Abolire i programmi di inclusione nei college c’entra anche con l’economia

Di Giovanni Maddalena
25 Febbraio 2025
Dietro allo stop delle politiche di ammissione basate sui Dei non c'è soltanto il successo culturale delle idee di Trump. Un commento
Trump
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, durante il suo intervento alla Conservative Political Action Conference 2025, in Maryland (foto Ansa)

Nel giorno di San Valentino, il ministero dell’Educazione americano ha mandato una lettera a tutti i college. Il contenuto della lettera è l’ingiunzione di far terminare immediatamente ogni politica di ammissione ai college basata sui cosiddetti Dei, diversity, equality, inclusion. Le ragioni tecniche, poggiate sulle leggi anti-razzismo degli anni Sessanta e sulla recente sentenza della Corte suprema nel caso Asian vs Harvard, sono quelle di evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di bianchi e asiatici, che erano esclusi dal sistema delle quote per entrare al college.

La sentenza della Corte e i programmi Dei

La Corte nel 2023 aveva precisato che discriminare in base alla differenza razziale si può solo per ragioni stringenti, che sono quelle di rimediare a specifici abusi precedenti sulle singole persone oppure evitare violenze nelle carceri.

La lettera specifica che «i concetti nebulosi di diversità e di equilibrio razziale» non sono delle ragioni stringenti. Questo il quadro legale. Le ragioni culturali sono quelle di ripristinare un sistema scolastico basato sul merito e far terminare l’irragionevole presupposto che l’America si fondi solo su «un razzismo sistemico e strutturale» che ora dovrebbe essere riparato.

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Una lettera che dice molto del tornante storico in cui siamo

La lettera passa quasi inosservata nel tourbillon trumpiano di decreti, interviste, ingiunzioni, negoziazioni. Tuttavia, è una lettera che ci dice qualcosa del tornante storico in cui siamo. Innanzi tutto, fa emergere il paradosso dell’inclusione, che crea sempre degli esclusi e, volendo abolire il razzismo, vi fa appello.

Come ben spiegato dal grande genetista italiano Alberto Piazza, geneticamente «la razza non esiste» – le differenze tra singoli individui con pelle dello stesso colore e provenienza dallo stesso luogo sono tanto rilevanti quanto quelle tra individui con colori e geografie diverse – e culturalmente è un concetto ambiguo come ci ha insegnato la storia del Novecento. L’insistenza sulle politiche inclusive, basata su un concetto dubbio, ha esacerbato il razzismo già sempre presente negli Stati Uniti. L’abolizione sarà una soluzione? Probabilmente no, ma toglie una complicazione e una scusa.

Il successo culturale di Trump

A questa prima osservazione se ne collega una più generale. Le proteste per ora molto limitate contro il governo attuale e contro iniziative come questa mostrano che la vicenda del successo di Trump è più culturale che economica. La maggior parte ha votato Trump per evitare il suo contrario, non certo pensando al quadro geopolitico internazionale, difficilmente sentito in America. Ha invece pensato alle vicende di casa dove il politicamente corretto, la cosiddetta woke culture, era diventato dominante e invadente, tanto da essere additato come la fonte della debacle economica. Sembra un’osservazione da poco ma è importante. Era da molti anni – forse da quando Roosevelt dopo il crollo di Wall Street (1929) scelse la teoria matematico-economica di Keynes – che ciò non accadeva.

Presi dalla convinzione marxista che la struttura della società sia l’economia o da quella liberista che l’economia sia una tecnica matematica neutra e determinista, ci siamo quasi dimenticati che essa è originariamente parte dell’etica e, quindi, della filosofia. Sì, i problemi economici riguardano soprattutto le idee, la concezione di ciò che è bene o male per sé e per tutti. Certo, qui emergeranno bontà e difetti delle idee, e su di esse ci si confronterà e scontrerà, ma è sempre meglio di una visione unica per cui «non si può fare altrimenti» perché l’economia lo vuole e la politica sembra la ratifica di un pensiero unico e inevitabile.

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