
Delitto dell’Olgiata, un cold case tra clamorose svolte e leggende nere
Fu il delitto dell’estate 1991, quello di Alberica Filo della Torre, la contessa uccisa nella sua villa dell’Olgiata il 10 luglio: le prime pagine dei giornali furono dedicate per mesi ai clamori delle indagini, esattamente come solo un anno prima era accaduto per il delitto di Via Poma. E ora, proprio come via Poma, l’Olgiata è divenuto un cold case, un giallo riaperto a colpi di sofisticate indagini scientifiche.
Non fosse stata prima di tutto una storia di sospetti, false piste, accuse smentite, il delitto dell’Olgiata potrebbe essere la trama di una puntata di Csi. Proprio come via Poma, dove il dolore e la ribalta mediatica si sono mischiate per anni in una centrifuga impazzita, fino al suicidio del principale sospettato per il delitto di Simonetta Cesaroni, il portiere dello stabile di via Poma, Pietro Vanacore, e la sentenza che lo scorso gennaio ha condannato in primo grado il fidanzato di Simonetta (scagionato quasi immediatamente nel ’90), Raniero Busco.
La contessa Filo della Torre venne ritrovata morta nella propria camera da letto, una mattina in cui alla villa i domestici lavoravano alacramente per il party che si sarebbe tenuto nella serata a bordo della piscina. Eppure, nessuno aveva sentito nulla: nemmeno i cani della contessa avevano abbaiato ad una presenza estranea. Alberica era stata strangolata con un lenzuolo; l’assassino le aveva sfondato il cranio con uno zoccolo blu, abbandonato poi nella camera.
Il principale sospettato fu inizialmente Pietro Mattei, il marito: ma un alibi di ferro (era in ufficio, la segretaria lo confermò) lo salvarono. In seguito i sospetti sono caduti su altre due persone, arrestate: un domestico filippino della contessa, Winston Manuel, e il figlio della governante dei figli della contessa, Pietro Iacono. In seguito anche loro vennero prosciolti, ma i colpi di scena non mancarono: soprattutto quando al giallo si mescolò un altro fatto di cronaca.
Il caso di Alberica Filo della Torre è stato riaperto però per l’insistenza del principale sospettato, il marito della contessa Pietro Mattei, le accuse contro il quale sono state archiviate. Nel 2008, è stato proprio Mattei a presentare alla procura di Roma l’istanza per la riapertura delle indagini, a causa delle nuove tecniche investigative. Non è che una volta riaperte, le nuove indagini siano subito decollate. Nel 2008 si parlò del dna maschile ritrovato in un fazzoletto nella stanza della vittima, poi non se ne seppe più nulla: in seguito si disse che, addirittura, nelle analisi di laboratorio, tra le pieghe del lenzuolo con cui Alberica era stata uccisa, sarebbe saltato fuori un capello del bimbo ucciso a Cogne, figlio di Annamaria Franzoni.
Dove finisce la realtà certa, e iniziano le leggende nere, insomma, nel caso dell’Olgiata è sempre stato difficile capirlo. Ora è stato riarrestato il domestico filippino Winston Manuel. Ad incastrarlo, una traccia del suo Dna larga due centimetri quadrati, vale a dire una prova abbastanza sicura, perché normalmente le indagini procedono su reperti più piccoli, e quindi meno riconoscibili: «Una prova scientificamente devastante» è stato il commento di Luigi Ripani, comandante del Ris di Roma che ha svolto l’indagine, «sebbene le indagini non siano ancora finite». Una piccola macchia di sangue tra le 51 che segnavano il lenzuolo usato per uccidere la contessa (a cui appartengono le altre 50 macchie): sangue che sarebbe la conseguenza di un’abrasione che Manuel aveva sul gomito, e che si sarebbe provocato nella collutazione con la contessa.
Una traccia che coincide perfettamente anche con un reperto, quello sì analizzato già all’epoca: una macchia sempre di sangue, ma sui jeans del filippino, causata dalla stessa ferita al gomito. Oggi, 30 marzo, si apprende dal comandante provinciale dei carabinieri, Maurizio Mezzavilla, che il movente del delitto per Winston Manuel lo si sarebbe potuto capire già molti anni addietro. Una lite con la contessa, degenerata drammaticamente, per un prestito da 1,5 milioni di lire, che il filippino avrebbe dovuto restituire: lo si è appreso sulla base «delle carte raccolte già nel ’91, e rivisitate in questi anni». Manuel aveva lavorato all’Olgiata fino all’aprile ’91, ma nei successivi due mesi aveva continuato a frequentare la villetta. Oggi si apprende anche che, secondo alcuni testimoni, avrebbe conosciuto la combinazione di una porta d’accesso della villa, che gli avrebbe permesso di entrare senza essere notato. Cosa c’è di vero e di definitivo sul delitto dell’Olgiata, di nuovo, sarà solo il tempo a dirlo.
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