Diana Cacciatrice

Di Gian Maria Mairo
28 Febbraio 2019
Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (Cento 1591 – Bologna 1666) Diana Cacciatrice, Olio su tela, 97 x 121 cm, Roma, Fondazione Sorgente Group

Il dipinto in esame, appartenente alla Fondazione Sorgente Group di Roma, è un’opera emblematica della maturità artistica di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino. Fra i massimi pittori di epoca barocca, egli fu a capo di una bottega assai florida, che suscitò l’ammirazione dei suoi contemporanei per l’efficienza e l’organizzazione lavorativa. Un’abilità che chiaramente traspare leggendo il suo Libro dei Conti, il registro contabile di bottega, che venne stilato con una cura tale da essere tutt’oggi fonte preziosa di informazioni. Ed è proprio in quelle pagine che troviamo la citazione di questa Diana, in una nota del 20 maggio 1658, come parte di una coppia di quadri destinati al conte Fabio Carandini, (Ghelfi, 1997, p. 181, n. 531) che in quel periodo era l’avvocato concistoriale del Duca di Modena a Roma (Dotti Messori, 1997). La commissione prevedeva due dipinti a pendant che narrassero dell’incontro mitologico fra la dea Diana e il pastore Endimione. Nonostante si siano perse le tracce di questa seconda tela, conosciamo comunque la sua composizione grazie a una copia di bottega conservata alla Galleria degli Uffizi. 

Giovane, agile e sensuale: è così che il mondo antico si immaginava Diana (equivalente latino della greca Artemide), dea della caccia, protettrice delle foreste e degli animali selvatici, che secondo tradizione concedeva solamente ai cacciatori più meritevoli. Figlia di Zeus e Leto,  fu oggetto di un culto estremamente diffuso nell’antichità, poiché anche dea della fertilità e protettrice delle partorienti. Successivamente, presso i romani, il suo culto subì diverse variazioni, in particolare in epoca tarda: una di queste fu la sua identificazione con la divinità lunare Selene, che la vedeva come personificazione del Cielo e punto di congiunzione fra la Terra e la Luna. È proprio a questa variante iconografica che si riferisce il Guercino in questa tela, com’è ben visibile dalla falce lunare che fa splendere sopra al suo capo. Il mito narra che Endimione, re di Elite divenne oggetto dell’amore della dea Selene che una notte lo vide addormentato presso le pendici del monte Latmo, in Asia Minore. Pur di proteggere il suo bel volto dalla vecchiaia e dalla morte, la dea pregò Zeus affinché lo facesse cadere in un sonno eterno, per poterlo così ammirare ogni notte mentre dormiva (Apollonio Rodio, lV, 55-56). Ed è proprio questo l’attimo immortalato dal Guercino: quando la dea interrompe la sua corsa, distratta dalla vista di Endimione.  

La splendida torsione del busto della donna è ulteriormente enfatizzata dalla figura del Levriero che l’accompagna. Infatti in questo dipinto il cane non funge solo da mero, seppur imprescindibile, attributo iconografico di questa divinità, ma assurge al ruolo di vero comprimario della composizione. Con quel movimento istintivo del collo, l’animale sembra voler partecipare alla curiosità della padrona, verso la quale volge uno sguardo interrogativo e sembra quasi volerle chiedere conto di quella sosta improvvisa.

Le fonti sono abbastanza concordi sul fatto che il Levriero sia una delle razze più antiche esistenti, in quanto selezionato in Mesopotamia, attorno al 5.000 a.C. Al seguito delle popolazioni nomadi, la razza si è poi diffusa in Egitto e in Africa Sahariana e solo successivamente in Europa, dimostrando eccellenti capacità di adattamento a climi ben diversi tra loro. Il nome Levriero deriva da Leporarius, un termine che ne indicava l’attitudine alla caccia alla lepre (O. Pianigiani, Dizionario Etimologico online), probabilmente una delle prime attività venatorie in cui venne impiegato. Di taglia medio-grande, è caratterizzato da un corpo sottile e sinuoso che gli consente di raggiungere una velocità impareggiabile nella corsa (Tonelli, 2004, pp. 303-306). Una peculiarità che unita a un portamento elegante, lo ha reso da sempre oggetto del desiderio dell’aristocrazia europea, con il risultato di comparire spesso in ritratti nobiliari, fin dal Rinascimento. In Età Barocca, il cane da caccia raggiunse un’importanza tale da divenire un simbolo irrinunciabile di prestigio e ostentazione. Nello specifico, l’animale ritratto in questo dipinto presenta un pelo marrone corto, con una macchia bianca sul petto. Sono caratteristiche tipiche del Levriero Maliano, una sotto-razza allevata dalle popolazioni berbere dei Tuareg, nelle vallate desertiche sub-sahariane, al confine fra Mali e Niger, dove veniva utilizzato per la caccia.  

L’amore che il Guercino nutriva per il mondo animale appare evidente lungo tutto l’arco della sua carriera artistica. Tuttavia da un’analisi più attenta, emerge un particolare interesse per il Levriero, che ritroviamo raffigurato in diversi suoi dipinti, con un significato prevalentemente allegorico: una personificazione di nobili sentimenti quali amicizia e fedeltà. Altre volte invece, l’artista gli conferiva un valore complementare, cercando comunque di creare una relazione empatica tra l’animale e gli altri protagonisti, come avviene in quest’opera.

A differenza dei suoi lavori più giovanili caratterizzati da un forte dinamismo, in età matura il Guercino si distinse per composizioni più armoniose e bilanciate. L’anziano pittore aveva oramai rinunciato a un’arte basata sulla velocità creativa alimentata dalla fantasia per abbracciare, attraverso una ricerca più meditata e un’esecuzione più esperta, il raggiungimento di una perfezione assoluta, come traspare dal dipinto della Fondazione Sorgente Group.

Bibliografia: Salerno 1988, pag.392; Ghelfi 1997, p. 181, n. 531; Stone 1991, p. 323, n. 314; Malvasia 1841, p. 339; Dotti-Messori, 1997; A. Rodio, 300 a.C., Libro IV, 55-56;  Tonelli, 2004, pp. 306; O. Pianigiani, Dizionario etimologico 

Bibliografia di riferimento:

  • Il libro dei Conti del Guercino 1629-1666, edizione critica a cura di B. Ghelfi, Modena 1997
  • L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma 1988, pag. 392 
  • D. Stone, Guercino, catalogo completo, Firenze 1991, cat. 314 – pag. 323 
  • C. C. Malvasia, Felsina Pittrice, Vite de’ pittori bolognesi, Bologna 1841 (Ristampa 2004), pag. 339
  • G. Dotti -Messori, I Carandini, la storia e i documenti di una famiglia plurisecolare, Modena 1997
  • S. Zuffi, Cani nell’Arte, Schio 2008
  • AA.VV., Best in Show, The Dog in Art from the Renaissance to Today, Yale 2006
  • D. Dotti (a cura) Guercino 1658 La Diana Cacciatrice della Fondazione Sorgente Group, Bologna 2011
  • A. Rodio, Le Argonautiche, Libro IV 
  • E. Tonelli, Cani. Le razze, Firenze 2004

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