di due importanti killer del clan Emmanuello: Carmelo Massimo Billizzi e Gianluca Gammino. Solo quando entrambi, nell’intenzione di collaborare con la giustizia, si sono autoaccusati dell’omicidio Belladonna fornendo dettagli circostanziati e movente dell’uccisione, la giustizia ha capito di aver preso una cantonata e che le precedenti dichiarazioni dei pentiti non erano prove, ma balle concordate ad arte.
Nel 2008, la Corte di Cassazione ha accolto la richiesta di revisione della condanna presentata da Turco e finalmente ne ha disposto la scarcerazione. Tornato a Gela, poco tempo dopo, Turco ha ricevuto una seconda buona notizia. L’approfondimento delle indagini e del dibattimento in aula, ha permesso di chiarire che Turco non è stato responsabile nemmeno dell’omicidio del salumiere Sciascio: la corte d’Appello di Catania nel 2012 ha revocato la precedente condanna in primo grado di Turco e lo ha prosciolto dall’accusa di omicidio.
Infine, l’8 marzo, è giunta la parola fine anche sul delitto Belladonna: malgrado la procura generale di Messina, che nel processo di revisione ha sostenuto l’accusa a Turco, abbia ripetutamente chiesto di rigettare la richiesta di revisione, la Corte d’appello ha definitivamente assolto il 35enne. «In tutti quegli anni in cui sono stato considerato da tutti colpevole, in carcere, ho provato una profonda rabbia – ha detto Turco, poco dopo il verdetto –. Una profonda delusione, anche, verso una giustizia ingiusta. Ma mai desiderio di vendetta. Ora voglio riavere la mia vita, con mia moglie e le mie figlie».

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