
«Di Pietro, costretto a correre dietro a Grillo, fa quello che gli dice Travaglio»
“Patto a tre. Di Pietro é fuori: ecco il nuovo centrosinistra”. È il titolo entusiasta del quotidiano Europa dopo che la foto di Vasto – con Bersani, Di Pietro e Vendola uno a fianco all’altro – è stata definitivamente messa nel cassetto dalla candidatura di quest’ultimo alle primarie. «Nessun veto» sull’Udc, a patto che accetti «l’agenda dei diritti» di Bersani e Vendola. Questa la cornice della stagione decisiva del centrosinistra in vista delle elezioni 2013. Di Pietro, secondo il quale la grande coalizione metterebbe insieme «il diavolo e l’acqua santa», è stato messo da parte. L’Italia dei Valori è fuori dai giochi? «Da tre anni sogno la sua uscita dal centrosinistra, dato che ha un animo di destra» dichiara a tempi.it il giornalista politico Alberico Giostra, che sul leader dell’Idv ha scritto un libro, Il Tribuno.
Di Pietro ha detto di Nichi Vendola: «Se rompe con noi, rompe con i lavoratori». È un rischio?
È populismo. Il leader di Sel si chiede, giustamente, cosa fare per risollevare il Paese. È un quesito che Di Pietro non si pone: ogni sua mossa è subordinata non alla politica, ma al rendimento: in termini di immagine, a livello personale, e di consenso, in termini di voti. Non dimentichiamo che è reduce da due batoste elettorali: sa bene che deve tenere desta l’attenzione su di sé. Anche l’idea di lanciare i referendum va letta in questa chiave. Il suo partito si è svuotato: i circoli non ci sono più, stanno chiudendo, sono crollate le iscrizioni. Sa bene che se il Pd dovesse andare con l’Udc si verrebbe a stabilire una certa continuità rispetto al governo Monti. Lo vuole anche una parte del Pd. Certo non si tratta di una soluzione scontata.
Intanto cresce la fronda contro l’ex pm: Massimo Donadi, un tempo fedelissimo, ha chiesto un incontro urgente con l’esecutivo del partito. Potrebbe esserci una scissione?
Donadi stava con Lamberto Dini e rappresenta un’anima molto forte nell’Idv, quella dei moderati di centro, orfani della Dc, che stigmatizzano i recenti attacchi al capo dello Stato. C’è poi una componente di destra e persino una corrente di simpatie leghiste. È una dialettica interna, che c’è sempre stata, tumulata sotto l’anti-berlusconismo, l’unico collante che teneva assieme anime così diverse tra loro. Ora che il collante è venuto a mancare, più che a una scissione assisteremo a una serie di fughe individuali, come da tradizione.
Sembra che Di Pietro abbia cambiato idea piuttosto bruscamente.
Di Pietro fa quello che gli dice Travaglio, che è il vero maître à penser. La linea la dà il Fatto Quotidiano, un po’come Repubblica faceva con il Pd.
In che senso?
Era Repubblica a fare opposizione a Berlusconi: il caso Noemi, il bunga bunga, le dieci domande. Travaglio è stato chiaro: non bisogna correre dietro al Pd. E nel giro di una settimana, c’è stata la rottura. E non a tutti piace. Anche il polverone sul Quirinale ha creato molti malumori, l’Idv è un partito monolite solo in apparenza. Qualcuno addirittura pensa che Napolitano abbia messo un veto, rispetto alla presenza dell’Idv nel centrosinistra, figuriamoci. L’amara verità è che il leader carismatico prende tutte le decisioni, ignorando la base.
Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris chiede a Vendola come sia possibile «correre con chi per troppi anni è stato la stampella dello scempio del berlusconismo».
Peccato che l’Idv sia già alleata con l’Udc. Nelle Marche per esempio, in Liguria e Basilicata governano assieme. È la solita schizofrenia: in Europa l’Idv siede nel gruppo dei liberali democratici, in Italia sta con la Fiom. E poi se la prendono col Pd, percorso da troppe correnti? Almeno loro sono al 30%, non al 5%. E non sono costretti a rincorrere Beppe Grillo.
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